Croce  come precursore del  post-moderno.

La prestigiosa rivista “Libro Aperto” (www.libroaperto.it), diretta da Antonio Patuelli, dedica un inserto speciale a Benedetto Croce in occasione del sessantesimo anniversario della morte che cadrà il 20 novembre. Un’ anticipazione che consente una riflessione comune, un approfondimento ermeneutico che non sempre le pur dovute celebrazioni ufficiali consentono.

Lo “speciale” consente di cogliere aspetti non consueti, anzi innovativi, del pensiero crociano nel contesto della contemporaneità. Dalla riflessione che svolge Cotroneo circa lo stato dell’ arte dei concetti di giustizia e libertà, al serrato confronto con l’ epistemologia del Novecento, con le logiche della complessità, svolto da Giuseppe Gembillo.

Ma destano certamente particolare interesse le letture di autori stranieri che colgono motivi particolari dell’ opera crociana, esprimono esigenze diverse dettate dalle condizioni storiche particolari.

È il caso della lettura che propone lo studioso ungherese Jànos Kelemen nel suo “Benedetto Croce: attualità della religione della libertà”. In quel paese tanto legato all’ Italia e a Napoli per ragioni storiche e culturali, sembra a molti intellettuali che il nuovo governo conservatore stia mettendo in crisi non solo la democrazia, ma la stessa civiltà liberale conquistata dopo gli anni bui del nazismo e del comunismo. In questa nuova temperie morale e culturale nella quale si scorgono i segni di un nuovo, insidioso populismo, la concezione liberale di Croce, intesa come concezione generale della vita, come incessante lotta per la libertà, può rappresentare, per Kelemen, «uno dei punti di riferimento cui dobbiamo dare ascolto per riconoscere il male incombente».

Un giovanissimo studioso giapponese, Kosuke Kunishi, ripropone la questione del rapporto fra arte e moralità, individuando, nelle tante opere di Croce dedicate all’ estetica, i momenti decisivi nei quali il filosofo chiarisce la distinzione fondamentale fra la categoria conoscitiva, l’arte e quella pratica, l’ etica pur nella evidente connessione all’interno della complessità e dell’unità della vita.

Per il dibattito attuale sui destini della filosofia occidentale è rilevante il saggio testimonianza del filosofo americano Emanuel L. Paparella. Studioso di Vico aveva, come egli stesso testimonia, ceduto alla superficiale lettura di un Croce eccessivamente «idealista», di fatto estraneo alla cultura anglosassone la quale sembrava accogliere essenzialmente l’ estetica del filosofo italiano senza comprendere il nesso esistente con l’intera sua filosofia. Ma con il passare degli anni il pensiero crociano si è rivelato sotto una luce completamente nuova, lontano dalla metafisica tradizionale come dal “cattivo” storicismo tipico delle filosofie della storia.

Croce appare a Paparella come un precursore del cosiddetto post-moderno che nel frattempo era penetrato, stravolgendola, nella cultura empirista angloamericana, forse più come una moda che non come una reale esigenza filosofica.

Ma, argomenta Paparella, lo storicismo crociano non si abbandona alla deriva relativistica postmodernista e, attraverso il recupero del pensiero dialettico, del concetto di universale concreto, supera la vecchia e antiquata diatriba tra oggettivisti e soggettivisti.

Scrive il filosofo americano:

«Venticinque anni dopo la mia stessa critica a Croce interprete di Vico, sono giunto a una cruciale rivalutazione e sono ora convinto che se il pensiero crociano fosse stato considerato, accettato e ben assorbito, molti dei problemi del postmoderno non esisterebbero, o per lo meno sarebbero ben differenti. Una lettura attenta delle opere più filosofiche di Croce ci rivelerebbe ben presto che lo storicismo crociano aveva già anticipato molte delle preoccupazioni della filosofia post-moderna senza però cadere nella trappola delle sue debolezze».

Ritengo cruciale questo passaggio. Da tempo ho cercato di riproporre il pensiero critico-dialettico come unico modo di liberarsi dallo scacco sotto il quale giace la filosofia contemporanea. Faccio mia dunque la conclusione dello scritto di Paparella:

«Questo saggio vuol essere un abbozzo di un gran lavoro di rivalutazione e recupero del pensiero di un gigante della filosofia moderna. Lavoro filosofico da intraprendere nel Ventunesimo secolo, per la costruzione di una nuova Europa unita e di un’ America in cerca delle loro autentiche identità culturali».

Ernesto Paolozzi

da La Repubblica – Napoli del 28 luglio 2012                                                                                                                                  Repubblica archivio