Benedetto Croce e il «Corriere della Sera» 1946-1952, a cura di Giuseppe Galasso, Fondazione Corriere della Sera, Milano, 2010, pp.336, euro 35,00
La Fondazione “Corriere della Sera” ha avuto la brillante quanto utile idea di inaugurare la nuova collana, “terza pagina”, con un elegante volume di 340 pagine che raccoglie tutti gli articoli pubblicati da Benedetto Croce dal 1946 al 1952, anno in cui il grande filosofo scomparve. La raccolta è curata da Giuseppe Galasso, storico di formazione crociana che negli ultimi anni ha ricostruito non pochi itinerari bibliografici e biografici del grande filosofo e che, nella accattivante Introduzione al volume, sottolinea, fra l’altro, i rapporti fra l’anziano filosofo e la grande testata giornalistica.
L’interesse dell’iniziativa è ancor più rilevante giacché sono anche raccolte le recensioni ai libri di Croce pubblicate sin dagli inizi del secolo, e, in appendice, le lettere di lettori, le note di servizio interne e tutta la documentazione intestata al filosofo, fra cui, interessantissimi, i carteggi con i due direttori, Guglielmo Emanuel (alla guida del giornale dal 1946 al 1952) e Mario Missiroli (dal 1952 al 1961).
E’ inutile ricordare che questi documenti vanno ben oltre la ricostruzione del pensiero e dell’opera politica crociana, giacché sono utilissimi sia per riconsiderare la storia del più grande quotidiano italiano sia il più generale andamento della politica europea e nazionale.
All’indomani del 25 luglio 1943 Ettore Janni, per pochi mesi alla direzione del quotidiano, aveva espresso a Croce il desiderio di pubblicare suoi scritti, ma la collaborazione ebbe inizio soltanto nel 1946, quando alla guida del giornale giunse Guglielmo Emanuel. Il rapporto tra Croce e il «Corriere» fu molto intenso: il filosofo abruzzese vi pubblicò 33 articoli, fra i quali anteprime di saggi che sarebbero poi comparsi nei “Quaderni della Critica”.
La collaborazione crociana testimonia la vastità degli interessi del filosofo, dalla storiografia alla poesia e alla letteratura, dalla politica ai ricordi autobiografici.
Da questi scritti emerge in tutta la sua drammaticità la crisi subita dal liberalismo italiano, la sconcertante dimensione umana della tragedia bellica , oltre che politica della quale Croce si fa e diviene simbolo in una Italia che si ricostruisce fisicamente e moralmente ma non può ancora dimenticare il suo terribile passato. Dovrà passare ancora del tempo prima che gli anni tormentati della guerra fossero elaborati dalla società e dalla cultura italiana. Forse, oggi, addirittura incoscientemente dimenticati alla luce di un revisionismo politico che nulla ha a che vedere con il revisionismo storiografico.
Vale la pena citare un passaggio dello scritto L’Anticristo nel quale il filosofo coglie originalmente un elemento fondamentale della barbarie, di quella cruda e verde vitalità (come definirà l’elemento irrazionale che promuove e distrugge assieme la civiltà) che negli anni del totalitarismo sembrò trionfare per sempre sulla libertà. L’Anticristo non è solo la malvagità in sé e per sé, non è solo violenza bruta è, innanzitutto “disconoscimento, negazione, oltraggio, irrisione dei valori e degli ideali, dichiarati parole vuote, fandonie, o, peggio ancora, inganni ipocriti per nascondere e far passare più agevolmente agli occhi abbagliati l’ unica realtà che è la brama e cupidità personale indirizzata tutta al piacere e al comodo”.
D’altro canto, è fulminante il giudizio espresso su Benito Mussolini. Croce, se così è lecito esprimerci, non conferisce al dittatore nemmeno la tragica dignità che possiede il diavolo, l’Anticristo appunto. Viene considerato qui, come in altri scritti poco noti (ad esempio Dei miei rapporti o non rapporti col Mussolini), tutto sommato come un piccolo borghese arrivista. Ma leggiamo le parole del filosofo: “Non è stato neppure un mysterium iniquitatis, ma soltanto un povero diavolo, portato su dalle condizioni dei tempi, propizie agli avventurieri”.
La contrapposizione del disvalore al valore considerato quest’ultimo come disvalore. E’ così che muore la libertà quasi inavvertitamente, fra il riso e gli applausi generali, i sofismi e i distinguo, gli ammiccamenti e gli accomodamenti. Bisogna, dunque, sempre vigilare, tenere alta la guardia.
La varietà degli scritti crociani, da quelli letterari a quelli filosofici, da quelli di ricordi personali a quelli di critica letteraria a quelli, ovviamente, di carattere etico politico, consente al lettore giovane di farsi un’idea dell’incredibile vastità di interessi che Croce coltivò nella sua lunga vita, ma anche di gustare uno stile personale e vario allo stesso tempo. Traspare, in qualche punto, l’accento del giornalista come quello del polemista arguto e qualche volta severo. Come fu, in gioventù, il Croce che trasformò la vecchia cultura italiana, pedante o arcaicamente letteraria, riportandola al centro dell’interesse mondiale. In poche parole, come è stato notato, Il Corriere presenta una sorta di antologia del più grande filosofo italiano, non sistematica e forse proprio per questo più spontanea e accattivante.
Ernesto Paolozzi
da “Libro Aperto”,Numero 65, aprile-giugno 2011