Playlist Italia un libro di Sandro Gozi

“Non siamo brutte persone, veniamo da un brutto posto”, dice un personaggio del
film di Steve McQueen, Shame.

Potrebbero pronunciare la stessa frase molti italiani,
mortificati ma desiderosi di abbandonare la terra del male, della crisi economica ma
anche della crisi morale. Fuggire da un posto dove l’odio e il rancore sono diventati
senso comune, dove prosperano i professionisti della maldicenza e del
catastrofismo. Come se si volesse fuggire dal luogo dell’inferno, del male assoluto,
dove tutto è e deve essere negativo, per cominciare a vivere una nuova vita, fatta di
gioie e dolori, di delusioni e speranze, libera , finalmente, dal mantra negativo della
lamentazione e dell’indignazione.

La citazione di Steve McQeen è riportata nell’ultimo libro di Sandro Gozi, oggi
sottosegretario agli affari europei nel governo Renzi, dall’accattivante titolo Playlist
Italia. Il libro si presenta sabato alle 16 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici con
la partecipazione di David Bogi, Venanzio Carpentieri, Bartolo Costanzo, Gigliola De
Feo, Leonardo Impegno, Gianfranco Passalacqua e chi scrive.

Innanzitutto perché playlist. La compilazione di una playlist è un atto d’amore, più
che una tecnica, un approccio alla complessità della realtà, che risulta centrale
nell’affrontare la ricchezza d’informazioni caratteristica della società
contemporanea. Sandro Gozi, si prova, infatti, a raccogliere, in quelle che una volta
chiamavamo compilation, le idee sparse, spesso confuse, qualche altra volta
maltrattate, della politica italiana e soprattutto della sinistra italiana anch’essa,
come il resto della società e forse più, chiusasi in se stessa, rattrappitasi in una
forma di cupo sentimento negativo. Tutto va male, tutto deve andare male, e guai
se qualcuno si prova a migliorare le cose.

Così come la playlist serve ad orientarsi in un mondo, come quello della rete, dove la
conoscenza musicale è nebulosa, incomprensibile e incontrollabile, liquida, per
mutuare l’espressione usata da Bauman per l’intera società, così Sandro Gozi prova
a ridisegnare il volto di una sinistra che, senza chiudere col suo passato storico,
guardi al futuro riconquistando, come dice espressamente, l’idea di libertà, e di una
libertà dai contenuti e dai contorni nuovi.

Una sinistra che comprenda che bisogna liberarsi dalla dicotomia antropologica fra
berlusconiani e antiberlusconiani, dalle corporazioni spacciate per baluardi della
difesa di diritti; una sinistra che comprenda che bisogna affrontare il tema della
riforma di un sistema dell’informazione inquinato o superficiale.
Una sinistra, soprattutto, che sappia individuare chi sono i nuovi svantaggiati, i nuovi
poveri, individuandoli innanzitutto fra le donne e i giovani che non riescono ad
accedere ad una vita sociale sclerotizzata da stanche consuetudini borghesi a destra
e vecchie incrostazioni ideologiche a sinistra.

Non è, quello di Gozi, un elogio del nuovo in quanto nuovo. Anche questo sarebbe un
ideologismo semplicistico quanto pericoloso. Si tratta, al contrario, di scrivere nuove
partiture o quantomeno comporre nuove playlist nelle quali nuove e antiche idee e
diverse sensibilità si fondano in un nuovo metodo di interpretazione della società, in
una decisa volontà di cambiamento. Sandro Gozi prospetta un diverso Pantheon
per la sinistra italiana nel quale si abbia il coraggio di inserire nomi come quelli di
Altiero Spinelli, i fratelli Rosselli, Filippo Turati e, perché no, Luigi Einaudi.

In questi ultimi anni abbiamo tutti ceduto al mito dell’antipolitica, dimenticando che
l’antipolitica è una forma di politica, certe volte astuta e opportunistica, capace
anch’essa di fare eleggere deputati e senatori, di creare rendite di posizione,
successi giornalistici, carriere personali. E all’antipolitica come politica non si
risponde come forse banalmente si dice con la buona politica, ossia con una
amministrazione normale, del buon senso, se così è possibile esprimersi. Ma con
riaffermare il primato della politica, la grandezza della politica, l’importanza, starei
per dire la fondamentalità, della politica.

Quella politica, come la immagina Sandro Gozi in grado di farci pensare all’Europa
come una grande entità etico politica, come l’insieme di popoli diversi accomunati
da valori comuni e comuni ideali, in grado di svolgere un ruolo fondamentale nello
sviluppo economico, civile e culturale del mondo intero.

Il libro è scritto prima del precipitare della crisi che sta vivendo l’Ucraina, crisi che
potrebbe sconvolgere gli attuali equilibri mondiali rimettendo in discussione
consolidati interessi economici ma anche fondamentali garanzie di libertà
individuali e collettive. Questa improvvisa insorgenza conferma quanto le
preoccupazioni e le speranze di Gozi siano fondate.

Per sostanziare la metafora della playlist i capitoli del libro si presentano corredati
di richiami e citazioni di brani musicali quasi fossero delle note esplicative del testo e
della condizione politica che si vuole discutere. Le svolte della storia, i movimenti
emancipativi , del resto, sono sempre accompagnati dalla musica, bella o brutta che
sia.

I movimenti nati in Italia in questi anni sono, invece, muti. Musicalmente muti, ma
fin troppo loquaci nelle invettive ipocrite quanto falsamente morali,
sostanzialmente rancorose e ingenerose. Ora, quando assisto alle tante resistenze
che questo mondo in declino mette in campo per vanificare la svolta politica alla
quale stiamo assistendo, al tentativi di uccidere sul nascere ogni tentativo di
suscitare un nuovo entusiasmo, di ridare serenità e orgoglio a quel grande paese che
è l’Italia, se penso a quanti si industriano mattina e sera per tornare a farci dibattere
e discutere soltanto di scandali, processi, disgrazie e meschinità varie, mi viene in
mente di citare anch’io a una canzone, fra le tante citate da Gozi, quella del
compianto Rino Gaetano, che cantava:” Nun te reggae più!”

Ernesto Paolozzi

da La Repubblica del 15 marzo 2014                                                                                                                                                      Repubblica archivio