IL LIBERALISMO METODOLOGICO DI B. CROCE

 Da il liberalismo come metodo (Kairos edizioni, 2015) di Ernesto Paolozzi

Non vi è dubbio che l’ultima risposta crociana al problema dell’interpretazione del bene e del male, e della libertà come categoria etica, regolatrice della storia, ossia dei concreti rapporti politici ed economici, di cui si intesse la vita umana, presenta non pochi aspetti problematici, come la distinzione fra comportamento logico e comportamento etico, il primo comprensivo e giustificante, il secondo libero ed intransigente, distinzione che può degenerare in un insanabile dualismo: la riduzione dell’etica a metacategoria con relativa perdita della possibilità del giudizio in sede logica. Ma è altrettanto indubitabile che nell’interpretazione che ne abbiamo tentata, la risposta crociana rappresenta un momento fondamentale della storia della filosofia e del liberalismo contemporaneo. La riscoperta della vitalità come valore economico assoluto e la ridefinizione della moralità come cioè che nel disciplinare, ordinare e, per cosi dire, utilizzare l’utile, si deve mettere in relazione con quella che è stata definita teoria metapolitica della libertà, attorno alla quale troppo poco si discusso e, quasi sempre, partendo da pregiudizi fondati su una incomprensione pia politica che filosofica.

Per comprendere l’importanza di una filosofia è necessario disporsi non tanto a ricercare le verità assolute in essa contenute, quanto cogliere le falsità e gli errori che ha contribuito a distruggere. Se si dovessero giudicare le teorie filosofiche, le dottrine scientifiche, le religioni e le ideologie esclusivamente dalle presunte verità propugnate ed accertate, si porterebbe molta acqua al mulino degli scettici per il semplice fatto che molte di quelle verità, considerate in astratto fuori dal contesto nel quale sono nate, appaiono spesso stravaganze. Si rafforzerebbe il sentimento comune secondo il quale la storia del pensiero umano altro non è che un cumulo di sciocchezze che, per una sorta di malvagità universale, gli Stati o le famiglie impongono alle giovani generazioni di studiare, distogliendole da quel sano modo di vivere pratico che è comune agli animali (i quali, a loro modo, pur si tramandano una storia di esperienze e ragionamenti) e che consisterebbe nel soddisfare il proprio piacere individuale.

Gli innumerevoli sostenitori di questa teoria scettica dimenticano, coerentemente con il loro metodo, che anch’essa è apparsa più volte lungo il faticoso cammino delle “sciocchezze” filosofiche, che è essa stessa una filosofia di cui non pochi autorevoli filosofi si son fatti sostenitori accaniti e, talvolta, sottili.

Ma certo è che la teoria delle idee di Platone se non riferita all’errore che cercava di abbattere, ossia il relativismo sofistico, appare come una bizzarria. E tale può apparire il giusnaturalismo, se non si comprende che il diritto naturale intendeva opporsi essenzialmente ai privilegi tardo medioevali. Allo scienziato contemporaneo appare piena di contraddizioni e quasi inutilizzabile l’intera scienza moderna, se non la si pensa in contrapposizione all’ aristotelismo.

Se è ben inteso, dunque, il pensiero di Croce è di grande importanza certamente per ciò che nega. La dimensione storica conferita alla libertà come etica che costantemente si oppone al suo contrario, se non può indicare dottrine giuridiche o istituzionali perfette, se non disegna percorsi da seguire in campo strettamente politico, indica una strada più larga, che porta lontano. Ammonisce a non confondere una particolare esigenza della storia e della vita con l’esigenza unica e assoluta, come dire, evita il rischio che il liberalismo stesso si cristallizzi e si fossilizzi in una ideologia. Apre la via al confronto con le altre esperienze politiche collocando il liberalismo in una posizione di tolleranza e intransigenza assieme. Evita il rischio che il liberalismo corre di identificarsi con interessi particolari o di parte. Lascia alle concrete scelte politiche la necessaria libertà per svolgere la loro azione, indicando nella coscienza etica individuale e collettiva il limite invali­cabile di ogni azione politica. Il pen­siero crociano dà la possibilità di esercitare, assieme, la pratica del governo come la pratica dell’opposizione; conferisce al liberalismo, elevandolo a strumento dello spirito critico, una insostituibile funzione. Restituisce all’azione politica liberale quel senso etico, quella passione di cui deve sostanziarsi per non ridursi a mera tec­nica di governo.

Se poi, come abbiamo cercato di mostrare, la concezione metapolitica della libertà va messa in stretta relazione con le riflessioni sul rapporto eticità- vitalità, lo storicismo crociano incarna una severa criti­ca, nel senso ampio e generale del termine, della nostra epoca, uno strumento essen­ziale di comprensione e trasformazione della società di cui teoria e una prassi politi­ca moderne hanno assoluto bisogno. La politica, infatti, è in crisi di idee e di valori. Si va sempre più rinchiudendo nell’ ambito delle mere tecniche di ricerca del consenso o di governo di una società presunta, più che conosciuta. La politica deve crearsi un nuovo linguaggio, deve tornare, come una volta, ad occuparsi dell’uomo nella sua totalità, perché l’uo­mo non è mai solo homo faber o agens ma è sempre uomo intero. La morte delle ideologie non può essere la morte dell’uomo con le sue speranze, i suoi dolori e le sue gioie, che non sono solo politiche ma che con la politica hanno sempre a che fare. La sfida del liberalismo moderno consiste nel sapersi sostituire alle vecchie ideologie senza divenire ideologia, nel ridiventare, insomma, un vero movimento etico-politico.

Se ciò è vero diviene impossibile allora ignorare le indicazioni che il liberalismo metodologico di Croce suggerisce a chi voglia incamminarsi per questa via. Lo stes­so percorso formativo del filosofo, di cui va tenuto conto per comprenderne appieno i suggerimenti, parte infatti dall’esperienza dell’ideologia marxista prima di appro­dare ad un liberalismo per tanti aspetti diverso da quello tradizionale che ha, in parte, esaurito la sua spinta propulsiva. Attraverso l’esperienza maturata a contatto con il marxismo di Antonio Labriola, come Croce ricorderà più volte, egli apprese il valore dell’utile e dell’economia in quanto elementi positivi della storia e “scoprì” la necessità della forza come momento essenziale dello svolgimento storico come già in Italia, sempre secondo Croce, avevano intuito Machiavelli e Vico. E’ qui la prima radice di un certo anti­giusnaturalismo crociano che rimarrà costante fino all’ultima fase della ricerca del filosofo.   Nel confronto critico con il marxismo prima e  con l’idealismo hegeliano poi,  matura la scelta teorica fon­damentale del suo pensiero e  la conseguente fondazione di quel liberalismo storicisti­co che rappresenta un’innovazione nell’ambito del liberalismo classico.

La critica alla dialettica hegeliana, da non intendersi soltanto come opposizione e superamento dell’opposizione, ma come presupposta e assieme preparante la distinzione, è il punto fondamentale da tenere costantemente presente. La logica (e non dialettica) dei distinti rappresenta in teoria una non banale concezione del pluralismo. E la critica alla dialettica come continuo superamento degli opposti rappresenta la prova logica della infondatezza di quelle filosofie della storia che pretendevano di segnare il corso della teoria stessa dive­nendo, sul piano politico, delle filosofie di fatto totalitarie. La filosofia di Croce, al contrario, si fonda sull’idea che l’elemento conoscitivo fondamentale è il giudizio, che è sempre legame di un universale con il particolare ma in senso storico e, quin­di, mai definitivo.

Questo storicismo, come lo stesso Popper ha riconosciuto, è totalmente differen­te dagli storicismi classici e costituisce la base senza la quale non è possibile com­prendere la teoria metapolitica della libertà, ossia il liberalismo metodologico di Croce.

Le pagine più note che il filosofo scrisse sulla libertà sono quelle dedicate alla religione della libertà, che formano l’epilogo della Storia d’Europa scritta nel 1931. Pagine belle e pregnanti, che possono tuttavia fuorviare il lettore proprio per l’accento posto sul­l’aspetto etico, quasi un inno alla libertà in un momento di grave pericolo più che una argomentazione in favore della libertà. Mentre gran parte del mondo occidentale cade preda del fascismo e dello stalinismo, la Storia d’Europa, con coraggio e lungimiranza prospetta un futuro alla libertà quasi fosse, per così dire,  intrinseca alle cose stesse. Forse, e senza forse, queste pagine furono scritte per dar coraggio a quanti si sentivano in pericolo, a chi riteneva oramai persa per sempre la partita, o stava per scivolare verso forme di scetticismo etico: a costoro Croce ricordava che la libertà ha per sé qualcosa di più del futuro, l’eterno, e li invitava, in conclusione, a non perdersi d’animo, ad avere fede nell’avvenire e, soprattutto, a non smarrire la forza della propria coscienza morale che prepara l’avvenire.

 “Queste, scriveva infatti Croce, rapidamente qui accennate, non sono previsioni, a noi tutti vietate non per altro che per essere vane, ma indicazioni di vie che la coscienza morale e l’osservazione del presente tracciano a coloro i quali, nei concetti direttivi e nella interpretazione degli eventi del secolo decimonono, concordano con la narrazione datagli in questa storia. Altri, con diversa mente, diversi concetti, diversa qualità di cultura e diverso tempe­ramento, presceglieranno altre vie, e, se ciò faranno con animo puro, obbedendo al comando interiore, anch’essi bene prepareranno l’avvenire. Una storia informata al pensiero liberale non può, neppure nel suo corollario pratico e morale, terminare con la ripulsa e la condanna assoluta dei diversamente senzienti e pensanti. Essa dice soltanto a quelli che pensano con lei: -Lavorate secondo la linea che qui vi è segnata, con tutto voi stessi, ogni giorno, ogni ora, in ogni vostro atto; e lasciate fare alla divina provvidenza, che ne sa più di noi singoli e lavora con noi, dentro di noi e sopra di noi-. Parole come queste, che abbiamo apprese e pronunciate sovente nella nostra educazione e vita cristiana, hanno il loro luogo, come altre della stessa origi­ne, nella ‘religione della libertà.”[1]

Pagina dallo stile alto, che può ancora, in chi sa immedesimarsi nella condizione storica e psicologica dell’epoca di Croce, destare emozione, ma che sembra dir poco da un punto di vista squisitamente filosofico.

Si delinea un progetto che in parte rimarrà un sogno, quello di proporre una religio­ne laica che abbia la stessa forza di suggestione delle religioni positive, ma non sembra emergano elementi teorici tali da giustificare la pur nobile aspirazione morale e politica ad affermare e promuovere la libertà. Eppure, se si approfondisce l’intera filosofia crociana, si scorge chiaramente che essa contiene elementi squisitamente filosofici, una teoria, appunto, metapolitica della libertà, che noi preferiamo chiamare del liberalismo metodologico. Il saggio fondamentale, a cui si deve far riferimento, è il breve scritto del 1940 Principio ideale teoria. A pro­posito della teoria filosofica delle libertà. Riferimento, oltretutto, quasi obbligato perché sono pochi i luoghi nei quali Croce espressamente tratta dell’argomento.

  “Nella teoria filosofica, scrive, della libertà sono da distinguere, affinché la trattazione ne riesca compiuta e limpida, tre aspetti o tre gradi: il primo dei quali è della libertà in quanto forza creatrice della storia, suo vero e proprio soggetto, tanto che si può dire (in senso alquanto diverso da quello hegeliano) che la storia è storia della libertà.”[2]

Con ciò Croce vuol dire, ( in modo alquanto diverso da Hegel) non che la storia, lo spirito del mondo, tracciano un disegno perfetto (a volte oscuro ai protago­nisti, ma non alla storia stessa) secondo il quale la libertà si realizza sempre e comunque anche attraverso il suo necessario contrario, ma vuol dire che la libertà è insita nello stesso operare umano, che ogni azione morale, politica, logica o estetica, presuppone, come Croce specifica in tanti passi delle sue opere, un atto di libertà. Dal che non si può e non si deve dedurre né che ogni azione umana coincida con la libertà (perché qui entra in gioco la dialettica hegeliana intesa come necessità del superamento dell’opposto, ossia della illibertà che è dunque esistente) né che ogni atto umano incarni una tappa del metafisico percorso della libertà, secondo un’altra interpretazione della dialettica hegeliana che Croce totalmente rifiuta.

Ma qual è lo scopo di questa argomentazione che, se pur vera può apparire ovvia e poco utilizzabile? Bisogna pensare, a questo punto, al valore che questi argomenti ebbero e sempre avranno nei confronti dei negatori della libertà, che sono sempre molti e molto spesso argomentativamente agguerriti. Troppo spesso, immersi come siamo nei nostri convincimenti, discutiamo delle funzioni del liberalismo e delle attuazioni politiche della libertà, dando per scontato che si sia dimostrato che la libertà è un valore condiviso, un dato acquisito, una certezza da cui partire. Purtroppo, non è affatto così. Basti pensare, per non ricordare le volgari e irrazionali requisitorie antiliberali, alle grandi filosofie deterministe e meccaniciste, dall’atomi­smo allo spinozismo, fino a un certo illuminismo dei nostri giorni, le quali molto spesso, contro il volere dei loro autori (classico è il caso drammatico di Spinoza), nella sostanza, per logica conseguenza, finivano col negare il principio stesso della libertà.

 “Il secondo aspetto, scrive Croce proseguendo nel suo discorso, o il secondo grado è la libertà non come forza motrice e creatrice della storia, ma come ideale pratico che intende a creare nella società umana la maggiore libertà, e perciò ad abbattere tirannie e oppressioni e a porre costumi, istituti e leggi che valgano a garantirla. Se si va al fondo di questo ideale, si ritrova che esso non è in niente diverso né distinguibile dalla coscienza e azione morale, e che alla coscienza e volontà di libertà mettono capo e in essa si risolvono, tutte le virtù morali e tutte le definizioni che sono state date dall’etica, le quali variamente ne ripongono il fine nel rispetto della persona altrui, nel bene dell’universale, nell’accrescimento della vita spirituale, nel procurare che il mondo si faccia sempre migliore, e via discorren­do, cioè, in ultima analisi, nel volere che contro avversioni e impedimenti trionfi la libertà e spieghi la sua forza creatrice di vita.”[3]

Quest’ultimo passaggio dell’argomentazione di Croce è da tenere costantemente presente per poter comprendere il senso dell’intera sua teoria. Il punto centrale è l’i­dentificazione della libertà con la moralità e della moralità con la capacità di espri­mere la forza creatrice dell’individuo contro ogni forma di costrizione e, ancora, l’i­dentificazione della volontà morale con il bene universale per cui l’affermazione delle capacità individuali deve avere come fine, kantianamente, un valore universa­le. Questa identificazione, a nostro modo di vedere, contiene già implicitamente il terzo aspetto che Croce delinea, perché quest’ultimo è come se fosse l’attuazione concreta di esso o, forse meglio, il dato di fatto che la teoria filosofica della libertà cerca di spiegare. Infatti,

“il terzo aspetto o grado, scrive Croce, qui considerato della libertà è l’elaborazione della sua forza e del suo ideale a concetto filosofico in una generale concezione della realtà che lo definisca e giustifichi; il che importa l’intima unione della sua teoria con la storia della filosofia, alle cui vicende è andata e va soggetta. Nel lungo dominio della filosofia metafisica e trascendente, non trovò il posto che gli spettava e durò difficoltà a riaprirsi il varco; e anche quando la coscienza della libertà si fece vivissima, fu tale piuttosto nel sentimento e nell’azio­ne che non nel pensiero.”[4]

Il tentativo crociano, dunque, è quello, per usare una terminologia diversa, di formulare una teoria fondativa della libertà, di collocarla in una più generale visione del mondo che la giustifichi pienamente ponendola al riparo dalle tante critiche mossegli nei secoli e soprattutto dal marxismo e dall’irrazionalismo fascista e nazi­sta. Ma anche qui bisogna stare attenti: la fondatività di Croce non è simile alle teo­rie politiche che cercano in uno specifico contenuto politico, sociale o economico, il fondamento stesso per dimostrare la superiorità della libertà. Croce non intende, infatti, imprigionare il concetto di libertà a una dottrina particolare. La lezione hegeliana e vichiana gioca qui un ruolo importante: oltre alle considerazioni kantiane, secondo le quali è buona soltanto una buona volontà, la storicità delle azioni umane suggerisce a Croce di diffidare delle teorie deterministiche della libertà, giacché esse rischiano di tra­mutarsi nel loro opposto, di offrire all’avversario la possibilità di identificare il libe­ralismo e la libertà con un “fatto” storico particolare che in quanto tale può o deve essere superato.

Già nel 1924 Croce nel saggio dal titolo emblematico, La concezione liberale come concezione della vita, asseriva che per arrivare ad una concezione ampia della libertà non è pos­sibile riferirsi ad un solo partito.

“Si è fatto accenno al partito liberale, afferma, ma come a semplice partito fra i partiti, senza alcuna prerogativa rispetto agli altri negli intrecci della lotta politica, e soggetto alle leggi stesse degli altri tutti. Si è messo in un fascio con le altre astrazioni giusnaturalistiche, la ricerca dello stato ottimo, e perciò anche la determinazione di quello liberale come stato ottimo, perché ogni forma particolare e storica di stato è degna di nascere e degna di morire, si attua tra contrasti e lotte e cede a nuove attuazioni e a nuovi correlativi contrasti e lotte.” [5]

Non vi è, dunque, un partito che si possa dire assolutamente liberale (Croce si era soffermato sulla questione dei partiti nell’interessante saggio, Il partito come giudizio e come pregiudizio, nel quale si specifica con molto rigore e con molta attualità il ruolo non aprioristico che i partiti debbono assumere), perché non vi é una teoria politica identificabile con l’essenza della libertà.

In questa prospettiva si devono interpretare le discussioni intorno a quello che potremmo definire il democraticismo egalitario e, quella più nota, sul cosiddetto liberismo economico. Il primo, infatti, teorizzando un ideale assoluto di giustizia, di fatto, in quanto assoluto, limiterebbe  sostanzialmente  la libertà, la libertà stessa del diritto e della giustizia di evolversi e compenetrarsi con la realtà storica,  il secondo promuoverebbe un particolare assetto economico come unico e assoluto fondamento di una concezione morale,  riducendo irrimediabilmente l’uno e l’altra ad un momento particolare della storia, così costringendo la libertà ad incarnare un ruolo contingente e transeunte.

Per Croce, se così è lecito dire, la libertà produce l’eguaglianza e la giustizia, non può subirle, perché se ciò avvenisse, finirebbe la libertà e, con essa, uguaglian­za e giustizia, come è accaduto in alcuni eccessi del giacobinismo prima e in molte versioni del comu­nismo poi.

 “… prima e fondamentale la libertà, precisa Croce, la quale, senza alcun preconcetto, discer­ne, ammette e sancisce l’uno o l’altro ordinamento che si dimostri moralmente più salutare e, con ciò stesso, economicamente più proficuo nelle particolari condizioni storicamente date. La diade delle ‘dee superstiti, Giustizia e Libertà’, di cui cantava il nostro Carducci, si può ben risolvere nell’unicità della Dea, che in quanto è libertà, ossia coscienza morale, è regolatrice di giustizia.”[6]

L’identificazione del liberalismo con l’economia di mercato consentì ai marxisti e a molti economisti anche di formazione liberale, di attaccare l’intero movimento liberale: identificando il liberalismo con le cosiddette libertà formali e il liberismo econo­mico  con alcune , determinate forme del capitalismo. Ancora oggi le polemiche attorno al cosiddetto pensiero unico, al liberalismo globalizzato, si fondano su quella iniziale sovrapposizione.

E, sempre riferendosi all’aspetto etico del liberalismo, il filosofo specifica in che senso non sia possibile identificare singoli istituti o tecniche di governo con la rea­lizzazione della libertà:

 ” L’assenso morale che si dà a particolari istituzioni non si riferisce alla loro astratta forma, che il giurista propriamente considera, ma alla loro efficacia pratica in dati tempi e luoghi e circostanze e situazioni, e perciò, per dura­turo che sia, è sempre condizionato e transeunte: tanto che congegni di libertà che paiono perfetti giuridicamente possono essere effettivamente strumenti di illibertà, e all’inverso. Anche il Montesquieu, che assai si travagliò in questi problemi e for­mulò la famosa teoria dei tre poteri, esecutivo, legislativo e giudicante, che si fanno ostacolo a vicenda e, costretti a muoversi col movimento delle cose, sono costretti a procedere d’accordo, non era in grado di sostenere che con questo meccanismo isti­tuzionale si generasse e mantenesse libertà e s’impedisse servitù, perché, se manca l’animo libero, nessuna istituzione serve, e se quell’animo c’è, le più varie istituzio­ni possono secondo tempi e luoghi rendere buon servigio.”[7]

E’ questa, sinteticamente, la posizione di Croce che, come detto in anticipo, serve innanzitutto come antidoto verso ogni forma di prevaricazione della creatività libera, e, contrariamente a quanto si è ritenuto sulla scorta di interpretazioni superficiali, a conferire al liberalismo concretezza e senso della realtà.

Ma cosa è la teoria filosofica della libertà di cui sembra vietato parlare, determi­narne i contenuti, specificarne i confini, delimitarne i concetti e le norme? Croce non si nasconde il problema: “Ma, scrive, la concezione liberale, propriamente detta, è rimasta fuori del quadro di sopra tracciato. Perché?

 “Perché, in verità, questa concezione è metapolitica, supera la teoria formale della politica e, in certo senso, anche quella formale dell’etica, e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà. L’omissione, dunque, che se n’è fatta innanzi, non è disconoscimento della sua importanza, ma per contrario, un modo implicito di riconoscerla pertinente a una sfera diversa e superiore”.[8]  

E non si nasconde che essa è suscettibile di forti e aspre critiche che sembrano essere le stes­se critiche che si mossero all’etica di Emanuele Kant:

 “Cosicché, sempre che si ode (e s’ode di frequente) tacciare la concezione liberale di ‘formalistica’, ‘vuota’, ‘scet­tica’ e ‘agnostica’, conviene girare quest’accusa alla filosofia moderna, che ne è toc­cata in modo più diretto e che cura di rispondervi con tutta se stessa: la filosofia moderna, che ha rinunziato alla pretesa di essere mai ‘definitiva’, e perciò a ogni dogmatismo, appagandosi di essere, in cambio, perpetuamente viva e valida a porre e risolvere i problemi che all’infinito si generano dalla vita, e a svolgere in perpetuo i dogmi senza mai annullarli ma sempre approfondendoli e accrescendoli. La con­cezione liberale, come concezione storica della vita, è ‘formalistica’, ‘vuota’, ‘scet­tica’ e ‘agnostica’ al pari dell’etica moderna, che rifiuta il primato a leggi e casisti­che e tabelle di doveri e di virtù, e pone al suo centro la coscienza morale; al pari dell’estetica moderna, che rifiuta modelli, generi e regole, e pone al suo centro il genio che è gusto, delicato e severissimo insieme. Come questa estetica vuole non già servire a scuole e scuolette, ma interpretare le aspirazioni e le opere degli spiriti originali e creatori, così la concezione liberale non è fatta pei timidi e per i quietisti, ma vuole interpretare le aspirazioni e le opere degli spiriti coraggiosi e pazienti, pugnaci e generosi, solleciti dell’avanzamento dell’umanità, consapevoli dei suoi travagli e della sua storia.” [9] 

In queste pagine è insito un altro aspetto fondamentale del liberalismo crociano: il suo implicito essere un liberalismo in certo qual modo “rivoluzionario”, critico, da ecclesia pressa, come Croce stesso afferma, più che da ecclesia triunphans, in quanto costante promotore di novità, di originalità. Come un movimento che è costantemente critico della sua epoca. E’ così: anche se talvolta l’atteggiamento politico cro­ciano è parso e può apparire (ed in parte è stato) moderato o conservatore.

Ma un equivoco, certamente, è da considerarsi la presunta opposizione crociana ai concetti di uguaglianza, di democrazia, di progressismo liberale. Croce, com’è chiaro da tutta la sua filosofia e dalle lunghe polemiche condotte su tali questioni, non accolse i concetti di uguaglianza o di giustizia, o l’identificazione di libertà e democrazia allorché questi concetti assunsero un significato matematico o se, come accadeva presso alcune versioni del socialismo, intendono sostituirsi alla libertà o rappresentare l’unica effettuale realizzazione di essa.

Per la prima questione, in una pagina poco nota, Croce cita addirittura Russell per giustificare la propria tesi: “Ma fra le utopie una ve n’ha che sovraneggia sulle altre perché veramente, laddove le altre si ribellano a una o altra delle singole cate­gorie, essa intende a modificare lo stesso corso dialettico della storia: l’utopia che pone l’ideale nella eguaglianza. L’eguaglianza non è un concetto che abbia luogo nella storia e nel mondo o in alcuna parte e in alcuna epoca della storia del mondo, perché appartiene unicamente alle matematiche, che operano per astrazioni e di cui forse la più adeguata definizione è quella che ne ha dato il matematico e filosofo Russell, come della scienza nella quale non si sa mai di che cosa si parla, né se ciò di cui si parla sia vero”. [10]

Non è possibile, in politica, nella vita concreta, rendere operante un concetto totalizzante di uguaglianza, perché l’uguaglianza annulla la differenza: la vita, non meno della politica, al contrario, altro non è che una serie di differenze, come a tutti dovrebbe esser chiaro, giacché il massimo dell’uguaglianza è l’identità, concetto assurdo se non appunto per le matematiche. Il secondo modo di intendere l’uguaglianza, soprattutto nel senso della giustizia e di quella sociale in particolare non è, naturalmente, osteggiato dal filosofo in sé e per sé, come sforzo, come sensibilità morale, come dovere da compiere, ma in quanto concetto assoluto, come termine ultimo da raggiungere (semmai con la vio­lenza), come conseguimento di una giustizia perpetua, impensabile in teoria quanto irrealizzabile nella prassi. Questo ideale dottrinario, come anche i fatti hanno dimo­strato, contiene in sé, e Croce lo sottolinea, il germe della dittatura e dell’autoritari­smo, giacché la democrazia, la giustizia, l’uguaglianza, pensate come assoluti e rea­lizzate come società perfette, comprimono la libertà e generano, com’è accaduto con il socialismo reale nei Paesi dell’Est, sistemi dittatoriali nei quali la prima a scomparire è proprio la giustizia la quale, infatti, presuppone la libertà.

Sono questi gli elementi sostanziali della polemica di Croce che, in qualche modo, egli esercita anche nei confronti di alcune forme di contrattualismo (e del connesso giusnaturalismo) allorché queste possono assumere la forma di una teoria assoluta della libertà e, per ciò stesso, cadere in contraddizione. De Ruggiero spiega bene questa possibilità dal punto di vista delle teorie economiche, del presunto dirit­to naturale alla proprietà:

 “Ma dalla stessa concezione giusnaturalistica derivano alcune imprevedibili conseguenze, che l’intaccano alla base. Se la proprietà è essen­ziale allo spiegamento della libertà naturale dell’uomo ciò vuol dire che non soltan­to alcuni uomini debbono goderne come di un odioso privilegio, ma che tutti gli uomini debbono essere proprietari. Così, quello stesso giusnaturalismo che consa­crava la libertà individuale e in servigio di essa smantellava la rocca della feudalità, poneva in essere l’opposta concezione del comunismo. (….) La negazione radicale dell’individualismo procede così dal logico sviluppo del concetto dell’individua­lità.” [11]

Questi, dunque, i tratti essenziali del liberalismo metodologico di Croce. Metodologico perché presenta il principio di libertà come un metodo d’interpretazione degli avvenimenti storici, principio che nella prassi politica diventa l’impegno quotidiano di una classe politica liberale nella mentalità e nei comportamenti. Metodologico perché nega che la libertà sia un “fatto” fra altri “fatti” che coincida con una particolare teoria economica o con un particolare siste­ma giuridico o politico. Il liberalismo metodologico, naturalmente, presenta delle opportunità che possono tramutarsi in traversie com’è nella natura delle vicende umane, può capovolgersi nello scetticismo o nell’utilitarismo se male interpretato.

Il liberalismo metodologico è moralmente apprezzabile perché sancisce la diffe­renza e teorizza (oltre che auspicare) la tolleranza, tanto che, com’è stato notato, si spinge a formulare una teoria politica che in parte esautora i partiti liberali storica­mente costituitisi i quali, per i motivi che si possono facilmente comprendere, non possono aspirare ad essere l’unico veicolo della libertà, ma semmai ad essere uno strumento privilegiato fra gli altri.

Il liberalismo crociano è eticamente apprezzabile, dunque, ma non indica i limiti e, per così dire, i confini di se stesso, favorisce, rispetto alle altre dottrine liberali, il dialogo con i movimenti che esprimono esigenze sociali e religiose di giustizia e solidarietà, ponendo l’unico limite nell’irrinunciabile preliminare principio di libertà, ma non può indicare quale sia il punto nel quale il limite è superato e il principio di libertà vanificato.

Perciò riteniamo non essere una mera esercitazione accademica ricercare nell’i­deale illuminista, nelle esigenze giusnaturaliste quegli elementi che possano dare risposte alle ansie di certezza che dominano l’uomo contemporaneo. Lo stesso Croce, più volte, manifesta quest’ansia, e non soltanto nelle drammatiche pagine sulla Vitalità. Va recuperata nel seno stesso del liberalismo metodologico la dimen­sione regolativa del contrattualismo e, dunque, la giusta valenza che il dover essere deve riconquistare rispetto all’essere, troppe volte brutale e incomprensibile: il recu­pero, dunque, dell’utopia liberale. Se il moderno contrattualismo non intende pre­sentarsi come l’unico e assoluto liberalismo ma come uno sforzo Kant sottraeva la moralità alla sfera del diritto, e con ciò compiva una profonda rivoluzione nell’ambito della filo­sofia e dell’etica moderna. Potremmo dire che Croce ha sottratto la logica filosofica alla schiavitù delle dottrine politiche e giuridiche contemporanee. Ma Kant disegna­va le sfere del diritto e, a suo modo, conferiva loro un valore regolativo (più che normativo), aprendo le porte ad una concezione utopica della politica e della libertà. Dove utopia, naturalmente, non significa sogno o mero gioco dell’immaginazione, ma significa porre un ideale, uno scopo per indirizzare la nostra azione.

Croce, riassumendo la posizione ch’egli stesso aveva assunto come guida del rinnovamento culturale italiano, scriveva che il pensiero filosofico italiano “rifiutan­do molte dottrine dello Hegel, aveva rifiutato, tra le prime, l’esaltazione dello stato di sopra la moralità, e ripreso, approfondito e dialettizzato la distinzione cristiana e kantiana dello stato come severa necessità pratica, che la coscienza morale accetta e insieme supera e domina e indirizza”[12]

I problemi agitati sono forse molti e le soluzioni proposte non definitive: ma la necessità dei tempi imponeva di tentare di delineare un’argomentazione che, almeno, disegnasse i confini di un terreno comune di discussione. Anche se i tempi non sono drammatici come quelli nei quali Croce scriveva il suo saggio A proposito della teoria filosofica della libertà, per concludere, possiamo comunque ricorrere alle sue stes­se parole:

 “… Non posso chiudere queste pagine senza dire che l’argomento ha così molteplici aspetti e s’intreccia a tanti e tanto gravi problemi della vita e della storia da richiedere la forza e la solerzia di molti studiosi,- i quali è da augurare che non mancheranno a questo alto dovere.” [13]

Note

[1] B. Croce, La religione della libertà, Milano, 1966, a cura di G. Cotroneo, p. 170. Per utilità del lettore, tutte le citazioni crociane sono state tolte dall’antologia degli scritti politici curata da Cotroneo, data la difficile reperibilità dei vari saggi di Croce.

[2] Ivi, p. 101.

[3] Ivi p. 102.

[4]  Ivi, p. 104.

[5] Ivi, p. 113.

[6] Ivi, p. 109.

[7] Ivi, p. 111.

[8] Ivi, p. 113.

[9] Ivi, p. 119.

[10]  B. Croce, Parità degli uomini nella libertà, in Terze pagine sparse, Bari, 1949. Ora in B. Croce, La reli­gione, cit., p. 134.

[11] G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari, 1925, p. 29.

[12] B. Croce, Storia d’Italia, Bari, 1928.

[13] B. Croce, La religione, cit. p. 112.

 

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