“Il Mattino”
14 Novembre 1985
Gli odiernisti alla prova
Di Aldo Trione

Da qualche tempo, in Italia (e non solo nel nostro Paese) la problematica estetica è “ritornata” al centro del dibattito filosofico. Si discute in diverse sedi, su varie riviste, in molti convegni dei “temi classici” e delle “ragioni nuove” della filosofia dell’arte, in termini radicalmente inediti rispetto agli anni precedenti. Giova, qui, tra parentesi, ricordare che si è costituita anche nel 1984 un’associazione italiana per gli studi di estetica, l’AISE, che terrà, a Napoli, nella primavera dell’86, il suo primo congresso nazionale.
Si assiste, in breve, a una rinascita di questa disciplina, che – essendo fondamentalmente aperta per le modalità stesse del suo costituirsi- ha reso possibile sovente che il suo campo venisse non dico attraversato, ma invaso o addirittura sconvolto da altri aspetti.
La necessità di riconoscere e riaffermare l’autonomia dell’estetica (un’autonomia,beninteso, che tenga conto della ricchezza di indicazioni e conoscenze offerte da un’attenzione sistematica alla riflessione interna della poesia su se stessa) è un’esigenza, dunque, oggi, come non mai, avvertita da molti estetologi, che manifestano con sempre maggiore consapevolezza un forte bisogno teorico volto a chiarire certe nozioni, istituzioni, strutture all’interno di un ambito problematico rigorosamente definito. Il che esige innanzitutto una attenzione non pregiudicata verso le voci, le pronunce e i modi che hanno caratterizzato, in questi anni, la situazione dell’estetica in Italia – situazione (ed è questo un dato da sottolineare) che non si presenta affatto come un corpus dottrinario compatto ed omogeneo, ma come un arcipelago frastagliato, mobile, in continua trasformazione.
A questo arcipelago rivolge la sua indagine Ernesto Paolozzi nel volume, i problemi dell’estetica italiana (dal dopoguerra al 1985) . Si tratta di un libro di inequivocabile segno crociano, che non esito a definire coraggioso, soprattutto per le obiezioni e le critiche che l’autore muove alle estetiche “antifilosofiche” di impostazione marxista, sociologica, psicanalitica, strutturalista e generalmente empirista; ma coraggioso soprattutto per le “esclusioni” che opera e per le scelte che propone. Certi autori, infatti, che sono in parte ignorati dalla storiografia di oggi, vengono riproposti e ricollegati a pieno titolo, ancorché criticamente, nel panorama dell’estetica del dopoguerra. Un libro, infine, che possiamo degnamente collocare tra i non molti studi pubblicati negli ultimi anni sull’estetica italiana contemporanea ( anche per la sua prevalente attenzione verso il “momento” idealistico).
Paolozzi ripercorre, così, la “filosofia” di alcuni tra i maggiori studiosi italiani di estetica, dagli anni Quaranta ad oggi – Anceschi, Pareyson, Formaggio, della Volpe, Eco, tra gli altri; dà conto del dibattito teorico sull’arte e sulle arti di questa stagione, che egli legge attraverso la chiave che gli è stata offerta dalla lezione crociata; sceglie, infine, di “non occuparsi” delle ricerche di alcuni studiosi delle ultime generazioni che da molto tempo ormai lavorano nel campo dell’estetica, spesso con contributi di notevole rilievo teoretico. Un libro che sceglie e prende posizioni è sempre un libro coraggioso. Ma questo di Paolozzi è coraggioso anche per la radicalità di certi giudizi (” alla veemenza degli attacchi verbali mossi alle grandi estetiche classiche, non è corrisposto un egual spessore teorico, non è germogliata, dal tanto discutere e dal tanto polemizzare, una sola proposta complessiva che potesse rispondere, in positivo, a quelle stesse domande alle quali, sia pure con i limiti che ogni umana azione possiede, rispondevano i filosofi tradizionali o, come meglio si direbbe, classici”), molti dei quali non mi sento di condividere, ma che rivelano indubbiamente un’appassionata partecipazione alla problematica estetica.
Al di là, comunque, della polemica, forse eccessiva, contro il “moderno”, il libro di Paolozzi pone alla riflessione dello studioso delle questioni di ordine metodologico-storiografico assai significative: mi riferisco, in special modo, all’invito ( sempre ben argomentato) che questo volume rivolge agli estetologi perché facciano, una buona volta, i conti con Croce. Il che non significa rimanere fermi al neoidealismo; significa, semmai, andare oltre Croce, senza tuttavia ignorarne l’esistenza e la lezione, per molti versi, ancora viva e attuale. In questa prospettiva si possono comprendere appieno le ragioni della “polemica” che Paolozzi conduce contro quello che Assunto ha definito “odiernismo”, vale a dire contro certe mode effimere e passeggere, che talvolta , si sono rivelate del tutto epidermiche e improduttive.
Si tratta di “ragioni” giuste e legittime. Bisogna però stare attenti a non confondere con l’odiernismo alcune radicali domande della filosofia di oggi, e dell’estetica in particolare, che hanno avuto il merito di mettere continuamente in questione antiche abitudini intellettuali e certa “Logica” mai sfiorata dal dubbio o dalla crisi.