Avanti PD fatti riconoscere.

Il fondo di Ezio Mauro sulla condizione del centrosinistra e del Partito democratico all’indomani della tragica crisi del governo Prodi, come nella matematica dei frattali potrebbe ripetersi, tale e quale, per la Campania.

Anche qui, al di là delle responsabilità amministrative individuali, è la larga coalizione che ha retto la Giunta Bassolino ad avere esaurito la sua spinta iniziale, in verità già da molti anni. E’ la politica del nuovo centrosinistra allargato a spurie forze centriste a mostrare la sua impossibilità a governare. Gli estenuanti compromessi, con la sinistra radicale da un lato, con l’Udeur e l’Idv dall’altro, sul terreno ideologico come su quello della spartizione gestionale del potere, hanno irrimediabilmente logorato le alleanze e la stessa credibilità politica e personale dei suoi protagonisti.

La crisi dei rifiuti ha soltanto, plasticamente e drammaticamente, posto il suggello su una situazione ormai incancrenita.

La nascita del Partito democratico del quale sono stato, e sono, un sincero sostenitore dalla prima ora, avrebbe potuto e dovuto contribuire a superare la crisi con uno slancio nuovo, con generosità politica e creatività programmatica. Forse con una dose di ingenuità che, pure, ho sempre combattuta come estranea alla politica, mi sono illuso che la sostanziale novità di un partito progressista, aperto alle istanze socialiste, liberali e del popolarismo cattolico, novità assoluta nello stanco panorama politico europeo, da sola bastasse ad avviare un nuovo processo politico dal profilo nitido e chiaro, nelle scelte come nelle azioni concrete.

Per capirci: un partito che, di fronte ad una questione come quella della costruzione dei termovalorizzatori, si fosse posto tutte le domande possibili ma alla fine avesse scelto con decisione e senza ripensamenti. Un partito che non avesse più tentennato rispetto alle scelte di fondo per lo sviluppo della Campania, senza retoriche passatiste o avveniristiche fughe in avanti.

Così non è stato perché, evidentemente, il degrado della politica, e perfino dei rapporti umani che sono spesso a fondamento di una buona politica, si era acuito al punto da non consentire più un benché minimo ragionamento.

La crisi, nazionale e locale, che è avanti agli occhi di tutti, testimonia la radicalità del problema.

Non ho seguito, mi fa piacere cogliere l’occasione per chiarirlo, alcuni cari amici che generosamente mi spronavano ad assumere un ruolo politico diretto nel nuovo partito perché il profilo che si andava delineando non era quello che si era immaginato. La polemica politica si incentrava, e si incattiviva, soltanto attorno a dicotomie di stampo quasi antropologico: vecchio-nuovo, donne-uomini e così via, con tutti i trasformismi e gli opportunismi che sempre riaffiorano quando si cerca di costruire un nuovo progetto senza basi solide e proposte chiare.

Ciò non toglie, e spero di non ricadere nell’ingenuità, che il Partito democratico, a livello nazionale come a livello locale, possa ancora, ed anzi debba, svolgere un ruolo fondamentale. Quanto ha scritto Ezio Mauro per il paese in generale, ossia che l’alternativa a destra non è certo un’alternativa nuova e feconda ma semplicemente la riproposizione di ricette già sperimentate quasi vent’anni fa, vale anche per Napoli e la Campania. L’acuirsi e il precipitare della crisi impone dunque che, anche nella nostra regione, il Pd possa assumere un ruolo decisivo per il presente, indispensabile per il futuro, rimanendo ancora l’unica risposta possibile ai problemi e alle questioni che si fanno sempre più pressanti.

Ma ciò è possibile solo se si sarà capaci di formare un gruppo dirigente vero e autentico.

Che non sia tenuto insieme dal collante del potere del passato ma nemmeno da una generica e approssimativa volontà di costruire un nuovo che non si sa bene in cosa consista. Non è l’anagrafe o il genere, l’aver fatto politica o l’essersene tenuti fuori, il sapere il latino o la matematica, ciò che può determinare la nascita di una nuova politica, per l’Italia o per la Campania. Sono le intenzioni e le proposte, che devono essere chiare, coerenti, incisive.

Bisogna che il partito si smarchi, con decisione, da posizioni populistiche e demagogiche; che sappia interpretare gli interessi legittimi dell’imprenditoria più attiva e creativa, che sappia difendere gli interessi dei lavoratori veri, in grave crisi economica e di identità, che sappia prospettare ai governi nazionali, quali che essi siano, una politica per il Mezzogiorno che ritorni ad essere centrale nell’agenda politica nazionale ed europea. E chi non sarà su queste posizioni, dovrà essere considerato per quello che è, ossia un avversario politico, non un nemico ma nemmeno una sponda con la quale operare per la spartizione del potere.

Un partito che sia riconoscibile, dai suoi militanti e dai suoi elettori come dai suoi avversari, per la sua specifica personalità politica, sia che si discuta dei Fondi europei, sia che si profili un progetto culturale per la città in vista del fatidico 2013.

Che sia riconoscibile, ancora, per le scelte da assumere in materia di sicurezza dei cittadini come di accoglienza e integrazione degli immigrati. Che sappia ascoltare la società civile e la società che oggi si dice strutturata ma che non rinunci al governo e alla guida politica, secondo il mandato elettorale che la Costituzione gli affida. Che abbia rispetto delle istituzioni morali e giuridiche presenti sul territorio, che cerchi il dialogo ma senza alcuna subalternità.

E’ su questi temi che ci si dovrà confrontare e solo allora potrà nascere un gruppo dirigente degno del nome e delle aspettative dei tanti elettori oggi francamente disorientati anche se non ancora del tutto sfiduciati.

Ernesto Paolozzi

da “Repubblica-Napoli” del 27 gennaio 2008                                                                                                                                     Repubblica archivio