“Libro Aperto”

Aprile- Giugno 2000

Critica della ragion liberale.

Di Lea Riverberi

“La ricostruzione della mappa intellettuale del liberalismo si può formare seguendo tracciati diversi. Il presunto eccletismo del pensiero liberale non è un punto debole, semmai è una ragione di forza”. Così Valerio Zanone nella presentazione al volume curato da Ernesto Paolozzi, “Critica della ragion liberale”, che si richiama, evidentemente, alla Critica kantiana come simbolo del tentativo di rileggere senza pregiudizi la teoria liberale per affermarne la validità.

La ricchezza del liberalismo a cui si riferisce Zanone consiste nell’aver presentato diverse dottrine riferibili, in ultima istanza, a diverse concezioni filosofiche del mondo. Il liberalismo tradizionale si rifà, com’è noto, all’empirismo lockiano, al razionalismo e, in senso lato, all’Illuminismo. Ed è qui che si situa l’originalità del volume, sintetizzabile nell’interrogativo che si pone Paolozzi nell’Introduzione: “E’ possibile – si domanda – una filosofia liberale non illuminista? O meglio, è possibile pensare una filosofia della libertà fondata sulla ragione dialettica, senza con ciò pregiudicare le acquisizioni teoriche fondamentali dell’Illuminismo e del liberalismo tradizionale?”.

A questa domanda i cinque autori del volume ( lo stesso Paolozzi che tratta Croce, Renata cavalier la Arendt, Aldo Mattera Carlo Antoni, Raffaele Prodromo Berlin, Francesco ferrante De Ruggiero) rispondono sostanzialmente di si. L’idea di fondo, che rende unitario il percorso compiuto dagli autori, consiste infatti nel porre in relazione il liberalismo politico con lo storicismo e con la filosofia del giudizio della grande studiosa ebrea la quale, non a caso, si richiama frequentemente a Kant e a Tocqueville. Sappiamo che Berlin è tributario della filosofia di Giambattista Vico, dello stesso croce e del grande storico inglese, di origine crociata, Collingwood. Sappiamo che Guido De Ruggiero si formò filosoficamente fra Gentile e Croce e sappiamo, com’è ovvio, che Croce è il primo grande filosofo che cerca, attraverso una profonda riforma della dialettica hegeliana e dello storicismo ottocentesco, di coniugare la filosofia trascendentale con il liberalismo moderno.

Che la questione sia aperta, e lontana dall’essere pienamente risolta, lo si scorge chiaramente dall’esperienza di Carlo Antoni al quale, sia Mattera che Paolozzi hanno dedicato precedenti lavori. Il filosofo triestino, infatti, pur essendo il più vicino a Croce e per certi aspetti il più vicino ad Hegel, fra quelli citati, mise in chiaro come sia la posizione puramente storicista che quella puramente illuminista conducevano se non in un vicolo cieco, certamente ad imbattersi in aporie. Lo storicismo, paradossalmente, rischiava di condurre ad una posizione relativistica, nel caso di Croce, o assolutistica, nel caso di Hegel, mentre quella illuminista ad una concezione completamente astratta della libertà. Egli tentò, come sulla scia Paolozzi, di ricomporre il dissidio recuperando la categoria dell’individuo e la dimensione utopica della religione della libertà come orizzonte di senso entro il quale muoversi pur rimanendo saldamente legati alla realtà storica, alle crudezze del realismo.

Fin qui l’aspetto storiografico e squisitamente interpretativo del volume della Fondazione “Luigi Einaudi”. Ma, al di sotto della posizione puramente teorica si può scorgere , nella presentazione di Zanone e in tutti i saggi degli autori, una questione politica di fondo: Quella che potremmo definire della vittoria mutilata del liberalismo. Eppure sembra oggi essere accerchiato da nuovi ( o anche vecchi e vecchissimi) nemici, meno feroci di quelli del passato ma altrettanto insidiosi. E’ quasi banale ricordare che è difficile coniugare il libero sviluppo dell’economia con la difesa ambientale del mondo intero; che è difficile preservare la libera ricerca scientifica e l’attuazione tecnologica di essa con le libertà individuali di milioni di cittadini. Ritorna la questione della divisione del mondo fra pochi ricchi e moltissimi poveri e poverissimi, ritorna la questione dell’intolleranza religiosa e, nel nostro stesso Occidente, si riapre il fronte fra liberali universalistici e comunitaristici. Non son pochi gli studiosi che cominciano ad accorgersi che nell’esigenza comunitarista di salvaguardare i valori della comunità, i valori della tradizione, i valori della religione , si cela un’implicita richiesta di difendere i valori della storia nel suo complesso, e non solo quelli di un tradizionalismo retrivo e reazionario. Non è una caso che una certa destra italiana cerchi di ascrivere al com’unitarismo non solo Giambattista Vico ma anche il democratico e liberale Croce. Nella rinascita, nel mondo anglosassone, del repubblicanesimo che addirittura si richiama a Cicerone, a Machiavelli, si scorge anche l’esigenza di proporre un liberalismo che vada oltre le pure regole formali, affiancando alla diade (peraltro filosoficamente ingenua) fra libertà di e libertà da, la libertà per. Insomma, lungi dall’essere finita, come entusiasticamente affermava un giapponese, la storia continua, fortunatamente. E ripropone, dunque, come ricorda Valerio Zanone, pluraliste, se si vuole essere francamente e veramente liberale.