Qualche riflessione finale sul federalismo visto dal Sud
Involontariamente, una mia breve nota, che intendeva essere soltanto una rimostranza contro la sceneggiata messa in scena da Bossi in visita a Napoli, ha sollevato un lungo dibattito sul federalismo visto dal Mezzogiorno. Involontariamente, perché, sinceramente, intendevo protestare soltanto per la mancanza di rispetto, vorrei dire per la scortesia, del leader leghista. La discussione aperta, però, è stata indubbiamente interessante, ed ha mostrato quanta preoccupazione vi fosse attorno al tema del federalismo.
Una prima considerazione sorge quasi spontanea: la stragrande maggioranza degli intervenuti è composta di Sindaci delle maggiori città campane e pugliesi. E’ un puro caso? Il tema interessa forse meno gli altri rappresentanti delle Istituzioni o dei partiti politici del Mezzogiorno d’Italia? Il fatto è, a mio avviso, che, com’è stato da altri autorevolmente rilevato, in Italia come nel Mezzogiorno, l’Ente che più degli altri sente il richiamo dell’autonomia, esprime una soggettualità non solo giuridica ma storica, sociale, culturale, politica, è il Comune. Già altre volte abbiamo notato che un veneziano si sente molto poco veneto, come un romano quasi non avverte di essere laziale. E lo stesso vale, naturalmente, per il nostro Sud. Per questo motivo i Comuni, giustamente, rivendicano un ruolo fondamentale nel federalismo che si cerca di costruire, ammesso e non concesso che si riuscirà veramente a realizzarlo. Già il Presidente Ciampi, alcuni mesi fa, mise in guardia dall’esaurire il dibattito sul federalismo nell’ambito delle richieste di autonomia regionale o, peggio, nell’ambito di macro-regioni che vogliono presentarsi come Stati nello Stato. La propaganda politica, la disattenzione dei mass-media, un certo pigro conformismo tendono a nascondere, ad esempio, le sostanziali differenze esistenti fra le tante realtà che compongono il cosiddetto Lombardo-Veneto. E, poiché, com’è noto, le parole incidono sulla realtà e sui fatti, modificandoli ampiamente, a furia di parlare di Padania, si sta veramente creando in Italia un’entità etnica e politica che ha poche ragioni storiche e sociali di essere.
Anche i Presidenti di Regione più attenti e preoccupati per il futuro dell’Italia hanno riconosciuto il ruolo fondamentale dei Comuni pur tentati, com’è ovvio, dalla conservazione del loro crescente potere e della loro enorme influenza.
Ora, se ben si guarda a questa vicenda, al rapporto fra Stato, Regione, Provincia e Comune, non è in gioco soltanto una diversa visione burocratica del federalismo ma, in buona sostanza, un’idea politica e culturale del federalismo stesso. Chi pone in risalto il ruolo del Comune non intende, almeno nella maggior parte dei casi, riprodurre una forma di municipalismo esasperato, non evoca, infatti, la civiltà comunale, ma si riferisce al Comune come a quell’Ente amministrativo che per primo si trova ad affrontare i problemi del territorio, ivi compresa la difesa dell’ambiente. Chi, invece, invoca il federalismo come antitesi allo Stato centralizzato pone, com’è ovvio, una questione del tutto diversa. Se i Comuni chiedono di poter meglio collaborare all’amministrazione dello Stato, e di ricevere in cambio una maggiore attenzione, il federalismo che ha infiammato i cuori di una parte delle popolazioni del Nord e, per spirito di rivalsa, di settori dell’opinione pubblica meridionale, nasconde (e non sempre nasconde) uno spirito polemico nei confronti dello Stato unitario e, naturalmente, di alcune parti di quello Stato stesso.
Molti di quelli che fino ad ieri sostenevano a spada tratta il federalismo, cominciano oggi a preoccuparsi, al Nord come al Sud. Come se solo adesso si scoprisse che quello del Nord non era un lieve venticello che intendeva soltanto sfrondare l’albero burocratico dello Stato. Ma un potente vento che quell’albero voleva sradicare del tutto. E’ contro questa concezione del federalismo che bisogna battersi senza sentirsi arretrati o non al passo con la storia.
Ernesto Paolozzi
Da “Corriere economia” del 7 maggio 2001