Ernesto Paolozzi e l’Estetica di Croce
di Clementina Gily Reda
Ernesto Paolozzi, L’Estetica di Benedetto Croce, Guida, Napoli 2017
“Riepilogando, sono tre almeno i significati fondamentali da conferire alla posizione crociana: l’arte è universale perché è un’attività trascendentale, ossia comune sostanzialmente e non solo empiricamente a tutti gli uomini; perché rende oggettive le intuizioni soggettive ed individuali attraverso la rappresentazione; perché in ogni singola rappresentazione si avverte l’intero dramma dell’universo sub specie intuitionis” cioè si conosce attraverso il sentimento, il senso delle cose. Questo particolare ed entusiasmante modo divedere l’arte ha convinto, per la complessità, intelligenza, vivacità, per il costante riesame di problemi, non solo Italiani ed Europei, ma addirittura il mondo a leggere Croce, tradotto in così tante lingue che è difficile anche fare l’elenco.
Certo, c’è poi la stranezza che proprio l’Italia ne abbia tenuto così poco conto per cinquant’anni, lasciando agli specialisti ed all’Istituto Italiano per gli studi storici di ricordarne il pensiero con una ricerca non sommatoria, non dovuta, com’è stato spesso invece per le citazioni delle storie della filosofia. Perché il carattere altamente problematico che impose lo stesso Croce alla sua opera, cambiandola, ripensandola, ponendola in nuovi problemi ogni giorno, e non solo di carattere di interpretazione letteraria, filosofica e politica- meritava di più, molto di più.
Gli studiosi stranieri si meravigliano di trovare spunti e storie crociane, oggi, meno in Italia che all’estero: è vero che orami tutti dispongono di tante traduzioni; ma è ancora più vero che non tutto è tradotto e che soprattutto non è tradotto il contesto dell’opera storico filosofica del periodo, che sola può dare ragione di tante svolte, parole, riflessioni. Essendo Croce forse anche troppo attento ascoltatore, oltre che pensatore e scrittore. Vivendo la filosofia con quella passione che tutti sanno – anche se il suo nome si lega più alla storia ed allo storicismo che alla filosofia – e persino questo fu solo il portato della polemica con Gentile ed i gentiliani, e non dovrebbe essere considerato che come una sciocca maldicenza.
Fa bene dunque Ernesto Paolozzi, che a Croce ha dedicato molti libri sin dalla tesi di laurea, pubblicata nel 1985 nella collana di Franchini iniziata con la mia monografia su Guido de Ruggiero. Ricordo questo per segnalare la vecchia amicizia che mi lega all’autore e anche la diversa lettura che io ho sempre dato e sempre dò alle pagine crociane, appunto quella che si precisò nella linea De Ruggiero- Collingwood, che iniziava dal punto centrale dell’intuizione-espressione la polemica col maestro, da loro riconosciutissimo ed amatissimo, ma non sempre condiviso. Com’è ovvio in filosofia, dove il dialogo evidentemente si fa su divergenze che diventano approfondimenti. Era infatti anche l’obiezione che altri fedeli crociani come Luciano Dondoli e Walter Binni rivolsero a Croce in nome di quel che chiamavano ‘il pensiero in mente’.
Dico questo per sottolineare l’ottica di Ernesto Paolozzi, visto che il carattere del libro del 1985 era fortemente polemico, affrontava uno dopo l’altro i vari autori dell’estetica del 900, a cominciare da Anceschi e Formaggio, ma continuando anche coi massimi europei, per mostrare come le obiezioni volte al pensiero di Croce fossero infondate. Era la filosofia di allora, in specie la filosofia di scuola ideal-storicista, che aveva imperversato nel primo cinquantennio del 900 creando scuole combattenti – anche per via di centrali questioni politiche e religiose. Essere atei o cristiani è una questione che va avanti da tempi lontani, ma il 900 ha aggiunto a questo agonismo quello ideologico, coi risultati tragici per l’orizzonte del libero pensiero che sono dinanzi a noi. Favoriti ovviamente dalle nuove tecnologie, che impediscono di parlare altro che per aforismi.
La questione appena accennata sul pensiero in mente, potrebbe essere rinnovata più o meno a proposito di tutte le altre importanti e grandi questioni di cui parla Ernesto Paolozzi, la moralità dell’arte, la sua autonomia dalla logica, la sua universalità, la sua cosmicità; per non dire dei generi letterari, tecnica, traduzioni e simili, laddove non c’è lettore che non abbia un’opinione e la difenda con calore. Su ogni cosa si possono citare infiniti contributi, su ogni tema si sono intrecciate diatribe degne della scolastica: non a caso, se si va a riguardare non tanto il lavoro dell’85 di Paolozzi perché la nostra scuola aveva misura, ma quella di altre opere coeve, spesso il contenuto era davvero breve, tutto il resto di pagine e pagine erano le note, fino alla compilazione di testi dottissimi quanto illegibili.
Qui, con intelligenza del presente, Paolozzi scende dalle 250 pagine alle 98 – e segue un altro modello di composizione. Espone le sue idee sull’Estetica di Croce, che esprimono la costante convinzione che Croce meriti molto più conferma che dissenso. Ed ha certamente ragione, pur avendo sempre discusso con lui di questo e di quello. Ma il bello è che ora è come se proponesse alla discussione i temi, dandone una specie di testo di presentazione.
Certo il tempo d’oggi impone più che mai di valutare il destinatario dell’opera; Croce scrive bene e chiaramente, se paragonato ad Hegel, Kant, Vico e via dicendo. Ma è sempre troppo difficile per il lettore medio di oggi; che vive una fase storica in cui si pensa sia tempo perso tutto quello che impedisce di lavorare, partecipare ai social, vivere lo sport attivamente o da spettatore. Se una volta il filosofo era in Italia molto considerato, oggi lo è molto di meno, la computistica e la robotica sembrano addirittura eliminare le classiche domande che una volta ogni adolescente si poneva e che ogni uomo affronta con soluzioni drastiche, l’eutanasia, la scelta personale del genere e del proprio futuro che sembra un virtuale da cliccare, a scelta. Certo, il mondo seguita ad andare come sempre: ma chi ha tempo di pensare… è travolto dall’onnipotenza del telecomando.
Non sarebbe certo perciò giusto costruire il Reader’s Digest delle opere filosofiche: di recente rileggevo il Trattato della Pittura di Leonardo e notavo quante cose si apprendono leggendo testi in quello strano italiano, che impone calma e pazienza… e ricordavo che appunto anche il Trattato è una selezione dai Codici Leonardeschi… ma se si volesse nei confronti dell’Estetica di Croce procedere ad un simile taglio, cosa fare di Platone? Che non è certo il più difficile.
Esistono gli interpreti, certo, ma il loro ruolo deve accettare il tempo d’oggi forse ragionando di exoterismo ed esoterismo, come si faceva nelle scuole antiche. Perché è davvero importante che la ricerca filosofica non resti confinata in piccoli gruppi di monaci: chi ha vissuto le recenti età di illuminismo trionfante, sa bene che forse a volte davvero partecipa al dialogo l’illetterato estremo; ma sa anche che da quell’illetterato talvolta ha imparato.
Ma se il lavoro comunicativo viene fatto dallo stesso autore, il ragionamento della riduzione – traduzione – coinvolgimento del testo diventa importante e sensata. È un’occasione per riprendere gli argomenti, ripensare, come è anche il caso di Croce, che è più conosciuto ai più attraverso il Breviario di Estetica, o l’Aestetica in nuce, che a parte le differenze che Paolozzi ricorda, sono anche una introduzione al modo d’impostare il problema tipico di Croce. L’Estetica, per essere il primo volume del ‘sistema’ (parola rigorosamente tra virgolette per i crociani) in realtà è una silloge, un programma grandioso, un libro entusiasmato ed entusiasmante. Un libro giovane e audace, che il Breviario però riconduce ai temi dell’Estetica, scritto come fu per le lezioni a Houston al Rice Institute del Texas.
Così Paolozzi fa benissimo a comunicare al mondo d’oggi il pensiero crociano di cui si è tante volte occupato – cui ha dedicato opere e siti che cita troppo poco – mostrando forse una sfiducia eccessiva nel mondo d’oggi. Essendo anche molto interessato di politica, passerà molto tempo su Twitter e simili, ma gli studenti sono sempre fecondi, c’è sempre chi approfondisce. E allora forse anche le sue pagine del 1985, con tutte le loro polemiche possono dare spazio alla riflessione, oggi che la ‘tarantola anticrociana’ come si diceva una volta pare che sia passata e che si stia tornando alla ragione, nel caso specifico.
Perché ridurre, è far passare l’essenziale. È vero che non tutti sono come Eraclito, che pure non a caso fu detto l’oscuro, ma che ancora merita d’esser letto. Ma abbandonare le polemiche del secolo breve è un guadagno sicuro. Personalmente credo nella filosofia rinascimentale e nel suo sincretismo; benché sia un’illuminista reputo sorpassata dalla rete ogni tendenza enciclopedica. Ormai quel che conta è la capacità di connessione, che la filosofia esercita in sommo grado. Perciò ritenni giusta la voce poi dimostratasi fallita, dell’opportunità di estendere la filosofia, la nuova filosofia, non la storia della filosofia, a tutte le scuole. Oggi sono personalmente convinta, come sanno i lettori di Wolf, della formazione estetica proprio perché il visualthinking è la capacità che occorrerebbe educare in tutti i cittadini di oggi e domani. Ma il problema è di metodo, di didattica.
Perciò ho apprezzato nel libro di Paolozzi più che i contenuti, a me in gran parte noti, per lo stile, la chiarezza, la profondità raggiunta da tempo: l’intento di una esposizione di tesi fondamentali, che chiarisse i pregi; seguita dalla tematizzazione di argomenti centrali delle discussioni, come ad aprire l’agorà ai nuovi commenti. Sarebbe opportuno che la discussione si accendesse, che le presentazioni fossero una palestra antica, dove far affacciare gli antichi ma anche i giovani. È un libro da portare a scuola, creando un evento didattico. Sarà perché ho insegnato per tutta la vita materie non allettanti e non promettenti lauti guadagni come altre, ma ho sempre trovato quei giovani attenti i cui occhi si accendevano d’entusiasmo, come mi aveva promesso Platone, letto nella prima gioventù; e seguito a trovarne anche ora anche se ogni tanto tirano fuori il cellulare e muovono per un po’ affannosamente il pollice.
Da “Il Giornale Wolf”, Anno XVI, Numero 4-5, febbraio – marzo 2017