Cattaneo, il federalismo e le interpretazioni antimeridionali.
Duecento anni fa nasceva Carlo Cattaneo, il fondatore della notissima rivista “Politecnico”, il pensatore che passa, in molti settori della cultura italiana, per essere il contrario di quello che è. Negli ultimi tempi, infatti, tornato di moda un certo federalismo, riemerse le spinte neopositiviste tendenti allo specialismo, si è voluto individuare in Cattaneo uno dei possibili punti di riferimento da contrapporre, un po’ a casaccio, una volta al marxismo, una volta a Croce, un’altra alle filosofie del giudizio, un’altra ancora alla sociologia della complessità. Non solo, ma sul piano politico ci si è presentato un Cattaneo antirisorgimentale (fra i meno ignoranti) e addirittura come un simbolo da utilizzare contro i meridionali (dai più focosi antimeridionalisti):
E’ divertente il caso del federalismo di Cattaneo interpretato ad usum leghista. Più o meno come è accaduto per il noto coro del Nabucco.
Si gioca su un equivoco che potrebbe essere perfino simpatico: il fatto che chi parla di federalismo oggi è, con diversi toni ed accenti, contrario all’unità d’Italia.
E così, Cattaneo, appare come un precursore di quei politici che vorrebbero evadere le tasse unitarie, produrre latte di bassa qualità senza controllo, assumere a piacimento lavoratori in nero quasi fossero schiavi. Si dimentica un particolare: Cattaneo era federalista prima dell’unificazione italiana. E dunque, il suo voler federare significava voler unire ciò che era diviso, era una delle vie possibili del Risorgimento italiano. La parola stessa Risorgimento dell’Italia sembra sia stata usata per la prima volta dal suo maestro, Romagnosi, al quale Cattaneo rimase legato per tutta la vita. La partecipazione attiva alle cinque giornate di Milano gli costò l’esilio in Svizzera.
Cattaneo fu personalità poliedrica, niente affatto votato allo specialismo. Fu storico di razza, tanto che Benedetto Croce lodò moltissimo il suo “Notizie naturali e civili della Lombardia”. Fu, com’è noto, economista fine e intelligente e, come si direbbe oggi, organizzatore di cultura, come mostra la sua nota rivista. Ma fu anche studioso acuto e, per certi aspetti originale, di filosofia. Il suo sperimentalismo affonda le radici nel concetto di esperienza sociale di Bacone. Per cui, alla mente di Cattaneo, l’esperienza è sempre storica e comunitaria, mai astrattamente individuale e sempre creativa, inventiva.
E’ su questa strada che egli incontra il più grande filosofo italiano, Giambattista Vico e ne enuclea, in un importante saggio, le caratteristiche fondamentali del pensiero.
Il Vico è presentato come precursore e superiore ad Hegel, che a Cattaneo appare come colui che, partendo dal principio vichiano della storia, rese poi astratto quell’iniziale principio in formule rarefatte. Già Cattaneo si pone la questione, ancora oggi tanto discussa, dell’isolamento di Vico e della difficoltà che ancora ai suoi tempi si aveva nell’interpretarne l’originale genialità.
Il punto decisivo mi sembra questo: Cattaneo rinviene nel filosofo napoletano i principii metodologici per interpretare e costruire l'”incivilimento” delle nazioni, dello Stato, della società umana. Un metodo storicista strettamente legato all’azione politica che nel Risorgimento trovò la sua effettuale realizzazione.
Ernesto Paolozzi
Da “Corriere economia” del 5 febbraio 2001