Gli scritti di estetica di Carlo Antoni
Carlo Antoni, Scritti di estetica: Croce ed Hegel *
“Tutte le volte che ripetiamo belle frasi altisonanti per il puro gusto della frase, tutte le volte che procuriamo di abbellire il nostro discorso per dissimulare la povertà del nostro pensiero, noi facciamo un atto di disonestà che non è solo disonestà estetica, ma anche morale. Bisogna ricordare che il grande avversario della Rettorica da noi è stato Francesco de Sanctis, che invece d’insegnar Rettorica insegnava ai giovani l’Antirettorica, ed egli combatteva in essa assai più che una semplice corruzione letteraria: egli vi combatteva tutta la miseria morale e civile della società italiana degli ultimi secoli, pesante eredità di ipocrisia e di superficialità da cui gli italiani dovevano liberarsi con un grande sforzo di serietà e di sincerità. E se oggi l’Italia non è più il paese delle Accademie, della letteratura oziosa dei verseggiatori, ma un paese dove tenacemente si lavora, si studia, si pensa, l’amore della bella frase è tuttavia ancora un vizio ben radicato in noi. Quanti bei discorsi che lasciano il tempo che trovano, quante declamazioni! Sembra che ci si debba stordire ed esaltare con la forma, quando il vuoto e il freddo stanno nei nostri cuori.” Questa lunga citazione basta da sola a far comprendere la personalità filosofica ed etico-politica di Carlo Antoni e quanto il suo pensiero sia profondamente radicato in quella tradizione, minoritaria sul piano quantitativo ma maggioritaria per la linea di tendenza che ha impresso alla storia italiana. Quella tradizione che va da Vico a De Sanctis a Croce ed arriva, per certi versi, fino ad Antonio Gramsci. Chi oggi frequenti ancora, per dovere professionale, grigi convegni di specialisti o, per disgrazia, si trovi a frequentare aule di tribunale o, per dovere etico, le assemblee della vita politica organizzata, dovrà riconoscere che la lotta contro le retorica, estetica e morale, è una lotta che non deve mai smettersi, che non prevede vittoria certa ma nemmeno sicura sconfitta. Nella volontà di rintracciare quello stretto legame fra la retorica letteraria e la vuotezza morale che essa cela, ed individuare in essa un elemento fondamentale delle crisi politiche delle civiltà, è il segno evidente di una forza speculativa non usuale. Non è esagerato, dunque, ritenere i saggi di Carlo Antoni, Il problema estetico e L’estetica di Hegel, fra i più chiari e convincenti scritti di estetica del nostro secolo. La prosa, piana e pacata, servendosi di immagini e di semplificazioni storiche e letterarie (mai barocche né pedantesche) rivela un’acutezza e una perspicacia di assoluto rilievo. Le questioni sono affrontate con l’intento di risolverle (vocazione ormai rara) ma sempre con spirito socratico: innanzitutto sgombrando il campo dai tanti pregiudizi, dalle più diffuse ed erronee consuetudini dei più banali e popolari luoghi comuni. Quindi si passa alla fase costruttiva, alla definizione di concetti chiari e precisi. Il saggio del 1924 (Antoni insegna alle scuole superiori a Messina), opera prima del giovanissimo filosofo triestino, fu pubblicato a Napoli per i tipi di Casella e, in seguito, con prefazione di Michele Biscione, nella collana diretta da Raffaello Franchini presso l’editore Giannini nel 1968 assieme all’altro sull’estetica di Hegel, scritto nella maturità. In tante altre occasioni Antoni tornerà su temi e problemi specifici di filosofia dell’arte (1) ma non vi è dubbio che in quel primo, giovanile scritto sia già espressa la visione filosofica fondamentale dello studioso, largamente tributaria del pensiero di Croce. Una sorta di commento all’estetica crociana che prelude al maturo e fondamentale Commento a Croce (2). Lo stesso impianto del lungo ed articolato saggio è, per così dire, d’impronta crociana anche se il filosofo napoletano non viene mai citato. Antoni infatti intitola il primo paragrafo, che richiama il titolo del saggio, semplicemente così: Il problema. In queste pagine il giovane studioso si produce in una pacata ma ferma difesa della filosofia. Se a tutti è dato sentire il bello, non è poi così facile elaborarne il concetto. Ma non per questo si deve abbandonare la ricerca, quasi fosse una fastidiosa pedanteria. Al contrario, pur essendo il pensiero sempre problematico per sua stessa natura, non può che non svolgere il suo compito, che è quello, appunto, di cercare di comprendere ciò che inizialmente sentiamo e avvertiamo. Scrive Antoni: “Il fare della filosofia non è infatti altra cosa se non pensare. Tutti gli uomini pensano, dal bambino che assilla i suoi parenti con i suoi perché, al selvaggio che cerca di rendersi conto dei fenomeni naturali, all’uomo d’affari che, stanco della vita affannosa delle sua esistenza di lavoro, solleva un istante lo sguardo dalle sue carte d’ufficio e si domanda perché vive, perché lotta, a che cosa in fondo egli aspira, qual è insomma il suo destino. Ma mentre il bambino si accontenta delle risposte della mamma, il selvaggio di un’ingenua interpretazione della natura, e l’uomo d’affari dedica solo un istante a quella meditazione per ripiombare irresistibilmente attratto nelle sue faccende, il pensatore non si arresta a quella superficiale e saltuaria riflessione, ma approfondisce la sua indagine, esamina le teorie dei pensatori che prima di lui hanno affrontato i medesimi problemi, e non si accontenta finché non crede d’aver dato loro una soluzione precisa e sistematica.” Stabilito dunque che il problema estetico, il problema del bello, è un problema filosofico che non può ridursi (come purtroppo si tenterà di fare nella seconda metà del secolo in ampi settori della cultura europea) a mero problema di gusto, Antoni passa ad interrogarsi sul significato profondo dell’arte in tutte le sue forme e in tutte le sue relazioni. Ma il lettore troverà più utile leggere direttamente le pagine del filosofo triestino. Ciò di cui dobbiamo preoccuparci è, invece, di cercare di collocare storicamente il pensiero di Antoni e rilevarne la cogente attualità. Come si è già accennato, il rapporto con Croce fu strettissimo, fondamentale. Basterebbe leggere il denso ed estremamente significativo Carteggio (3) che, lungo l’arco di un cinquantennio, mostra la solidità di un’amicizia ma anche la reciprocità dell’influenza culturale pur nell’ovvio rapporto di libera adesione del più giovane studioso al pensiero del grande filosofo. Sono gli anni della maturità di Croce, quelli in cui la sua fama è ormai consolidata, in Italia e nel mondo, ma sono anche gli anni dell’avvento del fascismo. Si prepara un lungo periodo di isolamento che segnerà i pochi crociani rimasti fedeli anche più che non lo stesso filosofo, la cui notorietà fungerà, in qualche modo, da usbergo. Antoni pagherà un prezzo altissimo ,a cominciare dall’esclusione dalla vita universitaria, da quella accademia la quale, in verità, già prima del consolidarsi del regime si era mostrata ostile al pensiero crociano come a coloro i quali lo avevano accolto e approfondito. Ma, al di là delle ragioni di ordine politico, continua, e per certi aspetti si inasprisce, la polemica filosofica nei confronti dello storicismo crociano ed è messa in discussione in primo luogo l’estetica, anche perché strettamente legata all’esercizio della critica e della critica letteraria in particolare. Forse oggi, per un lettore giovane, è difficile comprendere il perché di tanta importanza conferita alla filosofia dell’arte. Sia pure in un momento di sostanziale eclettismo, la polemica si esercita oggi essenzialmente attorno a temi di filosofia politica o di etica o ci si confronta, anche se in ambito sempre più specialistico, su questioni di epistemologia, mentre i temi dell’estetica e della logica non sembrano occupare, come un tempo, il centro dell’interesse. Nella prima metà del secolo, invece, e ancora fino agli anni Sessanta, in tutta Europa e in Italia in particolare, la letteratura e la connessa critica letteraria erano centrali nel dibattito culturale e finivano con l’attraversare la stessa polemica politica in uno stretto legame, in un intreccio fittissimo. Erano questioni di polemica giornaliera quelli attorno alla natura della poesia, dell’arte, della letteratura e vivacissime ed accesissime le discussioni sulle correnti letterarie, su poeti e scrittori. Come poteva dunque la grande, centrale, estetica di Croce sottrarsi alle passioni, alle dispute, fra veri e propri partiti della filosofia dell’arte? Se le polemiche aiutano a raffinare e a ripensare idee e concetti, contribuiscono, allo stesso modo, a diffondere equivoci, a formare pregiudizi talvolta difficilmente eliminabili. E Antoni si sforza, in questo suo scritto, di chiarire punto per punto, passaggio logico per passaggio logico, la complessa teoria crociana. Anticipa possibili equivoci, si preoccupa di evitare ulteriori fraintendimenti. Ne risulta un’opera di alta divulgazione difficilmente eguagliabile. Ma poiché il pensiero, se è vero pensiero, non è mai inerte, quella di Antoni è anche un’ermeneutica e si afferma come un’originale prospettiva estetica che sarà meglio chiarita negli anni successivi e, soprattutto, nell’altro scritto, dedicato all’estetica hegeliana, che proponiamo. Va avvertito il lettore, naturalmente, che si deve tener conto del fatto che il primo saggio è degli anni Venti. Negli anni successivi Croce apporterà notevoli modifiche al suo pensiero e, nel 1936 con La poesia e nel 1938 poi, con La storia come pensiero e come azione, riconsidererà l’intero impianto del suo originario sistema. Molti giudizi verranno modificati, anche se a noi sembra che non verrà mutata, sostanzialmente, la sua filosofia dell’arte (4). Negli ultimi anni della sua vita, invece, Croce tornerà ancora sul tema dell’estetica, introducendo, forse, elementi di sostanziale novità e, perché non dirlo, di incertezza circa la questione della dialetticità del sentimento identificato nella sua essenziale polarità di piacere-dolore superata dall’espressione artistica (5). Queste riflessioni saranno anch’esse a fondamento dell’acuta lettura che Carlo Antoni darà dell’estetica di Hegel. Ma procediamo con ordine: L’estetica di Hegel è concepito fra il 1957 e il 1958 e pubblicato, in forma riassuntiva, nel 1964 in Storicismo e antistoricismo. Si tratta di uno scritto, dunque, della maturità, meditato e argomentato dopo più di trent’anni dalla giovanile lettura crociana. E’ fondamentale cogliere, nello stile come nelle argomentazioni, la maturazione avvenuta e, in un certo senso, anche una sua più complessa interpretazione del crocianesimo. Intendiamoci, è difficile cogliere, in questo come negli altri scritti di Antoni, sia pure timidi accenni di critica al “suo” autore, tanto erano profondi il suo garbo, la sua modestia e, in fondo, la reale convinzione circa la veridicità della posizione di Croce, e la tendenza, che si manifesta in saggi che potrebbero sembrare palesemente anticrociani (si pensi, sin dal titolo, al volume La restaurazione del diritto di natura), a trovare nello stesso Croce i motivi del superamento di alcuni suoi luoghi speculativi. Bisogna, pertanto, qui come negli altri casi, cogliere l’intrinseca diversità senza aspettarsi proclami o manifesti avvertimenti. E, proprio in questa geniale e rigorosa interpretazione hegeliana, si palesa, di fatto, un’interessante diversità: la lettura, tendenzialmente più favorevole, dell’estetica hegeliana. Pur considerando, naturalmente, “morta” parte del sistema hegeliano e la Scienza della Logica per tanti aspetti sterile e fastidiosa, scrive: ” A mio avviso queste lezioni (si riferisce ai testi, fra cui le lezioni di estetica, scrupolosamente raccolti dai discepoli di Hegel) che ci offrono il pensiero di Hegel nella sua piena maturità, sono l’opera oggi più vitale di Hegel: di un’Hegel, che se rimase un teologo e un metafisico, fedele al suo sistema, s’impegna nella storia dell’arte, della religione, della filosofia e nella storia politica. Non si tratta, cioè, di una mera rielaborazione didattica delle sue idee, ma di un effettivo sviluppo di quello che si può chiamare ‘lo storicismo hegeliano’. Qui, infatti, il tema di Hegel è la realtà umana, la realtà storica nel suo svolgimento. E sono queste le lezioni che ascoltarono quei suoi discepoli, che poi si divisero in una ‘destra’ e in una ‘sinistra’, agendo così profondamente sulla storia della civiltà europea fino ai giorni nostri.” Il filosofo triestino passa dunque in rassegna i luoghi fondamentali della filosofia hegeliana e s’impegna a rivedere i luoghi comuni interpretativi più in voga, dalla presunta, radicale, negazione dell’autonomia (che Antoni giudica solo parziale) alla connessa questione della morte dell’arte. E, così, giungiamo al momento cruciale, al rapido, denso confronto con l’estetica crociana. Scrive, nelle considerazioni finali, : “Il difetto fondamentale dell’estetica italiana è dunque quello denunciato, nel suo celebre saggio (il riferimento è al Saggio sullo Hegel, del 1906), da Benedetto Croce: la mancanza del concetto della distinzione delle attività dello spirito. Tuttavia, aggiunge Antoni, una prima nota fortemente originale di questa estetica è proprio lo sforzo di dimostrare, giustificare, consacrare l’autonomia dell’arte. Hegel riassume gli accenni, che si possono trovare in Kant e in Schiller, ed i tentativi, che si trovano in Schelling e nei romantici, per dare all’arte una sua indipendente funzione ed una sua dignità. Pur mantenendo il criterio della distinzione in gradi, Hegel anzitutto distingue l’arte da quello che è per lui lo spirito oggettivo e cioè lo spirito pratico, etico, giuridico, politico: l’arte non è soltanto disinteressata, come aveva detto Kant, ma non è neppure un gioco, come aveva detto Schiller, bensì è una cosa seria, anzi è conoscenza, attività teoretica, che ha per suo oggetto il Divino, l’Assoluto. Ma nell’ambito della conoscenza dell’Assoluto, che è lo spirito assoluto, l’arte si distingue, con una propria natura, dalla scienza, dalla religione, dalla filosofia.” E’ un tentativo, come è facile arguire, di liberare, sia pure parzialmente, Hegel dall’accusa di panlogismo e di contenutismo così presente in tutta la letteratura hegeliana e nello stesso De Sanctis, che Antoni cita, nel suo travagliato distacco dal grande filosofo tedesco. Qualche pagina più avanti Antoni tenta quella che potremmo definire una parziale conciliazione fra l’estetica crociana e quella hegeliana, in riferimento soprattutto, anzi esclusivamente, al pensiero dell’ultimo Croce. Scrive infatti: “Del resto, nell’ultima fase del suo pensiero, Croce scopriva che il tema eterno della poesia era il dramma dialettico, per cui l’animo umano si solleva dalla bassa vitalità alla sublime eticità per sempre ricadere. Si tratta, dunque, di una visione della vita, che negli artisti si determina in atteggiamenti diversi e che, naturalmente, non assume la forma sistematica di una teoria filosofica, ma che comunque, è pensiero.” Antoni si pone la questione, dunque, di come possa avvenire questo movimento dialettico, come un pensiero possa tradursi in sentimento e divenire materia dell’arte. E scrive: “E qui ci può esser di aiuto l’estetica di Hegel, che parte da un’idea o visione della vita per giungere ad un ethos e quindi, da questo, ad un pathos. (…) Ma l’ethos diventa sempre un pathos, una passione morale, che è appunto quella che Croce esigeva nell’artista. L’artista che, dapprima, esprimeva un sentimento, che più tardi doveva esser ricco d’una vivace vita passionale, nell’ultima fase dell’estetica crociana, deve avere in sé una forte passione etica. E’ questo pathos, a mio avviso, il sentimento cosmico, il sentimento fondamentale, che Croce cercava all’origine dell’opera d’arte e che ne costituisce il contenuto.” Non è qui il caso di affrontare criticamente questa ardua problematica che percorre il pensiero crociano a partire dagli scritti posteriori al Breviario di estetica almeno fino ai saggi contenuti nel volume del 1950 Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e critica della poesia e alle riflessioni degli ultimi giorni della sua vita. Certo è che da quei primi scritti giovanili, il pensiero di Antoni si è confrontato con quello del suo maestro, possiamo usare questo termine in modo assolutamente non retorico, in un rapporto sempre intelligente, sempre rispettoso ma mai inerte, come lo stesso Antoni ci dice, e che trova nell’ormai classico Commento a Croce, del 1955, l’espressione più alta e compiuta. Anche a leggere questo saggio hegeliano della maturità, dallo stile compassato e rigoroso, si coglie ancora la purezza d’animo di quel ragazzo di sedici anni che scriveva la sua prima lettera a Croce con ingenua ma vivacissima intelligenza. Lettera che qui riportiamo per intero: “Signor filosofo, quantunque non abbia neanche ancora il diritto di far una professione di fede pure provo una tale e tanta gioia d’esser riuscito a liberarmi da uno stato tormentoso di incertezza e di sconforto, che oso chiederLe il Suo giudizio sopra un principio, che, insieme alla lettura delle Sue opere, ha distrutto del tutto ogni residuo di abitudini materialistiche, e (…) ad uscire da quello stato d’agonia, che forse Lei pure ha sofferto. Ho superato, cioè, il dualismo ed accolto la Sua dottrina dell’onnipotenza della coscienza e della volontà mediante il seguente principio: Io con questa lettera suscito in Lei qualche impressione: di sdegno o di disprezzo, o forse di simpatia, o almeno di compassione; in qualche modo insomma agisco su di Lei; però se Lei non esistesse, io non avrei scritto, non avrei quindi agito. Passeggio: inciampo in un sasso, lo spingo da parte, agisco; se lui non mi avesse impedito il cammino, se cioè non fosse esistito, io non avrei fatto quel lavoro, non avrei agito. Qui non è il caso d’una attività o d’una passività, ma d’una muta, reciproca azione. C’è un’attività anche nella passività: l’oggetto con la presenza induce il soggetto ad agire, cioè, diviene in quell’istante soggetto anche lui. Una reale distinzione tra soggetto ed oggetto non esiste; è il principio di Newton portato ad un più vasto significato: attività=passività. L’Hegel identificò l’oggetto col soggetto soltanto nell’autocoscienza; io porto questa identificazione a spiegare la vita e il mondo, quale complesso di coscienze. Noi non agiamo né soffriamo nei nostri rapporti cogli altri esseri, ma siamo in intima relazione col tutto. Il mondo è in noi, ma noi siamo nel mondo. Noi non dominiamo, né siam dominati, o meglio chi più domina, è anche più dominato. A sviluppare questo principio ci vorrebbe assai più d’una semplice lettera e assai più della mia appena incipiente coltura filosofica. Forse ciò, ch’io Le dissi è già stato trattato a sufficienza e allora non mi rimane altro partito, che chiedere che perdoni a questa mia giovinezza che non mi ha ancora concesso di approfondirmi nella scienza. Con ammirazione ed affetto Carlo Antoni Trieste, 28 aprile 1913”
Ernesto Paolozzi
Note
1) Si confronti C.Antoni, Chiose all’estetica, Roma, 1960 e Il tempo e le idee, Napoli, 1967, la sezione Estetica.
2) C.Antoni, Commento a Croce, Venezia, 1955
3) Carteggio Croce-Antoni, Bologna, 1996
4) Si confronti E.Paolozzi, Benedetto Croce, Napoli, 1998
5) A. Parente, La terza scoperta dell’Estetica crociana, in Croce per lumi sparsi, Firenze 1075 ed E. Paolozzi, L’estetica di Benedetto Croce, Napoli, 2002.
* Prefazione agli Scritti di estetica di Carlo Antoni, in via di pubblicazione presso Armando Siciliano editore