Quel che scrisse Ippolito.

Ricorderanno, gli attuali fautori del nucleare, il dramma vissuto nei primi anni Sessanta dal grande scienziato napoletano Felice Ippolito?

Pagò duramente le sue battaglie a favore dell’uso pacifico dell’energia nucleare per rendere l’Italia un paese autosufficiente sul terreno delle risorse energetiche.

Fu condannato, sembra per un complotto, ad undici anni di carcere, accusato di irregolarità amministrative nella sua funzione di presidente del Comitato Nazionale per l’energia nucleare. Quasi a confermare la tesi del complotto ordito dai sostenitori degli interessi delle compagnie petrolifere, vi fu l’autorevole intervento dell’allora Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat che, dopo due anni di prigione, gli concesse la grazia.

Molti intellettuali, i quotidiani e i media dell’epoca, crearono un caso Felice Ippolito, che andò ad affiancarsi, per analogia, al precedente caso Mattei, certamente più noto. Quel Mattei, anch’egli impegnato nella lotta per l’autonomia energetica italiana, alla ricerca di fonti petrolifere alternative a quelle controllate dalle grandi compagnie internazionali; il Mattei morto in un incidente aereo in circostanze mai fino in fondo chiarite.

Ma oggi Felice Ippolito, fortunatamente, ritorna all’attenzione degli studiosi per altri motivi, meno drammatici ma altrettanto importanti.

Giuseppe Giordano dedica un ampio studio dettagliato e rigoroso, al Felice Ippolito scienziato crociano (in Filosofia e storiografia, Congedo editore). Nel volume del 1968, La natura e la storia, il grande geologo si proponeva, con acume e intelligenza, di superare quella opposizione, o falsa opposizione, fra le cosiddette due culture, quella scientifica e quella umanistica, e ricercava, proprio nello storicismo di origine crociana non metafisica, la possibilità di trovare un terreno comune, che io definirei metodologico, di indagine della realtà pur nei diversi linguaggi e nelle diverse funzioni.

Qualche anno dopo, ci fa notare Giuseppe Giordano, un altro scienziato, il chimico e fisico Ilya Prigogine, non italiano ma legatissimo a Napoli, proporrà una “Nuova alleanza” fra scienza e filosofia nel nome di Giambattista Vico.

E’ il segno distintivo della scienza nuova che il nostro secolo dovrà percorrere se vorrà uscire dalla impasse delle vecchie dicotomie, o contraddizioni, fra scienza e storia, fra assolutismo e relativismo, fra soggettivismo e oggettivismo, che la povera filosofia sembrava aver superato almeno dai tempi del Kant della Critica del Giudizio, per non citare ancora il nostro Giambattista Vico.

Ippolito si era formato come geologo e proprio nella geologia ritrovava quel fondamento storicista su cui si fonda l’ epistemologia contemporanea.

Questa scienza, affermava, che più delle altre è sembrata fondarsi su astratte classificazioni, ha invece la necessità di edificarsi sul concetto della individualità, e cioè della storia di ogni singolo evento che intendiamo studiare. E ciò, a sua volta, si fonda sulla contemporaneità della storia, cioè del nostro interesse presente a indagare i cosiddetti fenomeni naturali.

Si studiano, per esemplificare, le cosiddette leggi che regolano le attività dei vulcani, ma per comprendere effettivamente qual è la situazione e la condizione di Napoli e delle sue province, dobbiamo indagare la storia e la natura individuale del nostro vulcano, del Vesuvio, che ha le sue particolarità e le sue peculiari caratteristiche. Tutto serve allo scopo di questi nostri studi, la geologia in senso stretto; le ricerche dei nostri predecessori, perfino la letteratura e i racconti di quanti hanno assistito alle drammatiche eruzioni. In poche parole, non è distinguibile, se non per comodità, la storia dalla natura del Vesuvio.

Felice Ippolito, dunque, si colloca fra gli illustri predecessori di quella originale corrente filosofica che, con Giuseppe Gembillo e altri studiosi, ha saputo reinterpretare lo storicismo crociano, e più in generale la tradizione filosofica napoletana, alla luce della contemporanea epistemologia della complessità che rifiuta ogni tentativo di ridurre la realtà a uno soltanto degli aspetti di cui si compone. Napoli e il Mezzogiorno d’ Italia lanciano un segnale, un messaggio di vitalità alla cultura mondiale: è una nostra ricchezza, che dovremmo capitalizzare e investire.

Ernesto Paolozzi

da “la Repubblica – Napoli” dell’11 agosto 2008                                                                                                                               Repubblica archivio