Bioetica e complessità: carne e spirito, la bioetica come scienza per la vita

Se volessimo trarre delle provvisorie conclusioni dopo l’ excursus compiuto fra i temi dell’ etica, della bioetica e della ecoetica, potremmo affermare che il nostro auspicio è che la cosiddetta bioetica antropica possa aprirsi a più ampi orizzonti, conservando la sua specificità nell’ ambito di una più vasta e complessa visione del mondo. Le questioni che abbiamo posto rientrano tutte nella dimensione di una filosofia che abbia come suo punto di riferimento fondamentale l’idea che fra universale e particolare non vi sia una irriducibile opposizione ma una necessaria complementarità per cui l’ un termine si spiega con l’ altro e viceversa. Se il nostro orizzonte universale, di un’ etica universale, è quello di rispettare la dignità della vita e dell’ individuo vivente, la scelta concreta che ci si propone o che ci si obbliga di compiere è sempre condizionata dal particolare momento in cui essa si deve, appunto, compiere.

Se uno dei due termini venisse a mancare, ci troveremmo a scegliere, a decidere, moralmente e politicamente, in base a un principio astratto, quello, appunto, universale, non sempre rispondente alle concrete esigenze e alle aspettative della nostra vita. Se volessimo scegliere, cosa, peraltro, impossibile, soltanto in base alla condizione particolarissima in cui ci si trova, cadremmo, con ogni probabilità, nell’ assoluto arbitrio.

Ci vuole saggezza per poter indicare strade e percorsi così complessi. La saggezza, appunto, che invocava Aristotele.

Una saggezza che non è soltanto la individuale capacità di sapersi ben regolare e nemmeno è il puro buon senso che tante volte regola le nostre azioni. È un concetto filosofico che negli anni la filosofia affinerà fino a giungere all’ idea centrale che ogni giudizio, ogni concreto giudizio sulla vita che ci circonda, è una sintesi a priori di universale e particolare.

Se tutto ciò è vero, possiamo cominciare a concludere con l’ ottimismo di chi pensa che anche le soluzioni più improbabili possano trovare realizzazione se immerse nella consapevolezza della loro portata e nella responsabilità di ogni atto individuale. Tale visione delle cose comporta l’ assunzione di un punto di vista filosofico, quello appena accennato, che ci fa uscire dal terreno dello stretto tecnicismo, dello specialismo, del confronto ideologico fra puro intellettualismo etico e fondamentalismo religioso. Ci conduce a comprendere, innanzitutto, che la natura stessa dell’ uomo non può prescindere dalla sua collocazione in quella vasta comunità di destino che è rappresentata da tutti gli altri uomini e dall’ intera biosfera.

Nessun uomo è un’ isola, potremmo dire con il poeta, nel senso più ampio e complesso dell’ espressione.

Questo perché l’ uomo, l’ essere vivente uomo, non è determinato soltanto dal suo essere biologico, così come non è pensabile al di fuori del suo essere biologico. E cercare di tracciare un confine rigoroso e astratto fra biologia ed etica, teoria e prassi, è un riaprire quel dualismo fra anima e corpo che tanto ha tormentato la filosofia di tutti i tempi e quella moderna in modo particolare. Carne e spirito, per così dire, s’ influenzano reciprocamente ed è una ricerca vana quella che volesse interrogarsi sul primato dell’ una o dell’ altra. Lo abbiamo potuto toccare con mano allorché ci siamo soffermati sulle questioni bioetiche poste dalla possibilità di intervenire tecnologicamente sul genoma. L’ interazione, circolare e non unidirezionale, natura-uomo-storia è tale da non poter essere divisibile se non per pura astrazione, per mera utilità didascalica.

L’ impegno responsabile che ha animato la bioetica antropica, l’ impegno della responsabilità individuale non può che trasformarsi in un impegno nei confronti della collettività e del futuro stesso dell’ umanità.

Il che non significa, sia ben chiaro, che l’ individuo debba delegare a entità superiori (partiti, Stati, comunità di vario genere) la propria responsabilità che è sempre e soltanto individuale. Si tratta di comprendere sempre più che nella individualità vive l’ universalità, che il destino dell’ individuo coincide con il destino dell’ universale e che l’ universale è determinato dal destino individuale.

È questo il nesso inscindibile che la moderna riflessione filosofica sta recuperando in una visione moderna e aggiornata del pensiero dialettico. E quel pensiero della complessità che non significa complicazione, ma capacità di intendere in tutte le sue relazioni il completo sviluppo dell’ uomo nella storia e nella vita come inscindibile unità di bios e di ethos. È evidente dunque che, se la nuova riflessione bioetica si incammina su questi sentieri abbandonando il terreno riduzionistico, deterministico, causalistico o come altro si voglia dire, essa si incammina sulla strada maestra della libertà, su quella strada dove è possibile, veramente e concretamente, scegliere ed esercitare la propria responsabilità. È anche il terreno dell’ incertezza, di quell’ incertezza che, sul piano esistenziale, ci rende fragili, spesso spaesati e impauriti. Ma è l’ unico terreno possibile sul quale si esercita la vita e il destino dell’ uomo.

Educare a vivere nell’ incertezza, senza abbandonare il principio etico direttivo della vita, rappresenta, forse, il principio etico per eccellenza.

Se quanto abbiamo detto ha un minimo di sensatezza, se il nostro agire si confronta con il nostro giudizio in un inscindibile rapporto, se si recupera quell’ etica della situazione che abbiamo appreso dalla cultura cristiana, è possibile recuperare un aspetto fondamentale del dibattito bioetico nato negli anni Sessanta e Settanta: la necessità che il giudizio si compia nel più ampio e franco dibattito pubblico, nel più vasto confronto di punti di vista ed esperienze. Il tipo di pluralismo che prospettiamo è l’ opposto del pluralismo scettico o relativista. Rappresenta, infatti, il terreno comune sul quale si esercitano la nostra responsabilità morale, la nostra intelligenza, la nostra umanità. In questo pluralismo si realizza concretamente la transdisciplinarietà fra le competenze specifiche, che nessuno pensa di dover abbandonare o accantonare.

Le conoscenze scientifiche, i progressi tecnologici, le argomentazioni giuridiche, le speculazioni filosofiche, le esperienze religiose si incrociano, si fondono e si amalgamano per poterci consentire di poter giudicare, di comprendere nel senso etimologico della parola, infine di scegliere con consapevolezza. In questa prospettiva, per concludere con una determinazione particolare ma di stringente attualità politica, è forse un bene che attorno a molte delicate questioni di bioetica si legiferi poco. Le comunità non devono e non possono abdicare al ruolo fondamentale di regolarsi, meglio di autoregolarsi, secondo principi e valori largamente condivisi, di scrivere quelle leggi che sono il fondamento del vivere civile. Ma in materie così complesse e così strettamente legate al sentire individuale, si deve poter lasciare ampio spazio alla autodeterminazione, alla personale coscienza, alla libertà.

(tratto dal volume di Ernesto Paolozzi, La bioetica per decidere della nostra vita, Christian Marinotti edizioni, Milano, 2009)

Repubblica – 15 ottobre 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI carne spirito la bioetica come scienza per.html)