Innovazione nel solco di Adriano Olivetti.

Nel 1955 Adriano Olivetti apriva a Pozzuoli una delle fabbriche più moderne d’Italia e d’Europa, sia per concezione industriale che per organizzazione delle condizioni del lavoro. Nell’idea di questo industriale colto e all’avanguardia, fra i pochi capaci di innestare nel nostro paese elementi di forte innovazione tecnologica (chi non ricorda le gamme dell’Olivetti?), il progresso industriale non poteva esser disgiunto dal progresso sociale, da uno sviluppo che si accompagnasse con il progresso.

La fabbrica di Pozzuoli si inseriva perfettamente in questo quadro, era una sorta di testa di ponte per un’industrializzazione civile e avanzata in una terra, il nostro Mezzogiorno, dove ancora mancavano sia l’una che l’altra.

L’opera di Adriano Olivetti verrà ricordata a Napoli con un convegno dal titolo “Industria e Mezzogiorno” che si terrà alla Camera di Commercio venerdì 4 maggio alle 15.30 con interventi di Eduardo Vittoria, Giocarlo Cosenza, Giuseppe Rao, Giovanni Lettieri, Erica Rizziato, Simona Giovannozzi e il sottosegretario allo Sviluppo economico Filippo Bubbico.

Se riflettiamo sulla nostra condizione attuale, la sensibilità olivettiana non è alle nostre spalle, ma si colloca nell’orizzonte del nostro futuro. Si pensi che nel 1956 l’Olivetti ridusse l’orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali, a parità di salario, in anticipo sui contratti nazionali di lavoro. Nello stesso periodo vennero costruiti interi quartieri per i dipendenti, nuove sedi per i servizi sociali, la biblioteca, la mensa. Si pensi che a realizzare queste opere vennero chiamati grandi architetti quali Figini, Pollini, Zanuso, Vittoria, Gardella, Fiocchi, Cosenza.

Mi spingerei a dire che il Partito Democratico nascente dovrebbe collocare quell’esperienza fra le fondamentali per costruire una vera, solida, democrazia economica. Un’utopia, come ha detto Simona Giovannozzi, che è fra le promotrici dell’iniziativa, che può servire ai nostri giovani per uscire dall’anomia e, vorrei dire depressione, che sentono di vivere.

‘Ben prima dell’avvento della globalizzazione e del concetto di Responsabilità sociale d’impresa, ha sottolineato, Adriano Olivetti, creava le condizioni per valorizzare l’intelligenza e il talento delle persone, soprattutto giovani, all’interno di un lavoro di squadra. Innovazione e promozione dei talenti sono state, infatti, alla base di questa straordinaria ‘avventura’ industriale, che vogliamo riproporre come valore positivo per le nuove generazioni, per la politica e per l’impresa, che oggi troppo spesso ha smarrito valori etici e il senso del suo ruolo sociale”.

Un’utopia, naturalmente concretamente operante, come preferisco dire per distinguerla dalle false utopie che disegnano irraggiungibili paradisi.

Il dibattito politico-economico attuale si dimena tra due opposti estremismi, fra lo Scilla dell’ortodossia interventista e il Cariddi dell’ortodossia liberista. Chi crede nelle ferree leggi della lotta di classe e chi in quelle, altrettanto ferree, del mercato. Nel mezzo i concreti lavoratori, operai, impiegati, precari, con i loro disagi, con le loro incertezze, con le loro sofferenze reali.

Non vi è dubbio che si devono tentare vie nuove, e ciò vale, ancor di più, per il Mezzogiorno d’Italia. Oggi si citano, di tanto in tanto, economisti diversi da quelli di scuola, un nome per tutti Amartya Sen, che intendono tracciare percorsi diversi per fronteggiare la cosiddetta globalizzazione. E’ un bene, indubbiamente. Ma sarebbe delittuoso non riconsiderare l’opera di chi ha già, a partire dagli anni Cinquanta, segnalato con previdenza e intelligenza le strategie da mettere in campo. Penso ai nostri meridionalisti migliori, all’esperienza di “Nord e Sud”, alle sofisticate analisi di quei tempi soffocate oggi da un dibattito troppo schematico e qualche volta semplicistico.

Fa piacere che il lungo ciclo di seminari organizzato da “Communitas 2002” in tante città italiane, parta proprio da Napoli. E’ un segnale di attenzione importante, nel momento in cui il banale conformismo imperante ha di fatto derubricato la questione meridionale dall’attenzione del pubblico dibattito.

Ernesto Paolozzi

Da “la Repubblica- Napoli”  del 4 Maggio 2007                                                                                                                                             Repubblica archivio