Aspettiamo con fiducia che si dia risposta a queste domande indicando progetti veri per il Mezzogiorno, autentici, possibili. Non solo slogan più o meno efficaci, più o meno accattivanti.
Il rifiuto di Antonio D’Amato a candidarsi è una delle poche buone notizie di questa campagna elettorale. Ciò che è importante, infatti, è la motivazione addotta dall’ex Presidente nazionale di Confindustria: l’assenza di progetti seri per il Mezzogiorno d’Italia nel programma del Popolo della libertà.
Finalmente una motivazione politica e programmatica in un momento in cui, dispiace dirlo, tutti i partiti, e i due più grandi soprattutto, stanno presentando agli elettori candidature totalmente avulse dalla vita politica concreta della nazione, totalmente estranee al processo di sviluppo del paese.
Che senso ha candidare un operaio o un imprenditore in quanto operaio o imprenditore? Si propone all’elettorato un operaio che abbia svolto una coerente attività politica e sindacale, che abbia, negli anni, maturato un’idea forte circa i problemi della classe operaia. Si candida un imprenditore che rappresenti legittimamente gli interessi imprenditoriali nel quadro dell’interesse generale del paese. Si candida un giovane se questi ha da proporre un progetto per superare la tragica condizione del precariato giovanile. Non perché è privo di rughe, bello o simpatico. Lo stesso vale per i professori, per i ricercatori, per i magistrati, e per chiunque rappresenti la cosiddetta società civile. In caso contrario quelle scelte che si definiscono simboliche sono, in realtà, offensive per tutti gli altri componenti delle varie categorie: perché quell’operaio e non un altro, perché quel giovane e non un altro?
D’Amato, non altri, bisogna sottolinearlo, ha saputo dimostrare cosa debba intendersi per società civile: ricevuta la proposta, ha letto il programma, lo ha vagliato e valutato, ha maturato consapevolmente e responsabilmente la propria scelta. Ed ancora, in un momento nel quale quasi tutti professano l’antipolitica senza saper resistere per un solo istante al canto della politica, D’Amato ci ha dato una buona risposta: ha detto no.
Per inseguire la politica dell’immagine i partiti rischiano, purtroppo, di fare del Parlamento italiano una sorta di ciò che fu rimproverato a Bettino Craxi allorché formò ormai tanti anni fa, un’assemblea, come si disse, di nani, cantanti e ballerine. E fu uno degli errori che oscurò tante altre iniziative importanti e intelligenti.
Ma ormai è andata così. Fra qualche giorno, un mese prima delle elezioni sapremo, sondaggi alla mano, come sarà composto, per il novanta per cento, il nostro Parlamento. Si votano i partiti, le coalizioni, non più gli uomini e le donne che dovrebbero rappresentarci.
Per ovviare, sia pure parzialmente, a questa drastica sospensione della democrazia italiana, che si esercita ormai soltanto nei consigli comunali, provinciali e regionali, i gruppi dirigenti dei partiti, se ancora sono tali, potrebbero tentare di rispondere, almeno, con fatti concreti alla questione posta da Antonio D’Amato, a destra come a sinistra. Potrebbero dirci, ad esempio, quali infrastrutture fondamentali (porti, autostrade, aeroporti, etc) intendono costruire nel Sud indicandoci anche, naturalmente, le risorse disponibili. Potrebbero indicare pure quale legislazione immaginano di promuovere per affiancare il lavoro serio e durissimo che pochi magistrati e le forze dell’ordine stanno conducendo con notevole successo contro la malavita organizzata. Potrebbero spiegarci in cosa consiste il federalismo fiscale che da più parti si invoca, ivi compreso il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano. C’è un federalismo che può compensare gli squilibri del paese promuovendo le ricchezze locali, ce ne è un altro che può distruggere il paese, lacerarlo, offenderlo in molte delle sue parti vitali.
Il Mezzogiorno, ad esempio, ha evidente necessità di agevolazioni fiscali o, come si dice, di fiscalità di vantaggio. Ma una tale politica confligge con le direttive generali dell’Europa. Solo un governo autorevole e veramente meridionalista può convincere la Ue ad adottare un provvedimento che altrimenti suonerebbe soltanto come una forma di promozione di concorrenza sleale. Quale partito avrà la forza e l’autorità per esprimere un tale governo? Quale politica industriale vorrà promuovere il nuovo governo nazionale per affiancare gli sforzi che anche nella nostra regione sono stati compiuti ma che, da soli, non bastano perché non fanno sistema?
Il costo del denaro, più caro nel Sud arretrato che nel ricco Nord, basta da solo a rendere meno competitive le nostre aziende, più fragile il sistema industriale, meno vantaggiosi gli investimenti.
Cosa intendono fare ancora per l’immagine di Napoli, che è stata deteriorata e quasi distrutta, anche per motivi di lotta politica, ben oltre la drammaticità oggettiva della condizione?
Questi sono i punti che dovrebbero interessare ed orientare un elettore consapevole in una democrazia normale. Aspettiamo con fiducia, in questi giorni, che si dia risposta a queste domande, ma indicando progetti veri, autentici, possibili. Non solo slogan più o meno efficaci, più o meno accattivanti.
da “la Repubblica-Napoli” dell’11 marzo 2008