La storia della famiglia Poerio.
Benedetto Croce, Una famiglia di patrioti, Milano, Adelphi, 2010, pp. 179, €13,00
Il saggio Una famiglia di patrioti è, generalmente’ relegato fra gli scritti minori di Croce, anche se universalmente apprezzato per lo stile, la qualità della scrittura e l’evidente passione che lo anima. E, certamente, al confronto con le grandi narrazioni storiografiche, dalla Storia del Regno di Napoli alla Storia d’ Europa, il respiro complessivo dell’opera sembra minore, restringendosi a raccontare le vicende di Giuseppe Poerio, dei due figli Alessandro e Carlo e delle donne di famiglia Carolina e Carlotta .
Eppure, nell’intrecciarsi delle storie, delle tragedie e delle vittorie personali, emerge una interpretazione netta e sicura della cifra politica del liberalismo meridionale, della rivoluzione giacobina del ’99 e degli sviluppi che il movimento rivoluzionario avrà negli anni del Risorgimento. La prosa crociana, sia pure rattenuta, per dirla con Gianfranco Contini, lascia trasparire chiaramente la passione con la quale il filosofo ricostruisce la storia di questa famiglia di patrioti che incarnano, nel bene degli ideali e nella difficoltà della loro attuazione, il meglio della cultura politica dell’Italia intera.
E’ interessante, innanzitutto, il giudizio sulle vicende della Rivoluzione napoletana del ’99, alla quale Croce aveva dedicato saggi giovanili, anch’essi appassionati e partecipi. Non che si possa parlare banalmente di revisionismo o di capovolgimento totale della posizione del filosofo, quasi fosse passato da un giovanile rivoluzionarismo ad un maturo conservatorismo o, peggio, reazionarismo. In realtà Croce rimodella la propria interpretazione, come in altri scritti, sulla scia, fondamentalmente, del grande Saggio di Vincenzo Cuoco. Giusta la lezione di Giambattista Vico, del suo storicismo finalmente interpretato in maniera complessa ed intelligente, Croce distingue fra l’indiscutibile impegno etico dei rivoluzionari, l’indubbia onestà ed eroicità di quei giacobini che s’ispiravano alla grande rivoluzione borghese della Francia, e la evidente incapacità politica di precipitare quegli ideali nella concretezza della particolare storia napoletana.
L’etico-politico si compie e si realizza, secondo Croce, soltanto quando fra l’ideale morale e la concreta realtà effettuale, per dirla con Machiavelli, si compone e si compie una reale e positiva azione politica. L’ideale, insomma, deve trionfare nella concreta storicità.
Questo punto di vista, che rende il liberalismo crociano più consapevole e moderno rispetto a quella classico e di scuola, e che lo distingue nettamente da ogni teoria utopistico-totalitaria della vita, non sarà mai abbandonato dal filosofo e ritornerà infatti nelle pagine più polemiche degli ultimi anni della sua vita, allorché si tratterà di ricostruire il partito liberale all’indomani della caduta del regime fascista.
Non si tratta di una condanna, che sarebbe antistorica, del giacobinismo in sé e per sé o dei suoi derivati fino al contemporaneo azionismo. Si tratta di una valutazione politica sulla capacità effettiva di poter realizzare un più alto grado di civiltà e di libertà politica. Insomma non si tratta di contrapporre un Croce progressista ad un Croce reazionario. La storia dei Poerio narrata in queste chiare e belle pagine lo dimostra ancora una volta.
Carlo Poerio, fratello del più romantico e sfortunato Alessandro, morto a seguito di ferite nella difesa di Venezia, rappresentò, come in parte il padre Giuseppe, il partito liberale moderato dell’Italia meridionale. Il suo rapporto con la monarchia borbonica fu, pur nello scontro profondo di ideali, sostanzialmente di rispetto una volta passata la fase dell’infervoramento giovanile e una volta che il padre Giuseppe poté tornare dall’esilio dopo gli anni “insurrezionali”. Ma nell’ultima fase della sua vita, condannato all’ergastolo, il suo atteggiamento si fece sempre più inflessibile e la separazione da quella monarchia netta e non più componibile.
Assurse a simbolo delle aspirazioni napoletane alla libertà e il suo nome risuonò in tutta l’Europa libera. Citato da Gladstone, Victor Hugò lo immortalò nei suoi versi: “Batthyani, Sandor, Poerio, victimes! Pour le peuple et le droit en vain nous combattimes!” In quegli anni il patriota si avvicinava alla monarchia dei Savoia e all’ideale dell’unità di Italia.
Croce propone dunque la sua interpretazione del movimento liberale nell’Italia meridionale di quegli anni:
” …il partito moderato napoletano, rappresentato da Carlo Poerio, si spogliò per la prima volta del carattere meramente etico, che lo aveva nobilitato nell’estimazione ma condannato al fallimento nella realtà effettuale, e compì un atto di valore politico. E, forse, questo primo fu anche l’ultimo suo atto veramente politico; perché costituita l’unità, il partito liberale moderato sembrò, in un tempo che richiedeva ben altri accorgimenti, tornare alla sua disposizione originaria; e si mantenne quale l’abbiamo descritto, ora superiore, ma astrattamente superiore, al paese nel quale gli toccava operare, ora estraneo e ignaro dei problemi reali di questo. Gli estremi scolari, continua Croce, dei Poerio, decadendo come accade nell’esaurirsi di una scuola, finirono con l’accoppiare alla tradizionale e ormai vantata ‘onestà’, divenuta in essi inerte e di maniera, una effettiva e immedicabile inettitudine pratica, che non si potrebbe particolarmente illustrare senza fare passaggio dalla considerazione storica alla polemica politica; (…) epperò mi astengo dal venir mostrando che nell’Italia meridionale la condizione è ancora questa: da un lato falsi partiti politici di maschera democratica, sfruttatori della cosa pubblica a pro di clientele, e dall’altra, un’ombra di partiti moderato e liberale, che cerca di darsi qualche corpo mercé l’unione, non fondata sopra medesimezza di tradizioni o conformità di idee, con la parte cattolica.”
E’ un’interpretazione che (può sembrare banale dirlo ma è innegabilmente plausibile) può avere un qualche valore anche per l’Italia di oggi. Da Nord a Sud si agitano estremismi parolai e confusionari e si stenta a costruire un grande partito moderno ed europeo in grado di farsi carico del governo della nazione, di porsi come mediatore alto fra interessi e bisogni, ideali e concrete passioni.
Ernesto Paolozzi
da “Libro Aperto” Numero 62, luglio-settembre 2010