Il rischio della decadenza speculare di politica e associazioni.
E’ ormai luogo comune (ma non per questo non vero e allarmante) che la politica italiana vive una crisi di rappresentanza, nel senso che agli elettori è data sempre meno la possibilità di scegliersi partiti e, soprattutto, candidati.
Recentemente due grandi uomini della politica italiana, per anni fieri avversari, Andreotti e Valenzi, hanno concordato su questo punto, mettendo sotto accusa i partiti che hanno, per così dire, oscurato i luoghi delle scelte democratiche.
Ma (e qui l’interrogativo non è meno drammatico) in una democrazia complessa la questione della rappresentanza riguarda solo, esclusivamente, la politica in senso stretto? Sicuramente no. Ogni giorno la stampa nazionale ci informa di scelte economiche e politiche, e talvolta perfino etiche, prese da varie associazioni: da quella degli industriali a quella dei commercianti, da quella degli agricoltori a quelle dei lavoratori, i sindacati. E’ evidente che quando un’idea, un progetto, una dichiarazione di intenti, è pronunciata non in nome di un singolo personaggio, per autorevole che egli sia, ma nel nome di un’intera categoria, ha un peso, un’influenza sull’opinione pubblica, di gran lunga maggiore. E’ come sostenessi che le mie opinioni, espresse in questo breve articolo, sono le opinioni di tutti i docenti italiani. Vi sono, dunque, individui, persone, che hanno questa possibilità e sono, appunto, i rappresentanti ufficiali delle categorie sopra menzionate.
A questo punto è evidente che è un problema delle categorie, ma anche di tutti gli italiani, quello della legittimazione della rappresentanza dei portavoce di interessi settoriali che, per essere, però, grandi interessi, finiscono con l’essere gli interessi di tutti. Naturalmente, non penso ad interventi esterni alle associazioni stesse al fine di garantire la trasparenza delle scelte, la correttezza giuridica dei comportamenti. Rappresenterebbe una forma di ingerenza profondamente illiberale, da Stato totalitario. Ma ciò che si richiede è una maggiore attenzione, da parte dell’opinione pubblica e, dunque, degli organi di informazione, sulle attività interne che queste associazioni private svolgono, dato il ruolo di fatto pubblico che esse finiscono con l’assumere.
Proprio in questi giorni, infatti, nella nostra Napoli è esplosa una dura, durissima polemica aperta da Giampiero de la Feld, Presidente degli industriali campani, circa i reali intenti e la reale funzione dell’Associazione da lui presieduta. Pochi giorni prima l’associazione dei commercianti ha vissuto ore di tensione dopo che il Presidente aveva rilasciato una dichiarazione che sembrava favorire una parte politica rispetto all’altra.
In un sistema politico sempre più fragile per difetti intrinseci ma anche per la pressione, oggettiva, della globalizzazione dei mercati economici, la funzione delle associazioni dovrebbe essere non di supplenza, ma certamente fondamentale per aiutare ed accompagnare lo sviluppo democratico della nazione. Una delle forze principali della democrazia americana, anch’essa per tanti aspetti imperfetta, è proprio quella della partecipazione responsabile delle associazioni alla vita civile.
La società civile, intesa come gruppetti più o meno snob di intellettuali o di signore che, radunati in alcuni salotti, pontificano e sproloquiano di etica e politica, è una perniciosa invenzione degli ultimi anni della vita politica italiana. Ma la società civile, intesa come l’organizzarsi di interessi e passioni di larghi settori della società stessa, è un elemento fondamentale, se non l’elemento fondamentale, della vita democratica di un paese. Non vorremmo che, alla decadenza dei partiti fosse speculare la decadenza dei sindacati e delle associazioni di settore. A quel punto non sapremmo dove trovare quelle energie e quelle competenze che possono arginare la più generale crisi della politica. E allora sì che la nostra democrazia sarebbe veramente giunta al suo inesorabile tramonto.
Ernesto Paolozzi
Da “Corriere economia” 30 aprile 2001