Da Vico a Croce il ruolo dei filosofi nel Mediterraneo
Repubblica – 11 novembre 2009 pagina 14 sezione: NAPOLI

Si può localizzare geograficamente la filosofia? Esistono pensieri nordici e pensieri meridionali, filosofie dell’ Est e filosofie dell’ Ovest? Teorie venute dal freddo o dalle nebbie e teorie che sbocciano nei climi caldi e solari? Certo, se a un matematico si dicesse che può esistere un teorema settentrionale e un teorema meridionale, questi, probabilmente, penserebbe di trovarsi di fonte a pura follia o a una battuta paradossale. E così il fisico e il chimico. E, per tanti aspetti, dunque anche il filosofo. Il pensiero è il pensiero, si potrebbe dire, ed è sempre lo stesso sotto tutte le latitudini. La filosofia teoretica è sempre una, come una è la fisica, una la matematica. Per molti aspetti, tale visione delle cose è ineccepibile e i tentativi di relativizzare il pensiero scientifico e critico alle condizioni naturali o sociali di un’ epoca o di un popolo sono pericolosissime. Si finisce col parlare di scienza borghese e scienza proletaria, di gnoseologia maschile e femminile, fino ad arrivare alle filosofie della razza. Ma, nonostante ciò, non si può negare che esistono tradizioni di ricerca storica, filosofica, scientifica e matematica che hanno una loro riconoscibilità, una loro identità. Per questo motivo il convegno organizzato dalla Società filosofica napoletana, presieduta da Vincenzo Regina, in collaborazione, fra gli altri, con il Cnr, L’ Università Federico II, la Facoltà Teologica, l’ Istituto italiano per gli studi filosofici, si è dato un titolo che non dà luogo ad equivoci: “I filosofi e il Mediterraneo”. In questa dizione si racchiude il senso proprio del discorso appena accennato. I numerosi relatori che si alterneranno nelle diverse sedi che ospiteranno per tre giorni, da oggi a venerdì, il convegno, si soffermeranno infatti su aspetti specifici della cultura filosofica che nasce nel Mediterraneo o che, con le civiltà mediterranee, si confronta. Non si tratta infatti, a mio avviso, di delineare una sorta di pensiero antropologico di natura mediterranea, quasi che il fatto di nascere in un certo luogo, o di abitarvi per lungo tempo, comporti di per sé lo sviluppare un pensiero tipico di quel luogo stesso. Si tratta invece di ricostruire delle linee e dei tracciati che rendano visibili i percorsi compiuti lungo l’ arco di anni, di secoli. È la storia, non la natura o l’ antropologia, che fonda le tradizioni culturali o, che è lo stesso, sono le tradizioni culturali a fondare la storia. A Napoli, nel nostro Sud, da Giordano Bruno, a Vico, a Croce, è evidente ad esempio, una linea di pensiero specifica che si potrebbe definire mediterranea. La collocazione nella fantasia, ad esempio, dell’ arte come fondamento essenziale della conoscenza, può essere contrapposto alla tradizione puramente razionalistica della filosofia seicentesca. E, da questo punto di vista, si potrebbe anche parlare di una filosofia tipicamente italiana o meridionale. Ma, a questo punto, dove inseriremmo il Romanticismo tedesco? Sarebbe un errore geofilosofico? Un’ escrescenza della storia? E c’ è qualcosa di meno europeo del pensiero vichiano o anche, e forse più, del pensiero crociano? Quanto la tradizione meridionale ha dato all’ Europa e al mondo e quanto ha essa assorbito dalle grandi filosofie europee? In questa prospettiva, la nostra tradizione culturale, il nostro autentico storicismo, aperto al futuro più che al passato, è, a pieno titolo, una filosofia mediterranea ed europea al tempo stesso. È, insomma, una filosofia critica e originale.
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