Imbecilli senza bandiere nel paese operoso.
Il ministro Brunetta sostiene che in Italia un’ élite “di merda”, formata da radical chic, intellettuali snob e ricchi viziati che vivono alle spalle dello Stato, sta tramando per far cadere il governo democraticamente eletto dal popolo italiano. I suoi avversari rispondono accusando Brunetta di essere l’ espressione di quella piccola borghesia di destra (potevano dire “di merda” anche loro!), ignorante e rancorosa, invidiosa come la volpe che non può raggiungere l’ uva, tipica base elettorale dei fascismi di oggi e di sempre.
Santo Iddio. Fosse questa la descrizione vera del paese, non resterebbe che fuggire a gambe levate, forse perfino nella Libia del colonnello Gheddafi.
E invece, come ognuno potrebbe constatare se i telegiornali non oscurassero queste notizie, gli immigrati sbarcano tutti i giorni nel nostro paese fuggendo, appunto, da nazioni come la Libia. Certamente, il dubbio che il nostro paese reale sia realmente composto da imbecilli di sinistra e imbecilli di destra, talora ci prende. Ma questo accade se si rimane alla superficialità del dibattito politico in atto e all’ attuale estremizzazione e volgarizzazione che ne fanno mass media e uomini politici.
In realtà c’ è un paese profondo, intelligente e operoso che, se solo fosse messo in condizione di potersi esprimere, manderebbe tutti al diavolo. Noi del Sud ce ne accorgiamo più di altri, perché la rappresentazione folkloristica, folkloristico-camorristica che delle nostre terre la varia letteratura italiana da anni impone, è tale da non lasciare dubbi sulla capacità che invece tanti nostri concittadini hanno di mandare avanti la scuola, gli ospedali, le procure, gli uffici e, insomma, la nostra vita civile.
Dobbiamo concordare, dunque, con il cardinale Sepe che ci ha pressantemente invitati a non autocommiserarci e, per così dire, ad essere costruttivi.
Si avverte, dunque, la necessità di dare voce a tutti coloro i quali non vogliono più partecipare a questo dibattito drogato, estenuante, mortale, nel quale le nostre élite di governo, e parte delle élite di opposizione, ci stanno condannando da anni. È impresa difficile, ma non impossibile. E forse la stanchezza stessa che si avverte nei luoghi di lavoro, per le strade, nel bar, nei ristoranti, verso questa politica del massacro, dell’ insulto e dell’ odio, può rappresentare il fondamento grezzo sul quale costruire una reale alternativa.
Ma ciò richiede che vi sia un’ élite. Un’ aristocrazia, mi spingerei a dire, se i termini non risultassero equivoci. C’ è bisogno di un’ élite politica, come l’ avrebbe definita Mosca, ossia non di snob di sinistra o di affaristi di destra. Non di pseudo-intellettuali arrivati o di aristocrazia del sangue, ma di gruppi di uomini e donne in grado di disegnare un futuro (devo aggiungere di civiltà?) per il paese e di trovare mezzi e risorse per concretizzare tale disegno. Non si può aspettare che sia il popolo, di destra come di sinistra, a compiere questo processo. In ciò la verità profonda della cosiddetta teoria delle élite politiche.
Il cardinale Bagnasco ha richiamato il mondo politico alla sobrietà.
Ora, quanti sono gli italiani che comprendono il termine sobrietà e quanti quelli che hanno percepito a cosa alludessero le parole dell’ alto prelato? Tutti, ahimé, hanno capito cosa significa il termine “merda” usato del ministro Brunetta.
Qui non è in discussione il fatto che anche gli avversari di Brunetta dovrebbero usare un linguaggio simile a quello usato dal ministro qualche giorno fa. Meno che mai vescovi e cardinali. E nemmeno è in discussione l’ idea snobistica che gli italiani debbano tornare a scuola ad imparare a parlare in modo elegante e forbito.
Un imprenditore, un operaio, un’ infermiera, possono tranquillamente ignorare il significato del termine sobrietà e non per questo svolgono male il loro lavoro o non sono ottimi e correttissimi cittadini. Per tale ragione, e senza scomodare i fondamenti della democrazia, vi è la necessità che si crei un’ elite politica seria e rigorosa che sappia difendere i reali interessi, economici e morali, di quegli italiani che non appartengono all’ Accademia della Crusca ma sentono l’ esigenza e la necessità che si torni ad un dibattito politico sobrio, per l’ appunto, anche se civilmente e moralmente appassionato.
Certo è che se da un lato si parla di “mani nelle tasche degli italiani” e dall’ altro di cunei fiscali, la partita è persa in partenza.
Ernesto Paolozzi
Repubblica – 29 settembre 2009 pagina 10 sezione: NAPOLI Repubblica archivio