Cosa è auspicabile: un magistrato etico, un magistrato funzionario o un magistrato computer?

La recente polemica aperta da alcuni settori della magistratura circa l’opportunità di specializzare sempre più l’attività giudiziaria pone un problema che non è interno alla magistratura stessa ma investe l’intera visione della società.

L’organizzazione economica e sociale in cui vive l’uomo contemporaneo richiede, com’è noto, risposte efficaci e rapide alle tante esigenze in campo. D’altro canto, il progredire delle scienze e delle tecniche di dominio sul mondo che assicurano l’efficienza e la rapidità delle risposte rischia di sottrarre all’uomo il controllo del suo stesso tempo: da dominatore tende a divenire dominato.

Il concetto di specializzazione, com’è evidente, è strettamente legato a quello di efficienza. Nessuno può negare che l’efficienza sia di per sé un valore positivo ma è necessario comprendere perché nasce una così pressante richiesta di efficienza. E’ necessario chiarire ancora, in secondo luogo, in che modo l’efficienza possa accompagnarsi rigorosamente alle garanzie dei diritti dei cittadini. Se, ad esempio, un processo civile lento inficia la garanzia della parte che assume di essere lesa ( e ciò provoca, sul piano economico gravi disagi ) è altrettanto vero che il confine fra processo efficiente e processo sommario è molto labile.

Da un punto di vista rigorosamente filosofico il processo, come ogni aspetto della vita conoscitiva, si fonda sul giudizio, il quale è sempre universale per la categoria che mette in funzione ( nel caso specifico la giustizia legale ) ed è sempre relativo perché si attua in una condizione particolare, in un caso specifico, in un momento storico.

La funzione del giudice non è dissimile da quella del critico letterario, che mette in gioco, nel giudicare, la categoria universale dell’estetica ma che è sempre condizionato dal giudizio particolare dettato dall’opera che concretamente esamina. Ecco perché, per quanto il Diritto possa essere preciso, le leggi ben congegnate, ogni magistrato sa che ciò che conta è il processo, il dibattimento, la casistica, la giurisprudenza e, perciò, si applicano le attenuanti, si capovolgono, certe volte, le leggi scritte e codificate. Per questo motivo, il giudizio è sempre libero, se è veramente tale, ed è sempre giudizio storico, per dirla con Croce, ed appartiene, aristotelicamente, al mondo della phronesis, della prudenza morale, della saggezza.

La domanda da porsi, dunque, è se l’estrema richiesta di efficienza e di specializzazione non possa danneggiare la libertà morale del giudizio. Il rispetto delle leggi, a cui il magistrato deve soggiacere non deve essere confuso con la meccanicità dell’adesione ad un codice. La richiesta di efficienza, che sale da una parte della società è, almeno in parte, figlia di una concezione della vita meccanicistica, deterministica, obiettivistica.

Si crede che per rispondere alla complessità si debba necessariamente specializzarsi. E’ forse vero proprio il contrario. Nessun magistrato può essere l’interprete fedele, esatto, delle leggi.

Se questo è vero, è dunque vero che, per rispondere alla complessità si deve esercitare la complessità. Nel nostro caso, essere consapevoli dell’ampiezza e della particolarità dei problemi che si devono affrontare. La nuova sociologia di Morin, ad esempio, propende a teorizzare la complessità come categoria di comprensione della realtà e, avvicinandosi inconsapevolmente allo storicismo di Croce, a privilegiare il momento del giudizio storico o concreto rispetto alle astrattezze della sociologia di stampo tardopositivista. In fondo, l’uomo ha superato le sfide della natura e della storia meglio delle altre specie animali proprio perché meno specializzato e più complesso.

Se la società moderna, com’è giusto che sia, rifiuta l’idea del magistrato etico prediligendo quella del magistrato funzionario, è altrettanto vero che bisogna rifuggire dalla tentazione di costruire il magistrato-computer, ossia il puro esecutore di presunte leggi oggettive. Se proprio dovessimo spingerci a ipotizzare la figura del magistrato in una società complessa e articolata, la immagineremmo come quella del magistrato-saggio. Ma poiché in questo modo inevitabilmente incroceremmo la retorica, ci piace immaginare un magistrato servitore dello Stato ma dotato di buon senso e di esperienza umana, che sappia rispondere ai quiz ma sappia anche leggere le trame che la storia costruisce di giorno in giorno.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 10 luglio 2000