Il liberalismo metodologico.

Il pensiero politico di Croce, seppure riferito sempre alla problematica della libertà, per la vastità stessa dei riferimenti e delle questioni agitate, non suscitò particolare interesse nel mondo liberale. La stessa adesione di Croce al giolittismo parve legata ad una particolare gestione del governo più che ad una vera e propria ideologia. Così pure il concreto impegno politico del filosofo, come subcommissario al Comune di Napoli, come senatore e poi, nel 1921 come Ministro della Pubblica istruzione, non si colorì di quelle sfumature che connotano l’attività del leader. Inoltre, ed è forse questo l’aspetto più significativo, la filosofia di Croce, il suo storicismo, e le origini marxiste ed hegeliane apparivano, e in qualche modo erano, estranee alla tradizione classica del liberalismo di chiara impronta empirista. La vera svolta avvenne con l’avvento della dittatura. Dopo una fase iniziale di incertezza, soprattutto a seguito del delitto Matteotti, Croce passò all’opposizione, redigendo, su proposta di Giovanni Amendola, il Manifesto degli antifascisti e poi, intervenendo, con memorabili discorsi al Senato, testimoniò il forte dissenso della cultura antifascista italiana. Divenne così il simbolo della resistenza morale e culturale al dispotismo, sia in Italia che all’estero. Finita la guerra, prese parte alla ricostruzione dei governi italiani e rifondò il Partito liberale, di cui divenne Presidente. In questi venticinque anni con scritti di varia natura e occasione Croce elaborò quella che potremmo definire una più stringente ricognizione dei temi legati alla sua filosofia della libertà: sono gli anni in cui viene concepita la teoria metapolitica della libertà, con la quale s’intende presentare il liberalismo come concezione generale della vita, al di là delle singole dottrine economiche, politiche e giuridiche che hanno costituito la storia del movimento liberale.
Inteso così il liberalismo, ossia non solo come movimento politico storicamente determinatosi ma come espressione etico-politica di una generale concezione o idea di libertà, mutano i rapporti tradizionali fra i vari movimenti politici. Se si è compreso il pensiero del filosofo si comprenderà perché per Croce la libertà, che è la forza etica che muove la storia in perpetua lotta col disvalore, con la vitalità cruda e verde, la libertà non può esaurirsi in questo o quel determinato partito, movimento o dottrina particolare. Il giusnaturalismo, ad esempio, può essere stato, e senz’altro è stato, un movimento decisivo per l’affermazione dei diritti di libertà di milioni di uomini e donne, ma non per questo si può considerare l’unica teoria liberale, il punto d’arrivo, la meta della lotta per la libertà. Così non fosse, il liberalismo avrebbe esaurito la sua spinta con l’essersi, almeno in parte attuato e difficilmente avrebbe potuto resistere (trasformandosi in forza di conservazione ) alle tante critiche mosse dagli avversari. La libertà e l’incessante lotta per la sua concreta attuazione, non conosce simili confini.
Risultano, dunque, anche più chiari i termini della polemica che croce, garbatamente e rispettosamente, condusse con Einaudi e Ropke circa la questione se il liberalismo potesse o dovesse identificarsi con la cosiddetta economia di mercato o liberismo economico. Non che Croce avesse mai negato, nella sua concreta vita politica, l’importanza dell’economia di mercato, ma non poteva non avvertire che la libertà può, in via teorica, coesistere con altre forme di economia e, possiamo aggiungere, che, purtroppo, una società liberista non garantisce di per sé la libertà politica, giuridica e morale. Si può, credo, con una certa serenità, affermare che la storia abbia dato ragione a Croce , essendo molti gli esempi, dalla Svezia statalista e socialdemocratica degli anni Settanta al Cile liberista e totalitario di quegli stessi anni, che testimoniano come la libertà non sia necessariamente legata ad un sistema economico. I liberisti commettono, in certo qual modo, lo stesso errore compiuto da Marx che assolutizzava l’economia come unica causa motrice della storia. D’altro canto, non esistono sistemi economici puri : esistono concrete politiche economiche sottoposte alle sempre nuove e imprevedibili condizioni dettate dalla storia.
Così inteso, è possibile definire il liberalismo di Croce liberalismo metodologico, come è, del resto, l’intera sua filosofia che egli , non casualmente, definisce metodologia della storia. Il termine metodo può far giustizia anche sul terreno semantico dei tanti equivoci sorti dalla definizione “teoria metapolitica della libertà“: da qui, infatti, i tanti fraintendimenti e le accuse di metafisicismo, di astrattismo, di disprezzo per l’empiria istituzionale. E’ vero il contrario: i liberali che si ostinano ad elevare ad unica dottrina liberale un particolare programma politico o economico finiscono con l’astrarre dalla complessa realtà una sola parte di essa. Queste dottrine si presentano nella forma schematica tipica dei ragionamenti logici, concatenati fra loro e perfetti nella forma per cui sembrano, sulle prime, estremamente concreti perché esatti ma in realtà sono essi veramente astratti. Il liberalismo di Croce è invece un metodo di interpretazione della realtà e assieme un’idea regolativa della realtà stessa. In questo senso, e solo in questo senso, è possibile ripensare il concetto di libertà come utopia, intendendo con questa la regola morale che s’intende seguire e per realizzare la quale si organizzano concrete e perciò sempre nuove politiche. Si pensano, storicamente, nuovi modelli istituzionali, si fondano partiti, sindacati , associazioni; si promuovono leggi, se è il caso si combatte e si lotta per abbattere privilegi, vecchie istituzioni, regole sorpassate. Un liberalismo concretissimo, dunque, e per nulla metafisico. Non sempre, forse, questi concetti sono da Croce spiegati fino in fondo se non in interventi e scritti occasionali.
Un altro punto è necessario porre all’attenzione di studiosi e uomini politici. Se il liberalismo così inteso ha una valenza metodologica e non è un insieme di dottrine confezionate ad hoc in un dato momento storico e poi arbitrariamente elevate a teorie eterne, se il moderno liberalismo è questo, esso può dialogare ed aprirsi al confronto con gli altri movimenti che non pretedano a loro volta di essere rappresentativi di tutta la realtà, tramutandosi in filosofie della storia. E’ il caso, ad esempio, del movimento socialista. Il liberalismo è estremamente esigente allorché si tratta di contestare e contrastare, anche con la forza ( che non è la mera violenza), qualunque movimento politico si proponga implicitamente o esplicitamente di limitare la libertà ma è disposto a riconoscere le ragioni dell’avversario e farle proprie quando esse non contrastino col principio regolatore fondamentale. Nel nostro esempio, se il socialismo abbandona, come ha in gran parte abbandonato, le vecchie bardature hegelomarxiste, come le definì una volta Croce, per trasformarsi ( o , come dice ancora Croce, ritornare alle origini) in movimento per l’emancipazione sociale e politica dei meno abbienti, dei lavoratori, degli svantaggiati, potrà e dovrà collaborare con il liberalismo.
Questa è la posizione di Croce e non bisogna lasciarsi fuorviare dalle polemiche, anche aspre e forse eccessive, che il filosofo condusse con alcuni esponenti del liberalsocialismo e con alcuni illustri rappresentanti dell’azionismo, peraltro spesso suoi amici e allievi. Furono dettate, infatti, da fattori contingenti e dalla preoccupazione, squisitamente filosofica, di tenere ben distinte le categorie ( la libertà, in questo caso) dai concetti empirici quali quelli di giustizia e democrazia.
Ciò che si è detto per il socialismo vale, ovviamente, anche per gli altri movimenti etico-politici esclusi quelli, giova ribadirlo, decisamente totalitari. Discorso analogo si può condurre rispetto alla grande questione della legittimità dei partiti. Se il liberalismo è un metodo, una concezione generale della vita, allora i partiti ( e i cosiddetti programmi politici) non possono essere assolutizzati e immobilizzati. Essi non sono dei pregiudizi ma dei giudizi, come suona il titolo di un famoso saggio crociano; sono concrete ed empiriche formazioni che s’ispirano ad un ideale , che rappresentano interessi che devono, di volta in volta, adeguarsi alle concrete e sempre nuove condizioni storiche.
Questa mobilità , che non è ambiguità, è la garanzia fondamentale per la libertà e la democrazia ed è il fondamento stesso della responsabilità, perché un atto è veramente responsabile se è frutto di una scelta e non c’è possibilità di scelta in quelle ideologie, in quei partiti che credono di fondarsi su certezze assolute. La democrazia stessa può degenerare in totalitarismo se assolutizza i suoi principii tramutando, ad esempio, il principio della maggioranza in tirannia della maggioranza.
Il liberalismo di Croce rappresenta, dunque, una novità nell’ambito della filosofia politica tradizionale. La letteratura critica sull’argomento è ancora esigua e solo da pochi anni si comincia ad avere consapevolezza dell’originalità e della forza di questo aspetto, certo non secondario, dell’attività speculativa del filosofo. Ma la crisi che il liberalismo vive, quasi trascinato nel vortice creato dal crollo degli opposti totalitarismi del nostro secolo, il comunismo e il fascismo, spingerà a cercare e forse a trovare nuove e più sicure strade. Il pensiero di Croce, pur prospettando nuovi problemi, si propone come un riferimento sicuro per chi intenda difendere ed ampliare i diritti di cittadinanza, i diritti dell’individuo, conservare e promuovere la libertà.

Ernesto Paolozzi