Alcune riflessioni crociane su politica capitalismo e classe dirigente.

Perché non possiamo non dirci cristiani, il noto saggio che Croce scrisse nel 1942 in implicita polemica col saggio di Russell Perché non sono cristiano, è stato al centro di molte discussioni filosofico-teologiche ed anche, naturalmente, politiche. Ciò nonostante, solo da pochi anni è diventato, per così dire, operante nella cultura italiana, sia pure così tanto disattenta e pigra.

Lo scritto è una sorta di manifesto morale e politico che il filosofo della laicità e della libertà assoluta volle lasciare alle giovani generazioni in un momento di grande, profonda crisi della vita morale e civile dell’Europa.

Il filosofo che si vantava di aver colto il valore spirituale dell’economico, di aver difeso la positiva forza dell’utilità contro tutti i moralismi, di aver compreso la necessità della cruda e verde vitalità, riproponeva ora i valori fondamentali della cristianità, della civiltà cristiana, come fondamento, come orizzonte di valori comuni e condivisi attorno ai quali organizzare la vita civile e sociale dell’uomo moderno.

Non fu né poteva essere una negazione, improvvisa quanto superficiale, della forza e della potenza benefica dell’economia e del capitalismo, che dell’economia sembra essere, oggi come allora, il motore principale e quasi il simbolo. Ma era il richiamo, semplice, quanto severo e difficile da comprendere, al primato dell’uomo sull’economia, dell’uomo che, evangelicamente, è il signore del sabato. “La rivoluzione cristiana, scrive Croce, operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità”.

Sono pagine, dunque, che sono attualissime oggi che sembra necessario riproporre il primato dell’etico-politico nei confronti dell’avanzata globale del capitalismo. Oggi che, soprattutto i giovani sentono questo problema e sono talvolta spinti da esagitati od opportunisti maestri a contrapporre allo sviluppo economico un imprecisato, vago, irrazionalistico attivismo.

E’ stata dunque un’iniziativa opportuna e intelligente quella di fare delle riflessioni crociane oggetto di studio e d’interpretazione approfondita da parte dei giovanissimi studenti liceali i quali si sono esercitati su quel testo nell’ambito di un premio istituito dal Club UNESCO, dalla Libera Università G.B. Vico e dal Liceo di Andria. Studenti e docenti di quell’Istituto visiteranno, il prossimo lunedì, l’Istituto Italiano per gli studi storici fondato da Benedetto Croce in prossimità del suo appartamento privato a Palazzo Filomarino. E in quel luogo austero che è stato, per anni, il simbolo dell’antifascismo, riceveranno i premi. L’iniziativa, originale e opportuna, si deve a Giuseppe Brescia, fra i maggiori studiosi e interpreti del pensiero crociano, al quale ha dedicato alcuni saggi, da Questioni dello storicismo, del lontano 1980, agli odierni Vico e Croce e Croce in Francia.

Il pensatore pugliese inaugura così una nuova e proficua stagione di scambi culturali fra la Campania e le Puglie, regioni che hanno avuto e ancora hanno punti di incontro culturali di grande importanza. Sarebbe il caso, ci sia consentita una notazione polemica, che anche le istituzioni politiche, le parti politiche, cerchino di creare le condizioni per l’intensificarsi dei rapporti di scambio fra due grandi regioni meridionali così vicine geograficamente e culturalmente, e così lontane per l’antica inerzia delle classi dirigenti locali e nazionali.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 4 giugno 2001