Manifestoasinistra, governo tecnico e il ruolo della sinistra
Sono passati solo pochi mesi da quando un gruppo di cittadini presentò al pubblico Manifestoasinistra e, poco dopo, altri cittadini, fondarono l’associazione “Lega democratica” con lo scopo di movimentare la discussione politica in un momento di stallo assoluto. Pochi mesi, e invece sembra passato un secolo.
C’era il governo di Berlusconi, la seconda Repubblica sembrava al suo apogeo, mentre in Campania il centrosinistra aveva esaurito la sua vitalità. Oggi guida il paese un governo di transizione, senza i partiti, rispettato in Europa che gode un largo e trasversale consenso di popolo: la seconda Repubblica appare ormai seppellita.
Nel 2009, dopo il terremoto de l’Aquila, Berlusconi sembrava imbattibile: era riuscito, abilmente, a sfruttare mediaticamente i soccorsi portati dalla protezione civile alle popolazioni abruzzesi così tragicamente colpite. Si aveva l’impressione che si fosse consolidata una sorta di dittatura mite, mediatica, postmoderna, dalla quale ci si sarebbe liberati, forse, soltanto con la decadenza fisica del presidente del Consiglio. La politica si era ridotta, ormai, ai calcoli probabilistici circa la capacità di tenuta fisica del leader ultrasettantenne e si aspettava rassegnati che giungesse il dopo-Berlusconi. Si sopportava di tutto. Era in auge il cosiddetto federalismo che, in realtà, era la foglia di fico per mascherare la prepotenza e l’avidità di un forte partito regionale, la Lega Nord, che aveva conquistato una sorta di salvacondotto per vilipendere le istituzioni, offendere i cittadini italiani, umiliare gli immigrati. Un brutto momento.
Poi, all’improvviso, la scissione di Fini, gli eccessi di uno stile di vita da basso impero del gruppo dirigente al potere e, soprattutto, l’incalzare della crisi economica, il discredito internazionale, hanno come cancellato quella stagione politica.
Il governo tecnico alla guida del paese, fortemente voluto da Giorgio Napolitano, ha stravolto il quadro politico. E’ un governo post-democratico? Per certi aspetti sì, per certi altri no. Non lo è sul piano strettamente giuridico-istituzionale e nemmeno perché nasconde fra i suoi componenti tentazioni autoritarie. Al contrario, il profilo è quello di un governo molto attento alle regole della democrazia, alle strutture di uno Stato liberale, a quelle virtù civiche care al repubblicanesimo tanto in decadenza negli ultimi decenni. E’ da considerarsi post-democratico se con ciò si intende dire che la sua necessità storica deriva dalla crisi profonda di tutti i partiti e di tutte le rappresentanze della società italiana e, dunque, in ultima istanza, della democrazia, perché partiti e rappresentanze sono quelli scelti dal popolo. Come se il popolo, non dobbiamo temere di dirlo, negli ultimi anni avesse sempre sbagliato a selezionare le priorità e, dunque, a scegliere i suoi rappresentanti.
Anche ciò che si presentava come nuovo, o addirittura nuovissimo, solo pochi mesi fa appare vecchio e consumato, privo di quella ragion d’essere che era stata alla base del suo stesso proporsi. Erano novità, infatti, all’interno di quell’epoca, nella logica della lotta al berlusconismo. Cosa rappresentano mai oggi rispetto ad un governo, quello di Monti, che accanto ad un profilo tecnocratico ha tratti profondamente riformisti e che, comunque, appare esente dai difetti tipici della politica dell’ultimo decennio e, indubitabilmente, ha il merito di aver condotto l’Italia fuori dal baratro del fallimento?
Tutto muore o deve cambiare radicalmente con l’esaurirsi di una stagione politica. E’ la dialettica della storia, la complessità che non consente ad un singolo mutamento di lasciare invariato tutto il resto.
E’ questo il nodo politico che i partiti dovranno sciogliere: quale ruolo dovranno interpretare nel dopo-Monti? La scelta di auto emendarsi e quasi auto crocefiggersi attraverso la cosiddetta riforma della politica è una scelta obbligata ma non sufficiente. Non sarà la riduzione dei parlamentari o la decurtazione del finanziamento pubblico ai partiti la svolta che potrà riavvicinare ai partiti l’opinione pubblica. Questo rappresenta, semmai, un prerequisito che non dovrebbe nemmeno costituire un problema. Non è con una strategia difensiva che si può prefigurare il futuro. La vera sfida consiste nel formulare nuove politiche, nel saper comunicare ai cittadini quale idea di società si vuole promuovere, su quali valori e sentimenti ricostruire il paese.
Non è un caso che Berlusconi ritorni alla sua origine, a quella sorta di concezione pubblicitaria della politica che lo ha caratterizzato sin dal suo esordio: cambiare nome al partito, modificare simboli, proporre un nuovo inno. Ci auguriamo, e ne siamo in parte convinti, che ciò non riesca ad arrestarne il declino.. I partiti del centro si dicono disposti a fare un passo indietro che possa collocarli nella scia del governo tecnico e permettere loro di riproporsi con un volto nuovo, in continuità con il governo, come forza egemone della società italiana. Progetto credibile che potrebbe assorbire gran parte della destra e larghi settori del centrosinistra.
Cosa deve fare dunque la sinistra in questa fase? Nn è facile dirlo. Ma certamente si trova di fronte ad un’opportunità storica che non può non cogliere.
Manifestoasinistra ha deciso di discuterne in un incontro che si terrà venerdì alle 17.00 presso l’Istituto Italiano per gli studi filosofici, in occasione della presentazione del magazine “Il mondo di Suk” dedicato al tema “Finalmente la politica”.
La sinistra sembra oggi incerta fra un radicalismo destinato a rimanere minoritario e un riformismo moderato che può condurla al governo del paese ma in posizione subalterna e gregaria. Bisogna provare ad indicare un’altra via.
Manifestoasinistra è nato intorno alla proposta di inaugurare la stagione di quello che definimmo un “riformismo radicale” (lo stesso Veltroni ha ripreso questo slogan pur con accenti e contenuti diversi non sempre condivisibili). Si tratta, ad esempio, di saper cogliere l’opportunità delle cosiddette liberalizzazioni come un elemento positivo per promuovere un’effettiva mobilità sociale ed una naturale ridistribuzione dei redditi e non come la foglia di fico per coprire qualche privilegio corporativo. Si tratta, ancora, per fare un ultimo esempio, di ripensare il ruolo dell’Europa e dell’Italia in un orizzonte veramente democratico, caratterizzato da una forte spinta socialista e liberale, come propongono i socialisti francesi, che superi la dimensione meramente burocratica nella quale l’Unione si è chiusa come in una gabbia.
Siamo consapevoli che l’unità della sinistra, indispensabile per poter vincere le prossime elezioni e governare il paese o, quanto meno, per poter dialogare con pari dignità col nuovo raggruppamento che nascerà sull’esperienza del governo Monti, è un traguardo difficilmente raggiungibile per la estrema varietà delle posizioni. Ma, proprio questa consapevolezza deve spingere tutti ad un forte senso della responsabilità, a proporre con generosità e creatività un progetto politico credibile e condiviso.
Ernesto Paolozzi
da La Repubblica Napoli del 23 febbraio 2012 Repubblica archivio