Croce, le divisioni religiose e la lezione sul fanatismo.

A proposito della probabile clonazione umana e della polemica suscitata attorno ad essa, Marco Pannella è comparso fuggevolmente in televisione con un cartello nel quale si accostava, per fanatismo e fondamentalismo, il Vaticano ai talebani. Come nel “teatro nel teatro”, caro alle avanguardie del Novecento, ci è apparso il fanatismo in tutte le sue sfaccettature: quello tenue del Vaticano, quello terribile dei talebani e quello laico o laicista di Marco Pannella che, nell’accostare il Vaticano ai talebani, operava un’evidente sofisma. Il sofisma, se ben si riflette, è l’arma dell’opportunista o quella de fanatico: difficile comprenderne l’origine.

Ma questa scena, insieme all’incrociarsi diuturno di fanatismi musulmani, laici e salottieri, ci ha rimandato ad un vecchio saggio di Croce recentemente ripubblicato da Giuseppe Brescia per le edizioni G. Laterza di Bari. Lo studioso pugliese ripropone una recensione del grande filosofo al romanzo di Arthur Koestler, “Buio a mezzogiorno”, pubblicata col titolo “Il fanatismo”.

Nel romanzo si parla della Russia comunista, delle tragiche vicende di quegli innocenti che si autoaccusavano, fino a condanna a morte, di delitti mai commessi perché erano stati convinti dal regime che il loro sacrificio avrebbe innalzato il comunismo.

Croce prende spunto da questo caso particolare per ricordare che il fanatismo è, purtroppo, una costante della storia, tanto che il nome apparve già presso i romani. E procede, sia pure brevemente, ad una sorta di rassegna dei fanatismi. Sottolinea che il fanatismo “ebbe il suo campo principale nelle divisioni e lotte religiose” e che l’Illuminismo settecentesco combatté aspramente in nome della ragione. Ma, e qui è il passaggio che ci interessa, l’Illuminismo stesso, staremmo per dire perfino l’Illuminismo, si capovolse in fanatismo allorché innalzò la Ragione a regola unica e suprema, a tribunale della storia.

Croce ricorda, a proposito del fanatismo giacobino, l’efficace rappresentazione che ne diede Anatole France ne “Les Dieux ont soif” (Gli dei hanno sete) e l’ironia di Sorel che non risparmiò il suo sarcasmo nei confronti delle “grandi anime” che avevano molta simpatia per il carnefice e che, a furia di ghigliottina, preparavano la “felicità” del genere umano.

Sempre in televisione abbiamo assistito ad una sottile e acuta performance di Giuliano Ferrara (col quale in via teorica, peraltro, come già abbiamo scritto, siamo d’accordo) il quale, dopo aver constatato, quasi scientificamente, che gli Stati Uniti sono diventati “feroci” in questa guerra, ha poi aggiunto in conclusione che, per quanto lo riguarda, quella ferocia è ampiamente giustificata. Anch’io penso che forse quella ferocia sia giustificata. Ma ciò che mi ha impressionato di Ferrara è che quei suoi occhi astuti brillavano di lampi luciferini, ed il suo volto, anziché atteggiarsi a malinconia, se non a spavento per quella necessaria ferocia, era ilare e giocondo. Con quella barba e quella mole, proprio un talebano della libertà. Come quei giacobini che Anatole France e Croce combattevano e che lo stesso Ferrara ha combattuto a suo tempo.

Ma lasciamo Ferrara, e pensiamo al resto dell’Europa e, soprattutto, all’America. Grandi scene di fanatismo, per la verità, non se ne sono viste se non nella giustificatissima manifestazione con i pompieri sulle macerie delle Torri gemelle. La manifestazione di Berlusconi, vista in televisione e poi dalle telecamere poste sugli elicotteri, ha mostrato che la gente scesa in piazza a sostegno della guerra non solo era poca ma apparteneva, fondamentalmente, a quell’esercito di truppe cammellate, come si diceva nella prima repubblica, o pulman-trasportate, come nell’era tecnologica di Berlusconi.

A dirla tutta, sembra che in America si fronteggi un certo fanatismo con una più ampia, grande, dignitosa, pensosa fermezza nel combattere il nemico. E nella nostra Europa e nella nostra Italia serpeggia già un certo cinismo, o forse buon senso, che tende ad allontanare il problema in attesa del prossimo attentato o della prossima crisi all’insegna di un nostro personale, evangelico, “a ciascun giorno il proprio affanno”.

Siamo dunque come sospesi, fra eccessi di fanatismo ed eccessi di quietismo. Sembra che si stenti a trovare la misura, la saggezza necessaria per condurre a buon fine quella che è una battaglia che ha un nemico non tradizionale e che, per di più, si combatte in noi stessi, nella nostra coscienza individuale, in ogni giorno della nostra vita.

“Il fanatismo, scrive ancora Croce in quel saggio del lontano ’46, nel suo intrinseco è l’assunzione di una regola unica o suprema, che sopprime o soverchia e mette a tacere il pensiero che pensa e che esercita la critica, e la coscienza morale, che moralmente si risolve e crea le azioni solo a sé conformi. Che quella regola, la quale disumana l’uomo traendolo fuori di se stesso si fondi sopra una rivelazione religiosa o sopra un falso raziocinio o sopra un concetto astrattamente concepito e unilaterale, o sopra l’autorità di un uomo o di un istituto, comunque essa sia nata (…) sta nella soppressione e sostituzione che essa esegue del pensiero critico e della coscienza morale.”

Francamente non pensavamo, agli albori del terzo millennio, di dover ricordare, a uomini di fede e a laici, a liberali e socialisti, queste parole che ormai, per noi tutti sembravano ovvie, quasi scontate.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 3 dicembre 2001