Si è spenta a Napoli il 7 aprile scorso a 93 anni, l’unica ancora in vita delle quattro figlie di benedetto Croce, Lidia, terzogenita del filosofo. Era la più schiva e forse timida delle sorelle, con le quali aveva promosso la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, creata nel 1955 allo scopo di curare le edizioni delle Opere, i Carteggi e assicurare la conservazione dello sterminato patrimonio librario del filosofo nella sua sede originaria di Palazzo Filomarino.

A Lidia si deve la trascrizione del manoscritto autografo (nella ultima stesura) dei Taccuini di lavoro di Croce. Con la sorella Alda, infatti, era fra i pochi in grado di decifrare la non chiara grafia del padre. Una capacità, come ha ricordato Girolamo Imbruglia (Repubblica-Napoli 8 aprile2015), che aveva del rabdomantico e alla quale dobbiamo l’edizione di tante opere del filosofo.

E’ difficile far comprendere a chi non ha avuto la fortuna di conoscere personalmente Lidia Croce, il tratto distintivo, sobrio, gentile della sua personalità, riservata, schiva ma non per questo estranea alle vicende degli altri, sempre preoccupata, direi, di comprendere la vita in tutte le sue sfumature. Una riservatezza, come ebbi modo di sperimentare nella più assidua, stretta frequentazione di Alda e Silvia, che si inscriveva all’interno di una educazione morale e civile, che era anche liberale tolleranza, rispetto dell’altro, sempre nei confini di una visione del mondo rigorosa, di un impegno morale e politico (in senso lato) che non ammetteva superficialità e opportunismi.

La cifra di un mondo, quello della grande e originale tradizione liberale che, come ha scritto Titti Marrone (Il Mattino, 7aprile 2015) rappresentò una sorta di “terza Napoli”, minoritaria, colpevolmente trascurata per troppi anni dalla mediocrità imperante, dall’incomprensione dell’originalità e grandezza di quella dimensione assieme nazionale ed europea che rappresenta il momento più alto della cultura italiana dell’ultimo secolo. Interpretazione che si può tranquillamente estendere alla storia del secondo Novecento dell’Italia intera.

Emma Giammattei (Il Corriere del Mezzogiorno, 7 aprile 2015) ha messo in luce la curiosità intellettuale di Lidia, il suo cosmopolitismo, la sua capacità di confrontarsi con autori ed epoche storiche non necessariamente e immediatamente ascrivibili all’educazione e alla cultura paterna. Non una contrapposizione ma una originale sensibilità che spiegano l’interesse per Diderot e Rimbaud, per la Rivoluzione Francese e autori minori come Serra.

Nel 1949 Lidia Croce sposò Vittorio de Caprariis, interprete acuto e originale di Machiavelli e Tocqueville. Assiduo collaboratore de “Il Mondo” di Mario Pannunzio e cofondatore di “Nord e Sud”, la rivista meridionalista che accoglieva parte cospicua della cultura liberaldemocratica più avanzata e originale. Un intellettuale coraggioso morto poco più che quarantenne, la cui opera risulta oggi di un’impressionante attualità. Dal matrimonio nacque il figlio Giulio.

In seconde nozze si unì a Gustaw Herling, dal quale ebbe Benedetto e Marta. Grande scrittore, uomo di assoluto rigore morale, Herling, con il romanzo Un mondo a parte pubblicato in Gran Bretagna nel 1951, svelò, tra i primi al mondo, l’esistenza dei lager sovietici e i meccanismi di degrado dell’uomo imposti dall’universo concentrazionario. Divenne per questo uno degli scrittori più invisi al regime comunista polacco, e solo dopo il 1989 i suoi libri hanno cominciato a circolare liberamente in Polonia, riscuotendo crescente interesse e successo. In quegli anni difficili subì un certo ostracismo anche fuori dalla Polonia, in Italia e nella stessa Napoli dove aveva scelto di vivere accanto alla moglie.

Lidia, dunque, che era stata testimone, come ricorda ancora Imbruglia, del drammatico isolamento che aveva circondato il padre negli anni del fascismo, ha accompagnato la vicenda umana e culturale di Gustaw Herling negli anni difficili dell’egemonia culturale di una certa sinistra, sociologica ed ideologica più che politica, che non risparmiò nemmeno un grande scrittore come Herling, vittima in prima persona della barbarie dell’era staliniana. Eppure, non troverete mai nei comportamenti di Lidia Croce, nei suoi scritti o nelle sue scelte politiche, atteggiamenti di stampo conservatore, ma sempre liberali nel senso più ampio del termine, memore della lezione crociana e degli ambienti intellettuali torinesi che frequentò in gioventù negli anni della dittatura: Venturi, Ginzburg, Ada Gobetti.

Sempre pronta, ancora, a condividere le iniziative in difesa dell’ambiente e dei diritti civili incrociando, spesso, le grandi battaglie dei radicali e dei liberali, con il figlio Benedetto.

Dopo la scomparsa, nel 2000, di Gustaw Herling, Lidia curò il riordino e la sistemazione del suo archivio e, con la figlia Marta, promosse la pubblicazione delle sue opere in Polonia, in Italia e in altri paesi. Nel 2011 fu siglato l’accordo fra la Fondazione “Biblioteca Benedetto Croce” e la Biblioteca Nazionale di Varsavia per il riordino, l’inventariazione informatizzata e la digitalizzazione dell’archivio di Gustaw Herling. Il 26 aprile 2014 le è stata conferita dal Presidente della Repubblica di Polonia Bronislaw Komorowski la “Croce di Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica di Polonia”.

Donna impegnata ma schiva e discreta, abbiamo detto. Ma di una discrezione che non appartiene soltanto alla sfera psicologica o a quella dell’educazione civile, ma affonda le radici in una concezione del mondo profonda, intimamente vissuta. La figlia, Marta Herling, oggi Segretario generale dell’Istituto Italiano per gli Studi storici fondato da Benedetto Croce, ricorda come la madre non avesse mai voluto imparare il polacco: “diceva che mio padre aveva diritto ad un mondo tutto suo”. Testimonianza di una non comune sensibiltà.

A noi resta il ricordo e l’esempio di un impegno morale, culturale e umano veramente singolare.

Ernesto Paolozzi.

Dalla Rivista di Studi “Libro Aperto”, Numero 81, aprile – giugno  2015