L’intuizione di Edgar Morin: indispensabile per la costruzione di un nuovo laboratorio politico, interprete del nostro tempo
E la complessità diventa lezione di metodo
di Maurizio Piscitelli
Si deve a Edgar Morin l’intuizione, fondamentale per chi voglia individuare le coordinate del nostro tempo, che alla logica binaria che ha caratterizzato il Settecento illuminista e le successive stagioni del pensiero, si è sostituita quella “dimensione della complessità”, che è il fondamento ermeneutico di ogni lettura del nostro tempo. Al passa/non passa, che costituisce il perno della logica binaria, si sono sostituite miriadi di elementi che non rendono “complicata”, ma complessa l’interpretazione del tempo. La pluralità paritetica dei punti di vista , la randomizzazione dei fondamenti ermeneutici non potevano non coinvolgere anche la scena della politica, che è stata dominata, negli ultimi anni, dalla caduta delle ideologie. Il volume di Ernesto Paolozzi “Il Partito democratico e l’orizzonte della complessità” (Guida, Napoli 2007, pp. 104, € 10,00) muove dalla constatazione che le categorie politiche tradizionali non sono sufficienti a comprendere la complessità. È questo il motivo per cui anche la democrazia ha assistito ad una sorta di palingenesi, a una radicale rigenerazione che l’ha trasformata da democrazia liberale in “democrazia liberante”, come afferma Massimo Cacciari. Si tratta, quindi, non della semplice nascita di un nuovo partito, ma di una vera e propria “rivoluzione democratica” (W. Veltroni) che non si riduce in relativismo – osserva Paolozzi – ma si manifesta sotto le specie della complessità. Né si può identificare questa nuova stagione della democrazia come un assemblaggio di schegge: è un nuovo corso che ha dato vita non a un partito con ideologia, bensì a un “partito di progetto”. Tra i compiti di questo nuovo soggetto politico, Paolozzi evidenzia con acume la necessità di dedicare maggiori attenzioni alla formazione politica dei cittadini, perché la nascita del partito democratico ha sì una valenza politica, ma anche una pregnanza culturale: esso nasce come risposta ad una nuova definizione delle categorie del pensiero che è alla base – è bene ricordarlo – della politica. L’auspicio di un veritiero ricambio della classe politica e di una maggiore trasparenza delle scelte è condivisa dalla maggioranza dei cittadini. Anche se il caso delle elezioni primarie in Campania non ha certo brillato per trasparenza e per volontà di ricambio – come è evidente – non altrettanto si può dire a livello nazionale dove sono emerse in tutta la loro chiarezza le intenzioni dei cittadini-elettori. Sono questi ultimi i veri fondatori del Pd, artefici di una operazione politica che non trova confronto in supporti algebrici: se fosse stata una mera addizione di partiti, infatti, si sarebbe paradossalmente caricata di valenze negative che l’avrebbero trasformata in una sottrazione. Invece – sostiene Paolozzi – è una creatura nuova, vitale e necessaria per dare inizio alle attività di un laboratorio politico nel quale l’autore crede non solo sul piano della azione politica, ma anche, anzi soprattutto, sul piano culturale. Il saggio di Paolozzi non è solo la storia della genesi di una soggetto politico, ma è una lezione di metodo: lo studioso, infatti, dimostra come la complessità, che viene percepita come una limitazione è piuttosto una ricchezza, una opportunità da cogliere appieno, nell’interesse di tutti.