Con il titolo Benedetto Croce: The Philosophy of History and the Duty of Freedom, Ovi Magazine ha pubblicato in formato e-book la traduzione del volume Benedetto Croce, la logica del reale e il dovere della libertà di Ernesto Paolozzi.
Oltre al valore intrinseco del libro che i lettori italiani conoscono, una sintesi ermeneutica del pensiero del grande filosofo fra le più importanti degli ultimo anni, è stimolante e particolarmente interessante analizzare l’impatto che potrà avere sulla cultura americana in una fase di ripensamento complessivo delle fondamenta stesse della filosofia.
In questa prospettiva è illuminante la bella e colta prefazione di Emanuel L. Paparella, studioso di Aristotele e Vico, conoscitore profondo sia della cultura americana sia della fortuna del pensiero crociano nel mondo anglosassone. Paparella riassume i pregiudizi e gli equivoci che negli anni Settanta e Ottanta hanno nuociuto ad una ricezione complessa e fondata del pensiero crociano. L’idea, ad esempio che il filosofo napoletano fosse un epigono di Hegel, un “idealista”, un pensatore metafisico, un filosofo della storia in senso tradizionale. Già negli anni precedenti, a cominciare dalla diffusione agli inizi del Novecento dell’ estetica, il pensiero crociano non sempre era stato interpretato correttamente. Vuoi per le traduzioni non sempre buone, sia per pregiudizi dovuti alla cultura americana troppo legata alla tradizione empirista. Ma l’autorità del filosofo napoletano fu, comunque, sempre riconosciuta e la sua popolarità fu particolarmente accresciuta dall’intransigente opposizione al fascismo che il filosofo liberale incarnò negli anni del regime. Ma ciò che è particolarmente interessante è la nuova prospettiva nella quale Paparella presenta il volume di Paolozzi e la sua peculiare interpretazione del pensiero crociano.
Lo studioso americano mette in rilievo come la filosofia americana (sostanzialmente ancorata all’empirismo e al razionalismo analitico) e anglosassone abbiano vissuto negli anni Ottanta una profonda crisi di identità subendo l’influenza del pensiero ermeneutico e, più in generale del cosiddetto postmoderno. Paparella si chiede come sia stato possibile non comprendere che la filosofia crociana con la sua ascendenza vichiana e il nuovo storicismo teorizzato da Croce così diverso dalle filosofie della storia di stampo hegeliano, dovevano considerarsi come precursori della moderna ermeneutica e del postmoderno. Non solo ma Paparella, accogliendo l’interpretazione di Ernesto Paolozzi, chiarisce come il pensiero dialettico di Croce si possa e si debba connotare come una possibile soluzione alla questione irrisolta della moderna ermeneutica, quella del relativismo o scetticismo gnoseologico al quale il postmoderno sembrava condannare la filosofia un volta abbandonato l’ingenuo realismo neopostivista tipico della cultura anglosassone.
Volendo semplificare, potremmo dire che per Paolozzi come per Paparella, l’annosa diatriba fra soggettivisti e oggettivisti, fra relativisti e assolutisti può trovare un parziale compimento nel recupero della dimensione del pensiero storico dialettico o, se si vuole critico dialettico secondo il quale la storia, come la vita, nel loro eterno divenire si sviluppano secondo quella opposizione senza la quale la vita semplicemente non esisterebbe. Fondamentale è la riforma della dialettica operata da Croce: l’aver intuito e poi mostrato come non è possibile pensare l’opposizione senza la distinzione, la teoria senza la prassi o la prassi senza teoria in quel continuo intrecciarsi e modificarsi di esperienze e accadimenti che la vita concreta degli uomini.
Da qui discende una teoria della libertà non vincolata ad una particolare dottrina politica o ad una specifica concezione della Stato. Il che non significa che, empiricamente, di volta in volta una dottrina o una concezione dello Stato non possa apparire ed essere considerata liberale. A patto che non si identifichino con la libertà una volta e per sempre. Un liberalismo metodologico, quello proposto da Paolozzi sulla scia di Croce, particolarmente attuale oggi che sono in crisi le grandi narrazioni storiche di matrice ottocentesca e la società sembra aver smarrito ogni punto di riferimento morale e politico. La differenza sostanziale fra il pensiero crociano e lo storicismo precedente, di Hegel e di Marx, consiste nel non collocare un momento terminale della storia.
Le opposizioni e le contraddizioni certamente non sono solo distruttive, si risolvono in sintesi necessarie ma, secondo Croce senza ipostatizzarsi in una realtà immutabile, definitiva. In questo senso e solo in questo senso la storia è storia della libertà. Meglio diremmo storia della lotta per la libertà. In ciò la modernità del pensiero crociano che Paparella auspica possa , attraverso l’interpretazione di Ernesto Paolozzi, essere accolto da quella parte della cultura americana la quale, emancipatasi dalla sterile filosofia accademica di stampo analitico, si ritrova oggi orfana del postmoderno. Una filosofia autenticamente libera che anche sul terreno politico apre un orizzonte nuovo in un momento di sostanziale stasi se non regresso della filosofia politica.
Antonella Rossini
“Libro Aperto”, numero 74, luglio-settembre 2013
____________________________________________________________________________________
Parte del testo consultabile al seguente link: Benedetto Croce: The Philosophy of History and the Duty of Freedom