La filosofia e il metodo liberale nell’itinerario filosofico di Ernesto Paolozzi.
“L’incertezza è sul piano psicologico l’equivalente della libertà sul terreno filosofico ed etico politico. Imparare a vivere nell’incertezza significa imparare a vivere nella libertà”
In questo aforisma, che si può leggere nel volume Il liberalismo come metodo, (edito da Kairòs, Napoli,2015), si può rintracciare il nucleo teorico del liberalismo nell’interpretazione di Ernesto Paolozzi. Volendo riassumere drasticamente, potremmo dire che la dimensione metodologica del liberalismo nella versione proposta da Paolozzi si innesta nella tradizione del liberalismo crociano, dello storicismo dialettico, messo a confronto, in un lungo e complesso itinerario, con l’epistemologia contemporanea e col pensiero della complessità.
Liugi Giusso così sintetizza tale versione del liberalismo: “Il ‘liberalismo metodologico’ (così Paolozzi preferisce chiamarlo, anziché, alquanto equivocamente e pomposamente, ‘teoria metapolitica della libertà’) costituisce l’essenza dell’avanzatissima teoria politica di Croce, che non lega, in linea di necessità logica, il liberalismo politico a nessuna forma di organizzazione economica della società, e quindi nemmeno al liberismo economico (ciò in contrasto, a suo tempo, con un Einaudi o un Ropke, e oggi con il liberal-liberismo radicale di un Friedrich Von Hayek). (1)
Come abbiamo accennato, a questa conclusione si giunge nell’ambito di una rilettura del pensiero critico-dialettico, grazie all’approfondimento del rapporto fra filosofia, storiografia e scienza nell’orizzonte dell’evoluzione dell’epistemologia così come si configura soprattutto nelle tormentate interpretazioni crociane. Una rilettura dello storicismo messo a confronto col dibattito epistemologico contemporaneo che occupa un ampio spazio della riflessione di Paolozzi. “Questo lo ha condotto, sottolinea Giuseppe Gembillo, alla famosa quanto fraintesa interpretazione della scienza classica, che Paolozzi esamina evidenziando sia la consonanza di Croce con le tesi di Mach e Poincaré, sia con quelle di Prigogine e Maturana, dimostrando che la critica dello scientismo tradizionale affonda le proprie radici nella più consapevole analisi critica della scienza di ieri e di oggi, frutto delle riflessioni di grandi filosofi come Vico e Hegel e dei grandi scienziati che hanno cambiato profondamente il significato del termine ‘scienza’, storicizzandola.
Analoga profondità il discorso di Paolozzi presenta a proposito delle innumerevoli riflessioni crociane sull’Economia, sull’Etica, sulla Politica. Quest’ultimo argomento è particolarmente caro all’autore che lo ha affrontato in molte occasioni e lo ha praticato anche nella sua esperienza quotidiana di cittadino ‘impegnato’, come si diceva qualche anno fa. Ne è risultata un’interpretazione originale del liberalismo di Croce, letto non nella tradizionale chiave metapolitica ma in senso “metodologico”, come dimostrano alcuni lavori, antichi e recenti espressamente dedicati dall’autore a tale personale prospettiva.” (2 )
In questo percorso teoretico si innestano le escursioni storiografiche, si rintracciano i motivi di consonanza (senza peraltro tacere le differenze) con autori di tradizioni molto diverse, si segnalano possibili itinerari etico-politici disegnati sullo sdrucciolevole terreno del confronto con il socialismo come con il cattolicesimo liberale. Affermare la dimensione metodologica non significa relativizzare ogni posizione in un indeterminato scetticismo filosofico e morale, al contrario significa rinvenire anche nella concezione più lontana quei motivi che possono verificare e accrescere la persuasività del metodo liberale. Scrive, infatti Paolozzi: “il liberalismo va messo sempre in movimento. Va collocato nella storia, nella realtà. Aggiornato continuamente. In questo senso il liberalismo è sempre metodo liberale. Non è una tecnica, o soltanto una tecnica. Non è metodo nel senso dell’ingegneria istituzionale. Non è nemmeno un fiducioso adagiarsi sugli sviluppi spontanei dell’economia. La libertà, infatti, non può trovare nessuna autorità esterna a se stessa, agli individui che, concretamente, la realizzano. Il liberalismo è sempre un’interpretazione della realtà attraverso il principio della libertà, si concretizza in un costante, responsabile impegno nel concreto svolgersi della storia.” (3)
In questa prospettiva viene letto e interpretato il liberalismo di Popper in un serrato confronto con il liberalismo storicista (4); viene recuperata ed attualizzata l’analisi e la critica di Tocqueville alla democrazia (5), il pensiero di Ortega come quello dei tanti protagonisti del liberalismo che non rientrano, per così dire, nello schema classico del liberalismo di origine lockiana, fino ad arrivare ai nostri giorni nel confronto con il pensiero della complessità soprattutto nella versione di Edgar Morin.
Il liberalismo metodologico si configura come una filosofia della libertà, come una concezione della vita che, naturalmente, si prospetta, come scrive Paolozzi, come una utopia concretamente operante, un orizzonte ideale entro il quale si orienta l’azione morale e politica che pone accanto alla dimensione etica della libertà il rispetto per l’individuo inteso come individuo comunitario, come individuo che si caratterizza come individuo che contiene in se stesso, come sua caratteristica essenziale, la relazionalità, l’essere aristotelicamente, sociale, politico. Paolozzi prefigura un nuovo corso del liberalismo dopo la caduta delle ideologie e l’indebolimento dello stesso liberalismo come tecnica di governo: “Il nuovo corso, scrive, dovrà ricollocare l’individuo al centro della sua attenzione: l’individuo come totalità, non solo l’individuo economico o vitalistico. L’individuo come categoria universale e concreta, come intrinseca capacità di realizzarsi in comunità, ma anche l’individuo come idea regolativa, come dover essere che regola l’essere, ossia la concreta azione quotidiana. Il rispetto dell’individualità deve intendersi come rispetto della verità essenziale dell’uomo, della sua natura condizionata ma, nella condizione e per mezzo della condizione, libera. Perché essere liberi significa liberarsi sempre da qualche cosa, vivere la vita, la storia, come condizione della libertà”. (6)
La declinazione del metodo liberale si concretizza nell’affrontare i grandi temi della difesa e della promozione dei diritti fondamentali in una visione dinamica della società. Così Paolozzi affronta (7) le questioni bioetiche provando ad interpretarle in una visione unitaria ma sempre inscritta nel senso del metodo filosofico, ritendo impossibile e pericoloso costruire un sistema rigido e chiuso nel quale confinare questioni drammatiche e in continua evoluzione. In questa prospettiva è possibile costruire un ponte fra le posizioni della cosiddetta bioetica laica e la bioetica confessionale.
Si tratta di non chiudersi nella bioetica antropica per ritornare allo spirito costitutivo di questa giovanissima ed ancora incerta disciplina, ad un’ecobioetica che affronti le questioni specifiche della morale, del diritto, della ricerca scientifica, della medicina nella complessità dello sviluppo dell’intero ecosistema, di quella comunità di destino che è l’umanità intera. Se questo è il senso profondo del pensiero bioetico, secondo il metodo liberale è necessario legiferare in materia con molta cautela e senza pretendere di “amministrare” fin nei dettagli le grandi questioni della vita e della morte, della salute, della sperimentazione genetica e così via. “In questa prospettiva, scrive Paolozzi, per concludere con una determinazione di stringente attualità politica, è forse un bene che attorno a molte delicate questioni di bioetica si legiferi poco. Le comunità non devono e non possono abdicare al ruolo fondamentale di regolarsi, meglio di autoregolarsi, secondo principii e valori largamente condivisi, di scrivere quelle leggi che sono il fondamento del vivere civile. Ma in materie così complesse e così strettamente legate al sentire individuale si deve poter lasciare ampio spazio alla autodeterminazione, alla personale coscienza, alla libertà.” (8)
Abbiamo percorso per grandi linee l’itinerario proposto da Ernesto Paolozzi sul terreno di una filosofia della libertà che si propone come liberalismo metodologico. Ma, in conclusione, dobbiamo ricordare che questa visione o concezione affonda le sue radici sin nei primi scritti dello studioso, da quelli dedicati all’estetica e, via via, a quelli dedicati alla divulgazione ed interpretazione del pensiero di Croce. Lo storicismo crociano viene, infatti, interpretato in senso metodologico. Un Croce vicino a Kant almeno quanto ad Hegel. L’estetica crociana è rivissuta come un’estetica della liberazione dalle regole astratte delle retorica e dalle asfissianti ideologie, così come la logica, la storiografia. (9)
Il pensiero crociano si configura, dunque, come una filosofia della libertà, una filosofia che, nel ripensare il rapporto fra il pensiero e l’azione, recupera la dimensione dialettica sciogliendola in una filosofia del giudizio nella quale la responsabilità morale dell’individuo immerso nella storia è il fondamento ultimo. Un’interpretazione metodologica del grande sistema crociano che consente di metterlo in connessione con la più moderna epistemologia, con il pensiero della complessità fondata su quella che Adolfo Omodeo chiamava libertà liberatrice.
Note
1) L. Giusso, Economia, metodo, morale, Il Cinabro, Catania, 1998. Si confronti E. Paolozzi, Croce e il Metodo liberale, Libro Aperto editore, Ravenna, 2010
2) G. Gembillo, Prefazione al volume di E. Paolozzi, Benedetto Croce, logica del reale e il dovere della libertà, Aracne, Roma, 2015
3) E. Paolozzi, Il liberalismo come metodo, Kairòs, Napoli, 2015, p.11
4) Cfr. B. Lai, Ernesto Paolozzi, la tradizione crociana, in Popper in Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011
5) Si confrontino, di E. Paolozzi, i volumi La rivoluzione ingenerosa, Alfredo Guida, Napoli, 1996 e Libertà democrazia repubblica, Alfredo Guida, Napoli, 2000. Si confronti inoltre la Prefazione a V. de Caprariis, Profilo di Tocqueville, Alfredo Guida, Napoli, 199, a cura di E. Paolozzi.
6) E. Paolozzi, Il liberalismo, cit., p. 36
7) E. Paolozzi, La bioetica, Marinotti, Milano, 2009. Paolo Bonetti, Il principio di autonomia come fondamento della laicità, “Nuova Antologia”, Firenze,2010.
8) Ibidem, p.87
9) Si confrontino, di E. Paolozzi, i volumi: I problemi dell’estetica italiana, Sen, Napoli, 1985 (e la recensione di Carlo Ludovico Ragghianti, in “Critica d’arte”, Firenze, 1986); Vicende dell’estetica tra vecchio e nuovo positivismo, Loffredo, Napoli, 1989, L’estetica di Benedetto Croce, Guida, Napoli, 2002.
Di Antonella Rossini Oliva
da “Libro Aperto” rivista diretta da Antonio Patuelli, Numero 82, luglio – settembre 2015