Il riscatto della città plebea. Un museo per Vico: si inaugura la Fondazione

L’inaugurazione della sede napoletana della Fondazione Giambattista Vico nella chiesa di San Biagio Maggiore, nel cuore della città, fra San Gregorio Armeno e San Biagio dei librai, è un avvenimento di grande importanza per molti motivi.
Si recupera nel centro antico, nei luoghi veramente pregni di storia ad ogni passo nei quali il grande filosofo visse, un complesso monumentale in un momento in cui, come mostra il dibattito più recente, quei luoghi stessi sembrano essere di nuovo sommersi da quella che Vico avrebbe definito la barbarie ritornante.

E’ recente infatti la riapertura di una approfondita ed accorata discussione sulle sorti del più vasto centro storico d’Europa a proposito di una proposta di legge regionale sul suo recupero presentata da Giuseppe Ossorio e, in varia misura, sostenuta dal gruppo di studiosi riunito da Gerardo Marotta, il giudice Raimondi, l’architetto Pane a da tanti altri esponenti della cultura napoletana più avvertita. E’ un gran bene, a mio avviso, che mentre la politica istituzionale fa il suo lungo e faticoso corso, iniziative spontanee e intelligenti intervengano, anche simbolicamente, ad invertire una situazione di degrado che solo pochi giorni fa il Rettore dell’Orientale, Ciriello, aveva denunciato lanciando un drammatico appello in salvaguardia degli studenti della sua Università che da sempre vivono con passione la vita culturale e associativa di quella parte della città.

La Fondazione, presieduta da Vincenzo Pepe, con la collaborazione di studiosi quali Giuseppe Limone, Marina Fumo e Sergio Sorrentino, svolge già da anni un’incisiva azione di diffusione del pensiero vichiano e della cultura in generale nel cuore del Cilento, da Vatolla, dove ha sede nel Palazzo de Vargas, a Paestum, dove è stato fondato il Museo del Grand Tour diretto da Eustachio Voza. Ma l’inaugurazione, sabato prossimo alle 10.30, della sede napoletana diretta da Maria Grazia De Ruggiero, apre un nuovo orizzonte all’attività della Fondazione che si affiancherà a quella che già da anni svolge il Centro di Studi Vichiani.

La figura di Giambattista Vico sintetizza forse anche più di quella di Croce, a mio modo di vedere, la natura e l’anima della nostra città. La geniale complessità del pensiero vichiano, il suo dilaniarsi fra un radicamento esistenziale alla tradizione e al passato e l’apertura al più ardito futuro, ad una “scienza nuova”, sembrano rappresentare plasticamente le contraddizioni della nostra città.

Una città barocca non solo nella monumentalità ma nell’animo, e spesso di un Barocco ridondante e confuso, eppure una città capace di momenti alti, di prese di coscienza politiche e civili di grandissimo valore, come quelle che lo stesso Vico propose e che si rinnoveranno in Giannone, negli illuministi, in Cuoco, in De Sanctis e in Croce. Una città plebea come poche altre al mondo, con una borghesia che da sempre, tranne casi rari e sparuti, quando può assume le caratteristiche della plebe arricchita; estranea, sembrerebbe di poter dire, alla modernità ma anche alla più semplice civiltà in quasi tutte le sue manifestazioni eppure, di tanto in tanto, ancora capace di esprimere un pensiero originale, un’arte veramente creativa, di assumere comportamenti di laica indignazione politica.

Una città che, come Giambattista Vico, difficilmente può essere accolta nel circolo della cultura mondiale, diciamolo pure, nella moda culturale perché, certamente, accanto ad aspetti di arretratezza inquietanti, almeno per i non conformisti, sa assumere il ruolo di città guida come poche altre possono fare oggi in un mondo che tende sempre più all’appiattimento, a dissipare quello che un altro autore isolato, Tocqueville, avrebbe chiamato il gusto per la libertà.

Come si può non dire che la nascita della Fondazione nei vicoli degli scippi e degli schiaffi dati ai turisti da bande di ragazzini non rappresenti, fisicamente, questa nostra condizione dell’anima?

Ernesto Paolozzi

Da “La Repubblica” del 18 marzo 2006                                                                                                                                           Repubblica archivio