Alfredo Parente dalla critica musicale al liberalismo

Sono passati vent’un anni dalla morte e cento dalla nascita di Alfredo Parente, grande intellettuale sannita, italiano ed europeo. Forse la sua importanza e l’originalità del suo pensiero e della sua opera sono stati come oscurati dalla costante presenza di Benedetto Croce al quale Parente si riferì durante tutto l’arco della sua vita. Alfredo Parente fu crociano durante il fascismo, ossia quando esserlo era pericoloso. E fu crociano negli anni del dopoguerra quando, per la cultura allora dominante Croce andava sostanzialmente eliminato dall’orizzonte politico e culturale italiano. Morì quando da poco tempo andava riaccendendosi l’interesse per il nostro più grande filosofo e, sia pure lentamente e a fatica, si ricominciava a stabilire la verità.
Non è difficile dunque affermare che la vita intera di questo grande personaggio fu per taluni aspetti tormentata dalla difesa che egli volle assumersi senza paura, senza ipocrisia, di quella grande eredità.
Così passa quasi in secondo piano la sterminata attività di questo uomo dal fisico elegante ma esile, intenso e generoso, che si tramanda alla storia come il crociano Alfredo Parente. E certamente, per venti anni, dal 1964 egli fu direttore della “Rivista di studi crociani” da lui fondata che raccolse attorno a sé studiosi di tutto il mondo e giovani che non intendevano omologarsi al conformismo imperante. Parente affermò chiaramente che la fondazione di quella rivista nasceva dal bisogno di rispondere alle troppe falsificazioni che dell’opera culturale e politica di Croce si andava compiendo dopo la morte del filosofo. E ciò giustifica i toni polemici, certe volte esageratamente polemici, ai nostri occhi di oggi, che percorrevano ogni numero di quella rivista. Accanto a saggi di valenza squisitamente scientifica apparivano sempre recensioni, postille, noterelle, schermaglie varie, che sostanzialmente emarginarono Parente dal dibattito culturale. Inoltre, come Croce, Parente non fu accademico e, come Croce, non macò mai di denunciare le meschinità di quel mondo che pur deteneva, più che non oggi, il potere culturale.
Ma perché Parente avvertiva il bisogno di difendere Croce, di dedicare la sua intera vita a questa difesa? Certamente per la stima profonda e perfino l’affetto che egli aveva contratto per quell’uomo del quale strinse anche personale amicizia. Ma soprattutto perché credeva nei valori fondanti la filosofia di Croce e dei suoi predecessori più prossimi, Vico e De Sanctis. E perciò col difendere Croce difendeva il valore essenziale della libertà come momento fondativo della storia civile; il senso delle distinzioni come momento imprescindibile della filosofia contemporanea; l’autonomia dell’arte come momento insostituibile per concepire una filosofia dell’arte e praticare una critica estetica. In buona sostanza, difendeva lo storicismo crociano inteso come una filosofia del giudizio storico ben consapevole che esso rappresentava,anche in quell’epoca di crisi, uno dei momenti, se non il momento, più alti del pensiero europeo.
Anche all’interno dello storicismo crociano egli fu, per usare un’espressione cara a Carlo Antoni, un interprete non inerte, mentre invece, purtroppo, si sente ancora dire talvolta che Parente fu crociano ortodosso. Non lo fu. Basti pensare, oltre alle tante altre interpretazioni di passaggi particolari, soprattutto in campo estetico, alla sua interpretazione dell’ultimo Croce, quello della vitalità, per cui nella lettura parentiana il sistema crociano viene radicalmente modificato. Parente riteneva che da La storia come pensiero e come azione in poi, ossia dal finire degli anni Trenta fino agli anni Cinquanta, la teoria fondamentale del filosofo abruzzese, imperniata sulle quattro categorie fondamentali della storia, l’estetica, la logica, l’etica e l’economia, si fosse profondamente modificata. Secondo l’interprete, l’etica e l’economia, divenuta vitalità, diventavano modi categoriali, per cui l’intera vita e l’intera storia dell’umanità si dispiegano e si comprendono all’interno della polarità fra valore e disvalore, fra etica e vitalità, fra libertà e il libertà. Fra i volumi più importanti ricordiamo Il tramonto della logica antica, Croce per lumi sparsi, e l’antologia di scritti crociani da lui curata per la Laterza, Il concetto della storia, che ebbe undici edizioni e fu tradotta in Ungheria.
Ma, se proseguissimo su questa strada, rischieremmo, ancora una volta, di appiattir ingiustamente l’opera di Alfredo Parente su quella di Croce. Vogliamo allora ricordare, sia pure di sfuggita, gli altri aspetti della sua poliedrica attività.
Fu per quarant’anni critico musicale militante de “Il Mattino”, collaboratore della “Rassegna musicale” e autore di svariati saggi raccolti nei volumi Castità della musica e La musica e le arti. Manca un’interpretazione specialistica di questi scritti che, pure, sono testimonianza di un’epoca lunga e travagliata della cultura musicale italiana ed europea.
Ma Parente fu anche fine pittore e scultore di tempra. Sua, ad esempio, è la famosa testa in bronzo di Benedetto Croce conservata nel Museo di San Martino di Napoli e non di rado riprodotta in fotografia su testi riguardanti il pensiero filosofico. Intense sono alcune sue chine, come quella che rappresenta la Laguna di Venezia.
Consapevole che la cultura non è né erudizione né puro sfoggio del sapere, fu costantemente ed attivamente impegnato nella vita politica. Come si è ricordato, fu oppositore del fascismo e in seguito lavorò alla ricostruzione del partito liberale e pubblicò, nell’immediato dopoguerra, due giornali militanti, “La barricata” e “La Libertà”.
In un momento di decadenza della vita politica, di sostanziale assenza di una classe dirigente, in un momento in cui la cultura sembra smarrirsi e chiudersi in un nuovo conformismo, in un momento in cui soltanto la confusa rete di Interner appare realmente libera, uomini come Parente, sebbene ci appaiano per tante manifestazioni uomini dell’Ottocento, tornano ad essere di esempio e di stimolo perché hanno incarnato, nei loro modi oggi sorpassati, la lotta per la dignità e la libertà, per lo spirito critico che non si piega a nessun conformismo. I contenuti oggi sono altri ma il metodo della libertà è lo stesso: la sfida è quella di recuperare quel senso e quel gusto cercando di comprendere quali sono i reali problemi della nostra epoca, le nostre nuove esigenze di libertà.

Ernesto Paolozzi