Alberto Albertini, Tra epoche opposte. Diario caprese 1943-1944, a cura di Franco Monteleone, La Conchiglia, Napoli, pp.180, €18,00*
Si legge con il gusto di un breve romanzo e ci si appassiona alla storia che si narra che è, in effetti, una storia vera. E’ il Diario caprese di Alberto Albertini, scritto fra il 1943 e il 1944. Anni, è perfino ovvio dirlo, cruciali della storia italiana e mondiale. Il grande giornalista, antifascista, vive da esiliato, separato dai suoi affetti e, soprattutto, afflitto dalla impossibilità oggettiva di agire nella vita etico-politica.
Gli spunti sono tanti, e bisogna lasciare al lettore di scoprire per conto suo il fascino delle tante notazioni che disegnano, naturalmente, una Capri del tutto inedita rispetto a quella generalmente narrata da grandi e piccoli scrittori, da viaggiatori più o meno illustri. Ciò che vale anche per i tanti vividi e semplici ritratti degli ospiti dell’isola più famosa del mondo come, ad esempio, quello del geniale e bizzarro Axel Munthe, autore del notissimo racconto La storia di San Michele.
Meriterebbe un discorso a parte il breve racconto della tragedia vissuta da Alessandro Casati, il cui unico figlio morì in guerra negli ultimi giorni della tragedia italiana, quando i pochi che combattevano contro i nazifascisti salvarono, come non è retorico dire, l’onore del nostro paese.
Ma non vi è dubbio alcuno che, da un punto di vista politico generale, e più ancora culturale, la figura che campeggia in questo diario è quella di Benedetto Croce, al quale Albertini era legato da profonda amicizia e da una stima profonda e da un incondizionato rispetto. Basta leggere la pagina nella quale, commentando il discorso pronunciato da Croce a Roma, nel quale il filosofo rivendicava il diritto dell’Italia ad essere a pieno titolo considerata alleata delle Nazioni Unite, il grande giornalista scrive: “Voglio soltanto fissare in questo diario il ricordo dell’avvenimento, perché esso mostra -e lo comprovano le manifestazioni suscitate nel pubblico- come Benedetto Croce stia sempre più affermandosi quale protagonista della storia d’Italia dalla caduta del fascismo in poi, ossia da quando esiste una storia dell’Italia non più fascista; e non solo in quanto egli è portavoce dell’anima nazionale e ne personifica l’essenza, ma in quanto concorre potentemente a foggiarla, ne solleva gli spiriti, ne concreta le idee, propone e risolve problemi angosciosi e ci rivela un fondo di pensieri in cui noi stessi oscuramente ci travagliamo, e che egli fissa ed illumina. E soprattutto promuove fede e coraggio, e ci solleva dall’avvilimento e dal marasma. Nel paese ridotto militarmente a poco, scisso in due parti avverse ed incerto dell’avvenire, egli è una delle nostre forze maggiori e migliori. Che sarebbe oggi l’Italia senza di lui?”
La presenza della visione crociana della storia etico-politica italiana è documentata in tutte le pagine, non solo in quelle più vivide e accattivanti, come quando si racconta del drammatico episodio circa il repentino trasporto di Croce da Sorrento a Capri per evitare che i neonazisti rapissero il vecchio filosofo, così come era stato paventato dai servizi segreti Alleati.
E’ infatti la visione di fondo della vita e della storia di Albertini che è improntata ad un’idea democratico-liberale strettamente legata alla tradizione risorgimentale e proiettata alla costruzione di una società veramente libera dopo la terribile esperienza dei totalitarismi.
Quanto poi sia successo, e come l’Italia, in un impeto autolesionistico, sia riuscita a dissipare in pochi anni quegli ideali e quelle passioni politiche, è sotto gli occhi di tutti, anche degli storiografi meno sensibili. Accanto all’insorgere di nuove forme di totalitarismo, all’esaltazione di stereotipi culturali che riportarono il paese alla mediocrità culturale degli ultimi anni dell’Ottocento, fu celebrato il trionfo dell’opportunismo.
Ne ha il sentore Albertini e, in una delle pagine più belle e psicologicamente sottili, così descrive la condizione caotica ed incerta dell’Italia appena liberata: “Così non avremmo avuto lo spettacolo di brancolamenti, tentennamenti e favoreggiamenti, noti fascisti o farabutti arrestati, e poi liberati portati a spasso nelle jeeps dei comandi, per essere poi magari arrestati di nuovo e liberati di nuovo, con scandalo grave degli ingenui, i quali seguitano a sostenere che la gente che era in auge un tempo, presso fascisti e tedeschi, sia oggi di nuovo in auge presso americani o inglesi; ma poveri ingenui, questa è la cosa più naturale del mondo! Procaccianti, avventurieri e predoni restano procaccianti, avventurieri e predoni quali che siano i padroni, e sono i primi a passare dagli uni agli altri, mentre gli ingenui, i puri, quelli che non hanno domandato mai niente al fascismo, non domanderanno mai niente neppure ai nuovi comandanti o agli Alleati, e perciò restano negletti, mentre vedono sempre turbinare a galla e scintillare al sole la stessa gente.”
Che dire? Quale commento è possibile? Ciò che rimane è la visione generale di Albertini che può sembrare, nelle pagine del diario, per tanti aspetti ingenua ma è, in realtà, la connotazione morale e politica di una persona per bene, intelligente e appassionata.
Ci sembra dunque di poter pienamente concordare con le parole del curatore del carteggio, Franco Monteleone, che chiude la sua intelligente, informata e rigorosa Introduzione con queste parole, oggi attualissime: “C’è allora da chiedersi se non sia proprio il pensiero liberal-democratico, fra i tanti ‘morti e feriti’ che il Novecento ci ha lasciato, che possa avere la funzione, oggi essenziale, di riunire quelle diverse famiglie politiche che hanno costruito sull’antifascismo le fondamenta della Repubblica, rintracciando in ciascuna di esse ciò che le accomuna, piuttosto che continuare a insister su ciò che le separa.”
da “Libro Aperto“, ottobre-dicembre 2007