Attenzione il federalismo non è un valore ma un semplice strumento

Solo pochi mesi fa si discuteva sulla portata politica e sociale della cosiddetta stagione dei sindaci. E nelle ultime tornate amministrative, attorno ai tre sindaci più importanti d’Italia, Veltroni, Albertini e Rosetta Iervolino, si è creata una forte aspettativa che, addirittura, assumeva caratteristiche politiche di livello nazionale. Poi, all’improvviso, sia a Milano, capitale del Nord, che a Napoli, Capitale del Sud, sembra che qualcosa si sia inceppato. A Napoli, nonostante il sistema maggioritario e la stima personale di cui la Iervolino gode, il Consiglio stenta a decollare, al punto da non riuscire facilmente neanche a riunirsi. Albertini è inciampato nel referendum sul traffico che la Giunta non è stata capace nemmeno di organizzare, fino al punto da raggiungere il ridicolo: il 3% di votanti, seggi aperti solo alle 11 di mattina, altri privi di Presidenti, e l’assessore che chiede scusa ai cittadini. Ci spiace dirlo per gli amici milanesi: roba da Calcutta, altro che da capitale morale del paese!

Ma in questa nostra rubrica non intendiamo analizzare minutamente le vicende politiche. Altre sono le sedi in cui ciò è lecito e doveroso fare. E qui abbiamo sempre cercato di trarre da questioni particolari e contingenti qualche indicazione per affrontare temi più ampi.

Ora, da queste vicende che da un lato sembrano piccole e da un altro sono grandi, perché investono la vita di milioni di cittadini, ci confermiamo nell’idea che il riformismo istituzionale non sia la strada maestra per riorganizzare la vita politica delle nazioni.

In un recente libro pubblicato dall’editore Guida, Critica della ragion liberale, gli autori cercavano di presentare versioni diverse del liberalismo rispetto alla vulgata tradizionale. Nella Prefazione Valerio Zanone scrive: “Dunque negli scrittori liberali variamente storicisti che sono descritti dai cinque autori del volume, emerge come tratto comune la convinzione che il liberalismo politico non sia riducibile all’impianto istituzionale e procedurale; alla radice del liberalismo politico c’è una filosofia, anzi una pluralità di filosofie”.

Nessun impianto istituzionale, infatti, può garantire di per sé la funzionalità di una società se manca l’analisi storica delle condizioni e la passione politica che indirizza l’azione. Nicola Matteucci, liberale autentico e di statura europea, ha usato a tal proposito un’immagine bellissima: è inutile costruire alte mura per la difesa di una città se non c’è nessuno disposto a combattere per difenderla. Ecco perché non possiamo ritenerci appagati dalla riforma elettorale che, pure, negli ultimi anni ha dato i suoi frutti in molte città d’Italia. Lo sforzo da compiere è quello di rilanciare il dibattito politico sul destino delle città, sulle loro reali vocazioni, e riproporre, attorno ad un’idea di città, quel sano conflitto di interessi e d’ideali che è il sale della democrazia, che è la politica stessa.

Il dibattito sul federalismo, che va affievolendosi in tutto il paese ma che, probabilmente, risorgerà, a mio avviso drogato, in occasione del referendum confermativo della legge approvata nella scorsa legislatura, dovrà tener conto della reali esigenze politiche che sono alla base di esso. Altrimenti ci accapiglieremo su vuote formule, su esercizi dottrinari. Dietro ogni forma di federalismo c’è sempre una concezione politica, una volontà politica. Di per sé non è un valore ma un puro strumento.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 16 luglio 2002