Se la democrazia non vivesse un momento di crisi, non si avvertirebbe l’esigenza di fondare un Partito democratico. Il disorientamento dei cittadini, la frammentazione dei partiti, non più legati alle antiche tradizioni politiche, richiedono un grande sforzo di fantasia per costruire un modello nuovo di democrazia, sul piano politico come su quello istituzionale ma, soprattutto, sul terreno della democrazia economica e della libertà della cultura
Pubblichiamo alcuni paragrafi dal volume di E. Paolozzi, Il partito democratico e l’orizzonte della complessità, Napoli, Guida, 2007.
Crisi della politica e dei modelli interpretativi tradizionali
Poniamoci di fronte a quattro grandi questioni che occupano lo scenario
etico-politico mondiale: la globalizzazione dei mercati e la conseguente
omologazione degli stili di vita, il confronto con il mondo islamico, il
vertiginoso progredire della tecnica e l’incombente catastrofe ambientale.
I tradizionali parametri ideologici non riescono più, per la loro rigidità, ad
interpretare tali problematiche e, soprattutto, sembrano incapaci di fornire
risposte efficaci.
Non è più possibile ricorrere all’analisi marxiana dei rapporti di forza e
della lotta di classe per risolvere le questioni sul tappeto, ma nemmeno è
pensabile, come pure alcuni liberali hanno ritenuto negli ultimi decenni, di
lasciarne la soluzione al solo mercato e alla sola legge della concorrenza.
Il richiamo di ispirazione religiosa, nobile e sempre valido per la
coscienza individuale, al solidarismo, ha un valore kantianamente regolativo,
ma non basta da solo a tradursi in pratica politica.
Il problema è che, di fronte al mondo contemporaneo, le antiche
categorie interpretative, lacerando la realtà senza comprenderla nel suo
insieme, risultano parziali, settoriali ed inefficaci perché rispondenti ad una
logica binaria (l’una interpretazione esclude l’altra) superata e impotente
perché incapace di cogliere la complessità che caratterizza i nostri giorni.
E’ la crisi che assilla l’intero Occidente che, incapace di superare
definitivamente le vecchie ideologie, di fronte alle nuove questioni che la
storia solleva non riesce a prefigurare prospettive originali, non sa
immaginare orizzonti diversi, finendo col riprodurre sul piano politico l’antica,
paralizzante dicotomia dell’assoluto relativismo da un lato e dell’ assolutismo
dogmatico dall’altro.
Due assolutismi di fondo dai quali dobbiamo fuggire come dal male
profondo che minaccia la nostra società.
Chi, nel nome di una presunta tolleranza e larghezza di vedute, finisce
con l’accogliere tutto ciò che accade come inevitabile e, d’altro canto invece,
chi spera in un improbabile ritorno ad antichi valori che tali non sono e che, di
fatto, la storia ha travolto nella concreta sua esistenza.
Siamo quasi immobilizzati in questa lunga, estenuante lotta fra posizioni
irriducibili, inconciliabili, che sovrastano e quasi cancellano i tanti reali,
concretissimi conflitti di cui si sostanzia una società pluralista e democratica,
capace di prefigurare e progettare il proprio avvenire.
L’impegno dei democratici
Qual è dunque il compito che i democratici devono assegnarsi e svolgere?
Non è questa la sede per discutere di un possibile programma il quale,
giuste le premesse fatte, non può non essere un programma in movimento,
duttile, necessariamente correlato alle evenienze e alle contingenze del
momento. Qui si possono indicare alcune priorità di carattere generale e,
quasi come se fosse un memorandum, segnare un orientamento per grandi
linee tenendo presente l’opportuna distinzione, indicata da Arturo Parisi, fra
governo, per sua natura sempre legato alla contingenza, e partito nuovo, che
deve sapersi proiettare verso tempi più lunghi.
Le grandi questioni, tra loro connesse perché o si risolvono assieme o
non si risolvono, sono il grande tema dell’immigrazione, al quale si lega
quello dell’insorgenza del nuovo integralismo islamico, la questione del
lavoro, perché è attorno ad essa che si sviluppa il fenomeno migratorio, e
quelle del Mezzogiorno d’Italia e dell’Europa a partire dalle quali si può
avviare un processo positivo e virtuoso. L’immigrazione può rappresentare
un’enorme risorsa per il mondo occidentale e per l’Italia, in crisi demografica
e carente di manodopera in molti larghi settori del mondo del lavoro. Può
essere distruttiva se sconvolge il mercato del lavoro, se offende gli immigrati
che non si sentono accolti, e gli ospitanti, che si sentono aggrediti e
minacciati nelle loro tradizioni e consuetudini. Un grande partito democratico
deve poter affrontare questo tema riconoscendo il ruolo dello Stato
nell’accoglienza sociale e nell’assicurazione dei diritti fondamentali di
chiunque arrivi nel nostro paese. Ma, al tempo stesso, e forte di questa sua
posizione, deve impegnarsi a far rispettare le leggi fondamentali dello Stato, i
diritti e i doveri che la nostra storia e la nostra tradizione hanno per gran parte
acquisiti come punti di riferimento imprescindibili.
In questo quadro la questione del Mezzogiorno d’Italia e dell’Europa
unita diventano fondamentali. Il Mezzogiorno può e deve rappresentare la
grande via di congiunzione con i paesi della “Riva Sud” del Mediterraneo in
una nuova concezione intelligente e aperta al futuro del Mare Nostrum.
Anche qui vale lo stesso ragionamento svolto per linee generali. Il
Mediterraneo può costituire una grande opportunità sul terreno commerciale
e degli scambi culturali; rappresenta un’apertura verso l’emergente mondo
orientale e costituisce, certamente, un segmento forte della identità della
nuova grande Europa che si sta costituendo. L’Italia e il Sud d’Italia, per
posizione geografica, cultura, tradizioni e possibilità economiche possono
svolgere un ruolo decisivo. A patto che l’accoglienza della diversità sia
strettamente connessa al rispetto dei diritti; sempre che una intelligente
politica delle risorse del lavoro non lasci saldare, come è accaduto in Francia,
l’insorgenza dell’integralismo religioso con le condizioni di degrado e povertà
dei lavoratori immigrati. Il nostro Sud, inoltre, vive l’inquietante fenomeno
della disoccupazione giovanile intellettuale la quale, in sé e per sé,
rappresenta una vera tragedia ma contiene l’occasione di utilizzare questa
enorme risorsa di ricchezza e creatività se le si fornisce l’opportunità di
emergere. L’emersione può essere facilitata da un vero allargamento del
mercato economico e degli scambi culturali con i paesi emergenti del
Mediterraneo che hanno la necessità di integrare con l’Europa le loro risorse,
le loro potenzialità.
L’Europa pertanto rimane il punto di riferimento essenziale. Gli ultimi
avvenimenti hanno messo in discussione il processo costituente che si era
avviato. Ora si potrà e si dovrà discutere sulle modalità con le quali tale
processo dovrà di nuovo mettersi in moto. Ci vorrà probabilmente prudenza e
si dovrà agire con abilità e diplomazia. Ma sarebbe un errore imperdonabile
abbandonare la via fino ad ora intrapresa. L’unificazione economica europea
deve diventare una vera, profonda, unificazione politica. Solo una grande e
coesa Europa potrà dominare gli eccessi della globalizzazione e rimettere in
movimento la dinamica dell’equità sociale, dei diritti civili, delle pari
opportunità, della libertà diffusa, della democrazia realmente operante.
Se queste sono delle priorità programmatiche, accanto ad esse un
nuovo partito democratico deve possedere nel suo genoma alcune idee guida
che, pur restando sullo sfondo, devono poter orientare la concreta e sempre
mutevole azione politica.
Quasi a ricordarlo a noi stessi, ne segniamo qualcuna.
-Liberare la società e la politica dai vincoli delle corporazioni, dalle stanche
oligarchie di potere, dalle pigre consuetudini di chi ritiene che il mondo non
possa cambiare.
-Riconquistare la speranza della politica, il dovere della politica, ricordando
che se non la facciamo noi la fanno altri per noi.
-Rilanciare l’azione della politica nelle coscienze e nelle istituzioni nazionali e
sopranazionali come fondamentale antidoto alla supremazia incontrollata
dell’economia.
-Riappropriarsi di se stessi, riconquistare la volontà di essere protagonisti per
poter tornare ad essere artefici del nostro destino e contribuire al destino
della collettività.
-Affermare l’individualità contro il meschino egoismo, come rispetto della
creatività, in sé portatrice del valore dell’alterità, della socialità, della
solidarietà.
-Riconquistare la dignità intesa come limite invalicabile di garanzia di ogni
individuo, da promuovere e proteggere nel concreto operare di ciascuno e
dello Stato.
-Ricordare che l’individuo è sempre un fine e mai un mezzo.
-Ricordare che l’individuo non può vivere senza l’impegno teso a fare del
destino individuale e collettivo il frutto della collaborazione responsabile,
libera e costruttiva di ciascuno, unica garanzia della trasparenza, della
democrazia partecipativa, della libertà.
-Riaffermare la responsabilità interpretata come consapevolezza del valore
dell’impegno di ogni individuo nel vasto orizzonte della storia dell’intera
umanità.
-Considerare l’equità come ciò che tende a garantire e a promuovere la parità
dei diritti e delle opportunità, linfa vitale di un patto sociale non scritto che
altrimenti perderebbe senso e valore.
-Promuovere la mobilità sociale quale sinonimo di equità, libertà, democrazia,
attraverso l’abolizione dei privilegi corporativi, generazionali e di genere, che
lacerano il tessuto sociale e deprimono la crescita economica e il progresso
civile del paese.
-Promuovere e sostenere la ricerca scientifica affinché, nella sua
irrinunciabile trasparenza, contribuisca alla crescita del benessere fisico della
popolazione, alla salvaguardia dell’ambiente e al progresso economico del
paese.
Fra comunitarismo identitario ed individualismo egotico si colloca la dialettica
individuo-comunità in una dimensione etica, nella quale lo Stato, quale che
sia la sua forma giuridica e la sua estensione, sia uno Stato dei diritti e delle
garanzie. Individualità e socialità, così intese, si perdono o si guadagnano
assieme nell’orizzonte della democrazia e della libertà.