Quei quattro gatti liberal socialisti 

“Quattro gatti de Il Mondo” è il titolo del documentario che Giovannino Russo ha dedicato al grande settimanale fondato da Mario Pannunzio. Sarà proiettato per il pubblico napoletano oggi alle 17.30 all’ Istituto per gli studi filosofici. Russo, che è una grande firma e uomo di raffinata cultura, presenta con ironia e con malcelato orgoglio quei “quattro gatti” che indicarono, nel dopoguerra, la cifra del miglior giornalismo politico e culturale italiano incarnata, fra pochi altri, dal fondatore di “Repubblica”, Eugenio Scalfari. Il pubblico avrà l’ occasione di guardare in video i volti di tre protagonisti della politica e della cultura italiana dell’ area laica, liberale e socialista, oggi non più popolari ma la cui eredità non è spenta e rappresenta, per tanti aspetti, ancora una meta da raggiungere per una società che voglia potersi definire civile ed europea a tutti gli effetti.

Leone Cattanei, segretario del partito liberale negli anni immediatamente successivi alla guerra, cercò, invano, di orientare il ricostituito partito verso una stagione democratica e progressista. Un liberal, diremmo forse oggi, che si mosse nel variegato mondo dell’ azionismo e del radicalismo italiano.

Carlo Laurenzi, raffinato elzevirista, intellettuale sobrio e scarno, apprezzato innanzitutto (e non casualmente) da Eugenio Montale.

Aldo Garosci, antifascista militante, compagno e amico di Giuseppe Saragat, fra i massimi teorici della socialdemocrazia italiana, politico e storico, autore di una splendida biografia di Carlo Rosselli.

Dalle loro testimonianze, e dalla narrazione di Giovannino Russo, emergono con chiarezza ed evidenza le idee di fondo che segnarono la vita e l’ impegno di quei “quattro gatti”: l’ ispirazione risorgimentale, non retorica ma ferma, senza se e senza ma; l’ antifascismo non postumo; l’ anticomunismo, anch’ esso non postumo; la laicità integrale ma mai integralista; il valore della libertà dell’ iniziativa economica coniugata a quelli della socialità e della giustizia; l’ europeismo inteso come diretta filiazione del Risorgimento, ossia come tappa ulteriore sul cammino della libertà e del progresso economico e morale dei popoli.

Il maggiore interprete politico di questa tradizione sembra essere il Presidente Giorgio Napolitano. Consapevole, come quasi ogni giorno non omette di ricordare, che soltanto in questo orizzonte sarà possibile riconquistare quella forza etico-politica capace di comunicare passione ed entusiasmo alle nuove generazioni, alle quali è affidato il futuro del paese. Ciò che ci amareggia è la solitudine del Presidente in un mondo politico che sembra quasi completamente avvilito in discussioni di basso cabotaggio, disperso fra i mille rivoli delle polemiche personali e delle baruffe da comari.

Ciò che ci consola e ci dà speranza è che invece la grande maggioranza dei cittadini sembra cogliere i ripetuti inviti di Napolitano e sembra non attendere altro che di vedere le forze politiche riuscire a organizzarsi attorno a un progetto, rianimarsi attorno a una idea, un orizzonte.

Fra gli amici de “Il Mondo” correva la battuta: “Siamo un gruppo di uomini indecisi a tutto”. C’ è della verità in questa autoironia, quella difficoltà della cosiddetta terza forza fra i partiti popolari dell’ epoca a prendere posizioni facilmente riconoscibili dall’ elettorato. Ma c’ è anche la consapevolezza (e, perché no?, perfino un po’ di snobismo) del fatto che, di fronte alle certezze del pensiero totalitario, il pensiero libero può, anzi deve, essere dubbioso. Dubbioso ma mai incerto di fronte alle ingiustizie, alle illegalità, alle minacce alla libertà. Oggi, invece, l’ incertezza dei partiti sembra dettata esclusivamente dalla paura di prendere posizioni che potrebbero risultare impopolari. Come se la preoccupazione di una massaia per l’ euro ingiustamente messo sotto accusa per l’ aumento delle zucchine, debba far rinunciare al rilancio dell’ europeismo come antidoto ai pericoli della globalizzazione e alla meschinità della politica italiana.

La situazione è tragica ma non è seria, recitava un aforisma di Ennio Flaiano. Battuta forse oggi un po’ abusata che rende, purtroppo, molto bene la condizione attuale della politica italiana.

Ernesto Paolozzi

da Repubblica-Napoli del 04 febbraio 2011                                                                                                                                    Repubblica archivio