Gli sviluppi della scienza tra Ottocento e Novecento hanno determinato due svolte: la storicizzazione della Realtà e una nuova interpretazione del significato delle teorie scientifiche.
Per un verso la Realtà è diventata “Storia e nient’altro che Storia” (Croce); per l’altro le teorie scientifiche sono diventate “libere invenzioni dell’intelletto umano”(Einstein). Esse non sono più conoscenze della realtà oggettiva ma descrizioni “convenzionali” di essa. Allo stesso modo, convenzioni prodotte dall’uomo, almeno per una parte dei teorici, diventano le varie elaborazioni delle matematiche.
Il filosofo che per primo ha colto il significato radicale di tale trasformazione, inquadrandolo in un discorso più ampio, è stato Benedetto Croce. Egli ha sviluppato un’originale concezione della Realtà, innestando il discorso dei teorici della scienza su quello di Vico e di Hegel .
Attraverso tale interazione ha dato della Realtà un’immagine storica e nello stesso tempo complessa, articolata e “circolare”. In tale contesto ha inquadrato l’agire umano che, nella sua concezione, si snoda attorno a una distinzione di fondo tra momento teorico e momento pratico, strettamente collegati in interazione reciproca, cioè in funzione di un continuo rimando di un momento all’altro. Ha poi suddiviso entrambi i momenti in due sottoinsiemi in base ai quali il momento teoretico si articola nelle due fasi della rappresentazione e della concettualizzazione; quello pratico, invece, nei due momenti dell’agire utilitaristico e dell’agire etico. Questi quattro momenti, poi, interagiscono reciprocamente secondo un ordine circolare che va dalla rappresentazione al concetto, dall’azione per fini individuali a quella per fini universali.
Sul piano dell’elaborazione teorica, tutto questo discorso si esplicita attraverso la filosofia intesa, hegelianamente, come espressione riflessiva e razionale, come espressione concettuale. In questo senso la logica della filosofia, che a parere di Croce ha elaborato per primo Hegel, si esprime nella forma del “concetto”, che conviene dunque esaminare in maniera specifica.
Il concetto, per Croce, è un atto di riflessione che si esercita sulle rappresentazioni, cioè sul materiale che alla riflessione logica prepara l’atto intuitivo-rappresentativo, che costituisce il primo approccio teorico alla Realtà.
L’uomo, infatti, come primo atto intuisce e si rappresenta tutto ciò che coglie attraverso la sensibilità. Tramite essa egli sperimenta una serie indefinita di intuizioni che vengono collegate solo quando egli esercita la riflessione concettuale su di esse, mettendole in relazione.
In questo senso, l’intuizione è conoscenza dell’individuale; la riflessione logica è conoscenza dell’individuale in relazione organica con tutti gli “altri” individuali. Così, per Croce “la conoscenza ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l’intelletto; conoscenza dell’individuale o conoscenza dell’universale; delle cose singole
ovvero delle loro relazioni; è, insomma, o produttrice d’immagini o produttrice di concetti” .
Analogamente, armonizzando e completando la concezione in forma perfettamente simmetrica,“il doppio grado, estetico e logico, dell’attività teoretica ha un importante riscontro, finora non messo in luce come si doveva, nell’attività pratica. Anche l’attività pratica si partisce in un primo e secondo grado, questo implicante quello. Il primo grado pratico è l’attività meramente utile o economica; il secondo, l’attività morale. L’Economia è come l’Estetica della vita pratica; la Morale, come la Logica” .
Su questa articolazione Benedetto Croce ha fondato, sia a livello ontologico che a livello logico, quello che ha espressamente definito “il sistema dello Spirito”, così esplicitamente configurato: “Lo spirito è concepito, dunque, come percorrente quattro momenti o gradi, disposti in modo che l’attività teoretica stia alla pratica come il primo grado teoretico sta al secondo teoretico e il primo pratico al secondo pratico. I quattro momenti s’implicano regressivamente per la loro concretezza: il concetto non può stare senza l’espressione, l’utile senza l’una e l’altro, e la moralità senza i tre gradi che precedono. Se soltanto il fatto estetico è, in certo senso, indipendente, e gli altri sono più o meno dipendenti, il meno spetta al pensiero logico e il più alla volontà morale. L’intenzione morale opera su date basi teoretiche, dalle quali non può prescindere” .
Posto ciò, esso viene compreso attraverso la riflessione filosofica che è riflessione razionale e dunque concettuale. Un’analisi di essa passa dunque attraverso una riflessione sul concetto stesso, che, seguendo il ragionamento di Croce, conviene dunque avviare.
L’aspetto fondamentale del concetto filosofico è la sua attitudine strutturale a “unificare” e a distinguere. Croce ha enunciato questa convinzione cominciando col sottolineare il carattere unico e unificante del “concettualizzare”. Infatti, ha scritto in proposito: “La distinzione di concetti, priva di unità, è separazione e atomismo; e non varrebbe al certo la pena di uscire dalla molteplicità delle rappresentazioni, se si dovesse poi cadere in quella dei concetti. La quale, non meno dell’altra, sarebbe suscettibile di un progressus in infinitum; perché, chi potrebbe mai dire che i concetti ritrovati e enumerati siano tutti i concetti? Se sono dieci, perché, osservando meglio, non potrebbero essere invece venti, cento, centomila? Perché, addirittura, non saranno tanti quante le rappresentazioni, ossia infiniti?”
Per Croce dunque bisogna rendere ragione sia dell’unità del reale sia delle forme mediante le quali noi lo delineiamo. Forme di cui abbiamo consapevolezza solo attraverso la riflessione concettuale, la quale, per un verso costituisce una attività autonoma e specifica, che è appunto il “concettualizzare”; per l’altro verso “dà forma logica” alle rimanenti manifestazioni dello spirito. Per questa sua duplice natura, “l’esigenza del concetto, richiede, dunque, che quella molteplicità sia negata, e si affermi in cambio che uno è il reale, perché uno è il concetto col quale lo conosciamo; uno il contenuto, perché una la forma del pensiero. Ma, nel procurare soddisfacimento a questa esigenza, accade d’incorrere in altro errore, perché si fa getto delle distinzioni, e l’unità che così si ottiene è unità vuota, priva di organismo, un tutto senza parti, un semplice di là dalle rappresentazioni, e perciò ineffabile; onde si ritorna per altra via al misticismo” .
L’atto del concettualizzare, infatti, non annulla, alla fine dell’argomentazione, le altre forme, come accadeva nel sistema hegeliano, ma, appunto, rende ragione di se stesso e delle altre forme, la cui necessità, nella struttura del “Tutto articolato”, viene ribadita fermamente in questo modo: “Un tutto è tutto solamente perché e in quanto ha parti, anzi è parti; un organismo è tale perché ha, ed è, organi e funzioni; un’unità è pensabile solamente in quanto ha in sé distinzioni ed è l’unità delle distinzioni. Unità senza distinzione è altrettanto repugnante al pensiero, quanto distinzione senza unità” .
Dunque, l’articolazione in varie forme concettuali diventa essenziale alla fisionomia non solo del Reale, ma anche del concetto che lo “concepisce”. “Da ciò consegue che l’una e l’altra sono necessarie, e che le distinzioni del concetto non importano negazione del concetto, e nemmeno qualcosa che cada fuori del concetto, ma solo il concetto stesso inteso nella sua verità, l’uno-distinto: uno solamente perché distinto, e distinto solamente perché uno. L’unità e la distinzione sono correlative, e però inseparabili” .
Questa correlazione comporta una connessione interna che rende i concetti “definiti” e interconnessi in maniera sistematica: “Ma i concetti distinti, costituendo con la loro distinzione l’unità, non possono essere di numero infinito, perché altrimenti si adeguerebbero alle rappresentazioni: né di numero finito bensì, ma collocati sopra uno stesso piano e disponibili in questo o in quell’ ordine senza alterazione dell’esser loro” .
E, dando concretezza all’argomentazione, Croce precisava ch, “in altri termini ed esemplificando, Bello, Vero, Utile, Bene non formano i primi gradi di una serie numerica, né si lasciano distribuire a piacere col mettere, per es., il bello dopo il vero, o il bene prima dell’utile, o l’utile prima del vero, e via dicendo. La loro disposizione è necessaria, perché essi s’implicano reciprocamente: il che vuol dire che non si può nemmeno applicar loro la determinazione del numero finito, perché il numero è del tutto incapace ad esprimere siffatta relazione” .
In questo modo, la connessione sistematica emerge in tutta la sua chiarezza e in tutta la sua logica, non solo dal punto di vista generale, ma anche dal punto di vista specifico. Croce, inoltre, ha reso più concreto il suo discorso con una esemplificazione diretta tratta dalla vita vissuta e da ciò che essa indica. Infatti, per lui “questa relazione dei distinti nell’unità da essi formata si può paragonare allo spettacolo della vita, in cui ogni fatto è in relazione con tutti gli altri, e il fatto che viene dopo è diverso bensì da quello che lo antecede, ma è anche il medesimo, perché il fatto seguente contiene in sé il precedente, come, in certo senso, il precedente conteneva virtualmente in sé il seguente, ed era quello che era appunto perché fornito della virtù di produrre il susseguente” .
E, assodato ciò, bisogna comprendere bene il significato complessivo di questa notazione, aggiungendo che “ciò si chiama s t o r i a; e per conseguenza (continuando nella denominazione il paragone) il rapporto dei concetti distinti nell’unità del concetto si può chiamare, ed è stato chiamato, s t o r i a i d e a l e; e la teoria logica di siffatta storia ideale, teoria dei g r a d i d e l c o n c e t t o, al modo stesso che la storia reale viene concepita come serie dei g r a d i d i c i v i l t à” .
Non resta che passare, allora, a un’analisi interna del pensiero stesso, anche per rendere conto di una teorizzazione hegeliana che egli ha fatto propria: “Il pensiero, in quanto anch’esso vita (quella vita che è pensiero, e perciò vita della vita), ed anch’esso realtà (quella realtà che è pensiero, e perciò realtà della realtà), ha in sé l’opposizione; e per questa ragione è insieme a f f e r m a z i o ne e n e g a z i o n e; non afferma se non negando e non nega se non affermando. Ma non afferma e nega se non distinguendo, perché pensiero è distinzione; e distinguere non si può (distinguere veramente, non già separare a un dipresso, come si usa negli pseudoconcetti) se non unificando” .
Ma, al riconoscimento operato da Hegel nei confronti del ruolo dell’opposizione, Croce affianca il riconoscimento nei confronti del ruolo, altrettanto insostituibile, della distinzione, aggiungendo così alla storicità l’attenzione verso la complessità del Reale. Egli ha sentito questa esigenza perché, come ha detto espressamente, “chi mediti sui nessi di affermazione-negazione e di unità-distinzione ha innanzi il problema della natura del pensiero, anzi della natura della realtà; e finisce col vedere che quei due nessi non sono paralleli o disparati, ma si unificano a loro volta nell’unità-distinzione, intesa non come semplice possibilità astratta o desiderio o dover essere, ma come realtà effettuale” .
Allora, unificando idealmente Aristotele e Hegel, “se ora si voglia porre questa natura del pensiero in quanto realtà sotto forma di legge (forma che sappiamo essere tutt’una con quella del concetto, benché si soglia di preferenza adoperarla per gli pseudoconcetti), non si potrà dire se non che la legge del pensiero è legge di unità e distinzione, e perciò che essa si esprime nella doppia formola: che A è A (unità), e che A non è B (distinzione): la quale doppia formola è per l’appunto ciò che si chiama legge o p r i n c i p i o d’i d e n t i t à e c o n t r a d d i z i o ne” .
Egli ribadisce il superamento della dicotomia aristotelica e l’accettazione della logica dialettica hegeliana, precisando: “Male assai maggiore si ha quando il principio d’identità e contraddizione viene formulato e inteso, non già nel significato che A non è B, ma in quello che A sia A solamente e non già anche non-A, ossia il suo opposto; perché, inteso a questo modo, esso mena diritto a porre il momento negativo fuori del positivo, il non essere fuori o di fronte all’essere, e quindi all’assurda concezione della realtà come essere immobile e vuoto. Contro questa perversione del principio d’identità e contraddizione si è escogitata e fatta valere un’altra legge o principio, la cui formola è: <>; ossia <> .
Ma non basta nemmeno il solo Hegel; bisogna andare oltre il suo capovolgimento il quale, se costituisce una “reazione necessaria e provvida contro l’unilateralità del modo in cui veniva interpretato il principio precedente”, per altro verso “reca a sua volta l’inconveniente di tutte le reazioni, perché sembra sorgere di fronte alla prima legge come inconciliabile rivale, destinata a soppiantarla. Nella prima formola, si ha una dualità di principî, la quale, come si è detto, è logicamente insostenibile; nella seconda, un difetto in senso opposto, la perdita totale del criterio di distinzione. Alla falsa estensione del principio d’identità e contraddizione segue la f a l s a e s t e n s i o n e d e l p r i n c i p i o d i a l e t t i c o>> .
Con questo la differenziazione tra “dialettica degli opposti” e “nesso dei distinti” viene sancito in maniera definitiva e Croce ribadisce la sua versione “circolare” della logica “storico-dialettica”, che tante critiche superficiali ha dovuto subire, ma che oggi si inserisce perfettamente nel percorso dell’epistemologia contemporanea più avvertita e più rilevante sia sul piano logico che su quello metodologico .
In altri termini, Croce è stato capace di integrare la storicità del Reale con gli intrecci complessi che lo caratterizzano, ponendosi come il primo pensatore che sia riuscito a intravedere i nessi con i quali gli eventi si intrecciano reciprocamente, senza pretendere di poterli recidere impunemente. Si tratta della differenza tra complicazione e complessità la cui definizione esplicita costituisce il punto di svolta dal meccanicismo riduzionista all’organicismo complesso .
Dunque Benedetto Croce ha compreso che tutti gli esistenti sono eventi che non si lasciano ridurre ai loro pretesi elementi, ma che ogni cosiddetto semplice è legato in maniera indissolubile al Tutto di cui, come abbiamo sentito dire espressamente a Croce, “è parte”.