Qualche domanda ai candidati a sindaco

Il quadro delle candidature alla carica di sindaco è ormai chiaro. Chiari non sono ancora le idee e i programmi.

Presto avremo programmi dettagliati circa le solite questioni della viabilità, dell’ organizzazione della macchina comunale e via dicendo. Diciamocelo con franchezza: si tratta di quei programmi che tutti invocano ma che, a ragione, non appassionano proprio nessuno. In fondo, riempire le buche delle strade o riformare il corpo dei vigili urbani, rilasciare dichiarazioni di principio sulla legalità e sulla trasparenza è il minimo indispensabile che si dovrebbe chiedere a un’ amministrazione, quale che sia la sua provenienza ideologica e il suo colore.

Ciò che ci premerebbe invece di sapere è l’ idea generale che, accanto alle naturali differenze culturali che caratterizza la parte politica alla quale appartengono, i candidati hanno di Napoli e del suo futuro. La sensibilità che mostreranno di avere per questioni fondamentali che riguardano il destino comune di noi tutti.

Semplifico secondo quelle che mi sembrano alcune questioni di rilevanza assoluta.

a) La questione del rapporto con il governo e la politica nazionale. I napoletani chiedono rispetto, innanzitutto. E allora i candidati dovrebbero chiarire qual è la loro posizione nei confronti del federalismo comunale e regionale che si sta attuando. Chiarire come intendono rispondere agli insulti quotidiani che provengono dalla Lega, se intendono o meno attuare pressioni sui loro referenti parlamentari eletti nella nostra circoscrizione. Stefano Caldoro ha cominciato a muovere le acque: come intende comportarsi il candidato del suo partito? E gli altri? Ai cittadini non dispiacerebbe saperlo: sono preoccupati e giustamente, stanchi. b) La questione della vocazione cultural-turistica della città (la cultura critica è faccenda che non riguarda le amministrazioni). Quale vocazione assecondare? Quella folcloristica, popolare, se si vuole nazionalpopolare, o si ritiene di potenziare quelle risorse, che pure ci sono, più alte e rarefatte, che dialogano con un turismo colto e raffinato? c) La questione del rapporto periferie-centro. Si ritiene, generalmente, che il centro debba espandersi verso le periferie, soprattutto dal punto di vista culturale imponendo cioè il suo stile di vita, ritenuto migliore a torto o a ragione. Ma c’ è chi ritiene che i centri debbano proteggersi dal degrado delle periferie e seguire uno sviluppo autonomo perché rappresenta l’ immagine della città. Qualcun altro, ancora, ritiene che le periferie non aspettino di essere colonizzate o legalizzate, paternalisticamente, dal centro ma che abbiano forze proprie e autonome che vanno integrate nello sviluppo complessivo della città, che sia il centro ad aver bisogno della vitalità delle periferie. d) La questione della scelta fra una politica che, di fronte alla scarsezza delle risorse, scelga di privilegiare e incrementare le eccellenze oppure, all’ opposto, di aver cura dell’ ordinario, per garantire, quando non di creare, quel substrato minimo di civiltà comune senza il quale le eccellenze faticano a nascere o a mantenersi in vita. e) La questione, nuovissima, che si pone con il liberarsi di inimmaginabili energie sociali, politiche e umane per la crisi dei regimi totalitari sulla riva Sud del mar Mediterraneo. Quale ruolo immagina di incarnare questa grande capitale culturale e politica che è Napoli?

Restano, è perfino inutile ricordarlo, le grandi questioni del centro antico, di Bagnoli e ancora altre che meriteranno un discorso a parte.

Qui ci premeva segnalare un metodo. Chiedere ai cittadini da un lato, ai partiti e ai candidati dall’ altro, di discutere attorno a idee forti, complesse. In questa fase il dramma di Napoli consiste proprio nella difficoltà a uscire dal terreno delle ovvietà, della ripetitività e obsolescenza di vecchie liturgie che mostrano una città stanca, ferma, incapace di originalità, di vivacità. Eppure, senza voler fare gli ottimisti a tutti i costi, segnali contrari ve ne sono. In vari luoghi della città si intuisce la voglia di ritornare a produrre, creare. Come se si fosse stanchi di lamentarsi, di autoflagellarsi. Proviamo a cogliere, allora, l’ occasione di una campagna elettorale che presenta un quadro politico in rapido e radicale mutamento. Se non ora, quando?
Ernesto Paolozzi

da La Repubblica del 31 marzo 2011 – pagina 1 sezione: NAPOLI                                                                                               Repubblica archivio