Una filosofia è viva ed operante se contribuisce a conferire senso alla vita che ci circonda e a promuovere la prassi, ossia l’azione etico-politica. La vitalità del pensiero di Croce si mostra in tutta evidenza in molti campi, soprattutto oggi, nella rinnovata attenzione per il pensiero liberale e, sia pure fra vecchie resistenze, nell’estetica e nella storiografia.

Ma è fondamentale che essa torni ad occupare un ruolo centrale nella logica e, più in generale, nel dibattito epistemologico. L’ultimo libro di Giuseppe Gembillo  (Benedetto Croce filosofo della complessità, Rubettino, 2006) viene incontro a questo problema, ricollocando Croce nel posto che gli spetta, ossia fra i grandi filosofi che, all’inizio del Novecento, hanno compiuto una svolta epistemologica fondamentale e di cui solo ora si comincia a comprendere la portata, come sempre accade per le grandi filosofie. Croce filosofo della complessità significa, naturalmente, non genericamente testimoniare della ricchezza del suo pensiero ma confrontarlo con le ultime e più sofisticate teorie scientifiche ed epistemologiche, da Prigogine a Morin.

Ma, per comprendere meglio il significato della fondamentale operazione culturale condotta da Giuseppe Gembillo, è necessaria una breve premessa.

Se volessimo individuare genericamente un verso nella direzione del quale si è orientata, secondo linee necessariamente generali, la riflessione epistemologica e scientifica del Novecento, potremmo dire che essa è andata progressivamente abbandonando le posizioni riduzioniste e verificazioniste che ne avevano, per così dire, caratterizzato la fase galileiana, per approdare verso orizzonti via via più problematici, complessi, nei quali il termine scoperta andava connotandosi di significati nuovi, che implicavano logiche nuove, il cui valore deve ricercarsi nella loro reciproca complementarietà piuttosto che non nella loro pretesa assolutezza.

In altre parole, l’evoluzione del pensiero scientifico ha finito, per molti aspetti, per dar ragione a quanti, scienziati e filosofi, fra la fine dell’Ottocento e gli albori del secolo scorso, avevano di fatto negato la possibilità di una conoscenza oggettiva, prodotto di una adeguazione fra un oggetto, inerte al di sotto delle apparentemente mutevoli e sfuggenti caratteristiche, e l’intelletto di chi, ponendosi di fronte ad esso, ne scrutava imparziale le proprietà sostanziali, ricavandone le leggi eterne che lo governavano. Ciò negando, da un lato che l’oggetto in questione, dotato di molteplici e cangianti qualità, potesse essere ridotto ad un qualcosa di semplice e immutabile e negando, dall’altro, che potesse esservi un soggetto in grado di operare scientificamente, ossia in maniera assolutamente imparziale ed obiettiva. Per fare solo qualche esempio, la teoria dell’universo in espansione consegnava alla ricerca una realtà problematica perché dotata di una sua storicità intrinseca e non eliminabile come componente secondaria ai fini della conoscenza, una realtà che non offriva più una essenza fissa e dunque conoscibile in maniera definitiva, mentre il principio di indeterminazione di Heisenberg, distruggendo per sempre l’idea di uno spettatore che non fosse anch’egli parte integrante del panorama osservato, distruggeva per sempre la presunta oggettività delle scienze.

In questo panorama, Benedetto Croce è una figura cruciale. Passato alla storia, come fa notare Gembillo, per uno dei filosofi che avrebbe svalutato le scienze, in realtà, proprio in virtù di questa sua svalutazione, ha aperto la strada alla nuova scienza, all’unica che si possa, allo stato attuale, accogliere.

La critica di Croce, infatti, si esercitò sulla scienza di stampo positivista, fondata, come si è detto, essenzialmente sul determinismo o meccanicismo di cui si credeva semplicisticamente connotata la realtà, sulla riducibilità ad un modello statico di interpretazione di essa, ritenuta immutabile ed impermeabile ad ogni altra forma di intervento.

Gembillo porta a termine una lunga, ormai trentennale, riflessione sul tema condotta sui testi di Croce sin dal volume del 1984, Filosofia e scienza nel pensiero di Croce , e poi con Neostoricismo complesso del 1999. Si chiariva così come il pensiero di Croce cresceva in parallelo con le riflessioni dei nuovi epistemologi, da Mach a Poincarè ad Avenarius, completando il quadro che altri, come Raffaello Franchini, Alfredo Parente e tanti interpreti di Croce, avevano cominciato a tracciare nel confronto fra la nuova filosofia crociana e quella degli altri maggiori filosofi del Novecento, da Bergson a Husserl, par fare solo qualche nome.

Se, sul versante della speculazione filosofica, il pensiero crociano veniva ricondotto ad una filosofia del giudizio, ad uno storicismo metodologico o, come scrisse Franchini, ad una filosofia delle funzioni che, sul versante etico-politico diveniva, come ho cercato di dimostrare, si concretizzava in un liberalismo essenzialmente metodologico, sul piano dell’epistemologia risultava essere una metodologia aperta e diveniente.

Ma l’interpretazione di Gembillo non poteva rimanere soltanto una ermeneutica storiografica. Urgeva che i semi piantati fruttassero, ossia che si ricominciasse a discutere di quei temi nel vivo, nel concreto ed ancora non concluso dibattito della filosofia e dell’epistemologia contemporanee.

Senza poter entrare nel merito delle tante questioni, basterà ricordare il nucleo logico fondamentale dell’interpretazione di Gembillo, ossia quello per cui il pensiero di Croce, che si fonda sul circolo dei distinti, sull’idea che le varie funzioni della vita umana, dall’estetica alla economica, dalla logica all’etica, si integrano e si presuppongono senza che si possa conferire un qualsivoglia primato, sia la premessa necessaria per comprendere fino in fondo le cosiddette logiche della complessità, fino alla sociologia di Edgar Morin e all’epistemologia di Prigogine.

Ma è fondamentale anche il tema che Gembillo tratta in un saggio contenuto nel volume Scienza Liberalismo Complessità pubblicato da Armando Siciliano, nel quale l’autore mostra come una moderna concezione del liberalismo non può che fondarsi su una epistemologia aperta, complessa, non riduzionista, giacché la scienza di origine newtoniana, fondata sull’idea deterministica della realtà, di fatto esclude la libertà che, per sua natura, non può che essere storica.

Ma il punto fondamentale, a mio avviso, di questa intelligente ed appassionata ricerca, che apre nuovi orizzonti per il pensiero contemporaneo, oggi ridottosi in molti casi a pura filologia o a mera discussione giornalistica, è l’incontro fra la dimensione epistemologica contemporanea, che coglie il senso della diversità, il valore della complessità, l’importanza del dubbio e del dialogo, con l’idea forte della storicità, senza la quale non si riesce a ricomporre il quadro e si rischia di passare da un’epistemologia della certezza assoluta ad una della scepsi assoluta, da una sociologia puramente meccanica ad una sociologia della pura opinabilità. La dimensione in cui si sviluppa la ricerca di Gembillo è infatti fortemente connotata dall’esigenza di riconquistare un’etica della responsabilità fondata su una filosofia aperta ma non per questo inconcludente.

L’analisi di Gembillo si dipana fra i maggiori scienziati del nostro secolo, letti con competenza e rigore sullo sfondo della filosofia classica e di quella crociana in particolare e, ciò facendo, l’autore ci consente anche di sfatare molti equivoci ancora persistenti in alcuni settori, più arretrati, della cultura italiana. Ma anche di rimeditare posizioni che, obbiettivamente, soltanto una nuova lettura di Croce ci può consentire: la riconsiderazione, ad esempio, della stroncatura che Croce compì della sociologia definendola una scienza malferma, a metà fra la storia e la filosofia, un po’ storia, un po’ filosofia. E’ evidente a questo punto che la polemica crociana era indirizzata nei confronti di una certa sociologia, della sociologia di origine comteiana, coeva al suo tempo, mente è chiaro, ormai, che oggi si parla di sociologia, almeno in alcuni ambiti della speculazione contemporanea, in termini assolutamente diversi. Così come, pure, è rilevante la nuova concezione della temporalità nella epistemologia contemporanea, la quale ci conduce a un ripensamento del concetto di storia, che non s’intende più come pura linearità ma come complessa interazione di avvenimenti sempre nuovi e originali, ai quali solo il nostro pensiero, la nostra prospettiva, conferisce senso, e la nostra azione significato etico.

Per tutti questi motivi è possibile riepilogare con Giuseppe Gembillo:

” Allora, ponendoci dal punto di vista della crociana teoria della distinzione, che è sorta contro ogni forma di unitarismo acritico e astratto e che ha avuto come esito la concezione della ‘Storia come pensiero e come azione’, dobbiamo dire che oggi appare doveroso pensare il pensiero di Benedetto Croce come una tappa fondamentale nel cammino che ha portato alla svolta della concezione della complessità; e dobbiamo ribadire che è doveroso riconoscerlo, in maniera precipua, come una tappa che prosegue la via filosofica ad essa; quella via che, inaugurata da Vico e da Hegel, è complementare alla via scientifica, rappresentata da Fourier, Darwin, Poincarè, Mach, Heisenberg e tanti altri, e che, se inizialmente poteva sembrare parallela alla prima, ultimamente si è rivelata sempre più convergente.”

Ernesto Paolozzi

da “Libro Aperto”, numero 46, luglio-settembre 2006