Banco e Calcio Napoli accordi importanti

La fusione di grandi aziende, la concentrazione crescente di banche e Istituti finanziari, il continuo mescolarsi di interessi economici di tutti i tipi, sono il segno costitutivo della nostra epoca e, per la grandezza stessa del fenomeno che determina il destino di milioni e milioni di uomini e donne, esorbita dall’ambito strettamente economico. Diventa di per sé una questione sociale, morale, culturale , per certi aspetti addirittura antropologica, nel senso più ampio del termine.

In questi giorni due avvenimenti molto differenti fra loro e il cui accostamento potrebbe perfino apparire irriguardoso, hanno profondamente segnato la vita civile della nostra città: l’accordo fra la nostra antica banca, il Banco di Napoli, verso la quale, pur fra tante critiche, i napoletani hanno sempre nutrito un senso di affetto, con il grande Istituto bancario di Torino, l’accordo fra il Presidente del Napoli, Corrado Ferlaino e l’industriale romagnolo Corbelli.

Non tocca a noi, nell’uno come nell’altro caso, dare giudizi tecnici sulle due operazioni per nostra evidente incompetenza. Ma ciò che possiamo segnalare è lo stato d’animo diffuso che ha accolto i due avvenimenti, anzi, i due stati d’animo largamente diffusi. Da un lato ci si è compiaciuti perché si è ritenuto che in una economia così strettamente correlata a livello europeo e mondiale, non si potesse reggere la concorrenza in nessun settore se non accorpandosi o alleandosi con altri gruppi. D’altro canto, si è detto, la FIAT, la fabbrica italiana per eccellenza, verso la quale, nonostante le mille critiche, come per il Banco di Napoli si nutre infondo affetto, non ha scelto di allearsi con l’americana GM? Non è forse vero che ovunque, nel mondo, operazioni del genere si compiono tutti i giorni ? E, si è argomentato ancora, non è forse un bene che energie nuove, mentalità diverse, esperienze complesse, si mescolino in modo da creare nuovi organismi, più vitali, più reattivi ? E, in ultimo, non è tipico dello spirito liberale abbattere le barriere, superare gli steccati e liberamente confrontarsi con chi si ritiene capace e degno di contribuire allo sviluppo economico e civile della società?

A questo diffuso, per tanti aspetti giusto, sentimento si è accompagnato un senso di smarrimento, di perdita dell’identità e, perché no, ci si è sentiti quasi offesi , come se le due importanti operazioni rappresentassero una forma di diminuzione della “patria” napoletana, della tradizione storica del nostro Campanile. Non solo, ma , più concretamente, si è paventato e si paventa il rischio che Napoli venga in tal modo come colonizzata, che i cervelli, i gruppi dirigenti , si spostino altrove e che sia il Banco di Napoli che la Società Calcio Napoli diventino un mero marchio nelle mani di “stranieri” che non hanno con la città e la sua storia nessun legame profondo.

E’ difficile prendere posizione, perché entrambi i sentimenti, giacché di sentimenti allo stato si tratta, sono legittimi ed esprimono bisogni ed esigenze vere. Volendoli ricondurre, come altre volte abbiamo fatto, a posizioni filosofiche generali, potremmo dire che i primi si possono ascrivere al liberalismo universalistico ed illuministico, i secondi al com’unitarismo, ai movimenti identitari presenti in tutto il mondo.

In fin dei conti, e non per spirito banalmente conciliativo, ci sembra che sia possibile e doveroso accogliere entrambi i punti di vista. Non è un male che anche Napoli entri nel circuito internazionale non soltanto per le sue bellezze naturali e per la sua storia monumentale. Siamo e dobbiamo essere cittadini del mondo. Ma, d’altro canto , dobbiamo anche sapere e ricordarci di essere possessori di una nostra cultura, di una nostra civiltà, di un nostro carattere. Dobbiamo dunque avere sempre l’orgoglio, un mite orgoglio, per volere contribuire da protagonisti sullo scenario italiano e internazionale. Farebbe piacere a tutti leggere un giorno che un gruppo di industriali napoletani ha comprato una società sportiva del Nord o sia entrato da pari in un grande gruppo aziendale o finanziario europeo. Non dobbiamo, dunque, lamentarci per ciò che sta accadendo ma, modestamente e tenacemente, lavorare tutti perché dalle fusioni in atto si crei un maggior benessere per tutti, senza perdere di vista la condizione degli svantaggiati, dei deboli, degli indifesi, perché il vero liberalismo non ammette privilegi di nessuna sorta.

Ancora una volta, il problema politico fondamentale è quello di riuscire a garantire il difficile equilibrio fra la piena circolazione delle idee, degli uomini e delle risorse e la difesa del patrimonio culturale in senso ampio delle comunità nelle quali si vive. A me sembra che, se si stanno compiendo dei passi in avanti nel fortificare le autonomie locali, si è fermi sul piano della costruzione di entità politiche e giuridiche sopranazionali. Se così dovesse essere, il federalismo e l’autonomismo si capovolgeranno in particolarismo e le nostre istituzioni locali perderanno ruolo e forza, divenendo soltanto meri strumenti di rivendicazione, finché reggeranno camere di compensazione della ribellione, della disobbedienza.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 12 giugno 2000