La libertà si può anzi si deve imporre.

Si può imporre la libertà? Si può ordinarla dall’alto? Giuliano Ferrara, con cruda chiarezza, ha posto questo interrogativo in un’intelligente trasmissione, “Diario di guerra” (La 7) a proposito delle costrizioni imposte alle donne musulmane. Ma, come è evidente, la domanda può essere estesa a tutte le religioni o confessioni, a tutti i regimi politici, compresi quelli democratici.

E’ la domanda centrale, a mio avviso, non eludibile e che, pure, fa paura porre. Sinceramente, penso che si debba rispondere di sì: la libertà si può, anzi si deve imporre. Il problema è intendersi, naturalmente, sul concetto di libertà. Partirei da modi di dire correnti: “sono schiavo dei sensi”; “mi sono liberato dai miei istinti peggiori”. Queste frasi, di uso comune, testimoniano che noi tutti avvertiamo la libertà non solo come la propensione a fare ciò che vogliamo, a realizzare le nostre propensioni e i nostri desideri. Ma anche come ciò che ci libera dal meccanicismo deterministico della nostra natura, delle nostre cosiddette inclinazioni naturali.

E’ il fondamento della morale kantiana, di quell’ imperativo categorico che sembra un vacuo moralismo ed è, invece, il fondamento della libertà moderna. Da un animale feroce ci difendiamo, ma non lo sottoponiamo a giudizio morale né ne processiamo i comportamenti secondo le leggi del diritto vigente. Condanniamo invece l’uomo o la donna feroci, che compiono atti feroci. Il non devi, il giudizio morale, è, dunque, possibile perché, a differenza degli animali siamo liberi di scegliere, e liberi di imporre a noi stessi un dato comportamento. Fino al sacrificio della vita.

La libertà, dunque, cominciamo ad imporla a noi stessi sin da bambini in quella difficile, complessa opera che è la civilizzazione, mai completamente conquistata e acquisita per sempre. In questo senso, in senso moderno, la libertà coincide con la morale e viceversa. In questo senso, storicisticamente, più che parlare di astratte regole della libertà, dobbiamo parlare di incessante lotta per la libertà.

Ma potremmo addurre molti altri esempi meno “filosofici”. Il liberale è favorevole alla spontaneità (si dice libertà) del mercato. Ma se il mercato produce trusts, concentrazioni di potere che minacciano la libertà di concorrenza, il liberale decide di imporre al mercato di essere libero, e così nascono le leggi anti-trust, le leggi che garantiscono la libertà di concorrenza. Le Costituzioni di tutti i tempi e di tutte le latitudini, più o meno ben congegnate che siano, tendono a codificare la libertà e ad imporla ai cittadini, compresi i rappresentanti politici e i magistrati.

Queste notazioni non sono un semplice esercizio intellettualistico. La crisi, la tragedia che stiamo vivendo, ci offre, almeno, l’opportunità di interrogarci radicalmente, se si vuole con elementarità, sui principii, sui valori che costituiscono la nostra civiltà e che a molti è sembrato si fossero consumati. E io penso che dobbiamo avere il coraggio di affermare che la nostra civiltà ci impone di essere liberi, di comportarci come tali, di garantire agli altri uguale libertà.

E qui si pone l’altro, drammatico, interrogativo: garantire a tutti uguale libertà, significa tollerare anche chi vuole conculcare la libertà? Si deve concedere la libertà di non essere liberi? Tutto sommato, sì, perché è, infondo, anch’essa una libertà, ma a patto che nessuno pretenda di imporci quella strana libertà che è la libertà di non essere liberi. Chi non vuole divorziare non divorzi e cerchi pure di persuadere gli altri. Ma non pretenda con la forza o con la legge di imporre il suo punto di vista, cattolico, ebreo o musulmano che sia.

Ernesto Paolozzi

Dal “Corriere Economia” del 29 ottobre 2001