Nonostante tutto, il Partito democratico conserva una sua forte vitalità. L’ultimo sondaggio, infatti, che gli attribuisce il 28% dei consensi e, dunque, il primato fra i partiti italiano (Forza Italia si posizionerebbe attorno al 25%) dimostra che il progetto è guardato con attenzione e con speranza da parte di molti italiani. E, in una società dell’immagine, al Partito democratico mancano ancora i requisiti fondamentali per “sfondare”: un leader eletto e in piena funzione, un inno, un simbolo e, insomma, tutto ciò che riguarda il mito politico, in un’accezione né negativa né positiva del termine.
La dialettica interna, lo scontro fra candidati e liste, a livello nazionale e regionale, da un lato ha incrinato l’immagine del partito ma ha messo in campo, dall’altro, migliaia di persone in carne ed ossa che, per motivi nobili e meno nobili, si impegneranno in una campagna elettorale lunga un mese.
Questo è lo stato dell’arte. La prospettiva di raggiungere il 35%, giusto per dare un’indicazione precisa, è dunque ancora in piedi. Ciò che manca veramente, allo stato attuale, è la prospettiva politica del dopo: ossia ciò che si dovrà fare il giorno dopo l’elezione, presumibile, di Walter Veltroni e la conseguente concreta organizzazione del partito in ogni sua articolazione.
Il Pd, innanzitutto, dovrà svolgere una funzione che potremmo definire di coalizione. In poche parole, dovrà trovare alleati con i quali raggiungere la maggioranza (almeno il 51%) per governare il paese. Sarà questa l’operazione più complessa da mettere in campo, perché dovrà discutere e dialogare con la sinistra radicale, che cerca di organizzarsi, e, al tempo stesso, con ciò che rimane al centro del centrosinistra. Una posizione, quella del Pd, di per sé difficile e complessa. E’, in fondo, la condizione in cui si trova l’attuale governo di Prodi, che è costretto, dai grandi temi della politica estera a quello dei lavavetri di Firenze, ad estenuanti, quotidiane, mediazioni.
Un gran peccato, perché se il governo potesse governare con minore difficoltà, il paese avrebbe grandi opportunità e grandi possibilità di sviluppo.
Ciò vale anche per le Regioni e per la nostra Regione, anche se in maniera meno eclatante.
Come uscire da questo grave problema? Il Pd può tentare di governare tale situazione sostanzialmente mantenendosi in una condizione di sostanziale ambiguità, e sia pure di un’ambiguità necessaria e, perciò, opportuna. Ma il rischio che corre in questo caso è quello di “bruciare” la sua identità e la sua capacità di espansione in poco tempo. Un Pd che abbia questo profilo non sarebbe in grado di attrarre i giovani, già lontani dalla politica; non sarebbe in grado di suscitare l’interesse della vera società civile: quello delle organizzazioni economiche e sociali, degli imprenditori, del volontariato, e così via. Non sarebbe in grado di colmare, per quel che si può, il vuoto lasciato dalla politica che si sta riempiendo di una pericolosa e dannosa antipolitica. Guai a quelle democrazie che finiscono col dare dignità politica all’eterno partito del “Piove! Governo ladro!”.
Ecco perché credo che il partito nuovo debba darsi un forte, deciso, profilo riformista o, se si vuole, riformatore, e che su questo tema debbano esprimersi con chiarezza e semplicità i candidati alla segreteria nazionale e alle segreterie regionali. Un profilo netto consente di dialogare con trasparenza (di fronte agli elettori) con i necessari alleati di governo.
Il guaio è che non si hanno chiare le idee sul riformismo da dover incarnare, che io credo debba essere (come ho cercato di individuare in un breve saggio) originale e creativo, capace di oltrepassare metodologicamente i riformismi già sperimentati. Sembra invece che alcuni prospettino per il Pd un futuro da vecchio partito liberale inglese, un po’ thatcheriano, un po’ blairiano.
Non è questo il nuovo liberalismo democratico che si deve costruire insieme a socialisti e cattolici democratici. Paradossalmente, il neoliberalismo viene prospettato essenzialmente da ex comunisti, e non c’è nulla di peggio, come è noto, dei preti spretati, di vecchi sessantottini che, in tarda età, scoprono Einaudi e La Malfa conditi in salsa anglosassone.

Ernesto Paolozzi

da “la Repubblica Napoli” del 16 settembre 2007                                                                                                                        Repubblica archivio