Quei luoghi comuni che piegano il Sud

Andrea Geremicca ha ben descritto (“la Repubblica”,1º marzo) quali potrebbero essere i termini di una nuova questione meridionale in riferimento alle posizioni di Gianfranco Viesti e agli scenari che il federalismo fiscale proporrà. A me preme ora mettere in risalto un altro punto di vista, più generale, se si vuole più culturale. Mi riferisco ancora a quanto ha scritto Viesti sulla rivista “Italianieuropei”. Il dato politico e, vorrei dire, etico-politico che sembra emergere è quello di un ritorno della difesa delle ragioni del Mezzogiorno e delle sue legittime rivendicazioni nei confronti degli ultimi anni di scellerate politiche governative. Che il vento stia cambiando lo dimostrano le iniziative prese dal thinkthanks di Iaccarino commentate da Amedeo Lepore su questo giornale.

Il saggio di riferimento è quello di Gianfranco Viesti il quale, con estrema chiarezza, ci ricorda che la questione meridionale è stata completamente accantonata dalla maggior parte della classe politica; che la percezione delle condizioni del Mezzogiorno è affidata ormai soltanto alle necessariamente superficiali indagini della stampa (e qualche volta della televisione); che l’ideologia dominante, custodita da un ristretto numero di estremisti liberisti, ha imposto, da più di vent’anni, una tendenza a considerare qualunque intervento nel Mezzogiorno inutile o dannoso. Se a ciò si aggiunge l’equiparazione della nostra questione alla cosiddetta questione morale (il Sud è mafia, camorra e malgoverno) la tragedia è definitivamente consumata.
Si ha una rappresentazione, continua Viesti, semplicemente falsa, sia dei problemi che delle potenzialità positive delle nostre terre le quali rappresentano, aggiungiamo noi, quasi la metà dell’Italia ed ospitano una popolazione due volte superiore all’Austria.

Ho molto volgarizzato ed esemplificato, ma spero di aver reso l’idea. Se ciò che Viesti sostiene è vero, come è vero, si deve trarre un’ulteriore conclusione, che immediatamente diventa un altro aspetto della questione meridionale. Nel Mezzogiorno non abbiamo un sistema dell’informazione (televisioni, radio, giornali, editoria) in grado di influenzare il dibattito nazionale e, dunque, di incidere seriamente sul blocco ideologico che sorregge il governo più nordista che si sia avuto dall’unità d’Italia ad oggi.

Non c’è modo, dunque, di spezzare l’egemonia di quei gruppi che fanno opinione attraverso mass media e impongono luoghi comuni e banalità spacciandoli per profondi giudizi storici, politici e morali. Sono anni ed anni che ciò accade, fino al punto che non pochi di noi, al Sud, si sono lasciati persuadere e convincere. Non bastano dati, rapporti e studi: vince l’opinione del bar o, se si vuole, dell’osteria lombarda: “I meridionali sono sfaticati e imbroglioni; sperperano il denaro pubblico prodotto al Nord. Non bisogna, dunque, più aiutarli. Se la sbrighino loro.”

Sembra di essere tornati ai tempi di Giustino Fortunato il quale, inutilmente, cercava non certo di vantare i pregi del Sud contro il Nord, ma di provare a comprendere le reali e complesse condizioni del Mezzogiorno come dell’Italia intera, in un unico orizzonte, per il bene comune, il bene di tutti. Il fascismo e le guerre mutarono completamente lo scenario derubricando la questione, che si ripropose nell’Italia repubblicana. Pur fra mille incertezze e molti errori, qualcosa si fece. Soprattutto mutò lo spirito, la sensibilità della classe politica e di molti intellettuali, compresi quelli del Nord.
Poi, come si è visto, il diluvio.

In sostanza hanno vinto, sul terreno fondamentale della politica e dell’economia, che è il terreno della forza, gli interessi di quei gruppi ostili (non solo la Lega) al Mezzogiorno, mentre si imponevano scenari internazionali oggettivamente contrastanti con le ragioni e le speranze del Sud. Quella globalizzazione non governata politicamente, democraticamente, che ha favorito i più ricchi e i più forti in tutte le aree geografiche del mondo.
Il vecchio Fortunato si chiedeva, ormai sconsolato e sconfitto, quanto valesse moralmente il paese. Domanda non retorica né moralista né banale. Perché, quando è in gioco la forza, si risponde con la forza oppure con un grande atto di responsabilità morale, soggettivo e collettivo.

L’ideale, come sempre, sarebbe quello di trovare il punto di conciliazione fra le dure ragioni della lotta politica e quelle dell’etica. Quel punto di equilibrio etico-politico che, in una democrazia, è fondamentale per far progredire l’intera comunità.
E’ questa un’illusione? Per tanti aspetti sì. Ma, dal momento che non c’è nient’altro da fare, bisogna coltivarla. Ed è evidente che la rinascita debba partire da noi stessi, dal nostro Mezzogiorno, da quelle forze politiche che hanno veramente e seriamente a cuore le ragioni del Sud pur ritenendosi forze politiche nazionali e, a pieno titolo, europee.

Da “la Repubblica-Napoli del 3 marzo 2009
http://napoli.repubblica.it/prima