Benedetto Croce-Donato Jaja. Dopo la fine di un mondo. Carteggio 1885-1913. A cura di Cesare Preti. Prefazione di Marcello Mustè. Rubbettino, 2019  (Euro 16, pp206.)

Jaja

E’ possibile leggere nella sua interezza il carteggio fra Benedetto Croce e Donato Jaja. Si tratta di un epistolario che aiuta a comprendere il passaggio, decisivo per la cultura italiana ed europea fra la crisi del positivismo e la crisi dell’idealismo e la nascita della nuova filosofia, quella di Croce destinata a influenzare il dibattito filosofico del Novecento. Il passaggio da un mondo all’altro, la fine di un mondo, quello dell’idealismo di Bertrando Spaventa e Donato Jaja allo storicismo di Croce.

La freddezza di questa costatazione storiografica peraltro molto ben documentata dalla densa prefazione di Marcello Mustè non deve lasciar cadere in secondo piano il risvolto umano, in certo qual senso, il dramma che traspare dalla separazione (mai apertamente conclamata) fra il vecchio professore, Jaja, profondamente legato alla memoria e all’insegnamento di Spaventa e il giovane nipote del filosofo abruzzese, Croce che da quell’insegnamento sia pure rispettosamente si allontanò.

Croce aveva intrapreso una duplice polemica, quella vivacissima e perentoria nei confronti del positivismo imperante a cavallo dei due secoli e l’altra certamente più moderata almeno nei toni, con quella che reputava la vecchia metafisica. Dall’idealismo assoluto allo storicismo assoluto, entrambi avversari del positivismo ma diversi sul terreno della filosofia pura, dell’interpretazione dello stesso ruolo o statuto logica del pensiero filosofico.

Mustè ricostruisce nella Prefazione i momenti decisivi che condussero alla fine di un mondo, all’influenza di Antonio Labriola che condusse Croce ad allontanarsi da studi eruditi e, poi, da quel idealismo ritenuto teologico, metafisico, dall’interpretazione, a dire di Croce, scolastica del pensiero di Hegel alla quale si sarebbe presto sostituita quella crociana con il noto saggio del 1906. Croce abbandonava la “pura speculazione” per interessarsi sempre più al mondo vitale dell’arte, dell’economia, della politica, della storia.

Questa svolta non fu compresa in tutta la sua portata dal professore Pugliese il quale continuò a ritenere, come rileva nel saggio introduttivo Cesare Preti curatore del Carteggio, sempre Benedetto Croce e Giovanni Gentile due prosecutori, brillanti prosecutori della scuola di Bertrando Spaventa. Scrive Preti: “Il desiderio, da parte del pugliese, di trasmettere alle nuove generazioni il sapere della scuola, legato ad una fortissima nostalgia del rapporto col maestro che, con molta ingenuità, pensava potesse essere il modello per il suo rapporto con Croce (e col Gentile), lo spingeva a ciò. Perché poi, in ultima analisi, è proprio quest’ultimo aspetto che emerge come il tratto più caratterizzante di tutte le sue lettere, e della sua personalità: il ritenere decisivi, in tutti i campi, i rapporti umani, da lui coltivati senza nessuna parsimonia di sé. E anzi con la più completa disponibilità verso l’altro, soprattutto quando questo, per le più svariate ragioni, attraversava momenti di fragilità”.

Preti, molto opportunamente, ricorda, infatti, un episodio cruciale della vita sentimentale di Croce, la scomparsa della compagna di Croce, Angelina Zampanelli: la seconda Casamicciola (il terremoto che costò la vita ai genitori del giovanissimo Croce) scrive con molta efficacia. Ebbene il quel drammatico momento il filosofo trovò proprio nel professore spaventiano l’amico che con “affettuose premure” lo ospitò nel giorno di Natale del 1913.

Ma, come è noto, si può essere amici di Platone ma ancora di più della verità. Così i destini si erano ormai separati. La filosofia italiana ed europea prendeva altre strade: lo stesso idealismo hegeliano era stato riletto e ripensato proprio o soprattutto nell’Italia post risorgimentale. Rimaneva per Bertrando Spaventa come per il fratello Silvio stimatissimo quanto intransigente uomo politico, stima e rispetto. E, forse, è questa l’eredità più cospicua che quei due grandi uomini lasciarono alla cultura e alla vita eticopolitica. Una lezione che non dovremmo mai dimenticare, una lezione ed un esempio di alta moralità, di intransigente difesa della libertà.

Ernesto Paolozzi

Dalla Rivista di Studi “Libro Aperto”, Numero 98, luglio – settembre  2019