L’imprenditoria è fagocitata dalla camorra e la classe politica intimidita e resa ossequiosa.

L’Associazione “Altri sguardi” ha promosso un convegno (venerdì alle 17.30 presso l’Istituto Italiano per gli studi filosofici) dal titolo intrigante e, perché no, urtante: Impresa illegale e sviluppo economico del Meridione: le nuove sfide della camorra imprenditrice.

La questione è impostata, nella breve presentazione del convegno, in termini semplici e precisi:

“Da anni ormai la questione criminale del Meridione, al di là di rituali proclamazioni di principio, è fuori dalle priorità dell’agenda politica nazionale. Nella stessa società civile si fa strada il convincimento della possibilità di convivenza con organizzazioni delinquenziali che riescano ad agire senza atti di violenza esteriori, tali da turbare lo svolgimento dei quotidiani rapporti sociali. D’altra parte, anche l’affermazione, per lungo tempo diffusa, che la criminalità organizzata costituisca ostacolo allo sviluppo economico del Mezzogiorno, è oggi, probabilmente, da approfondire alla luce della sempre più accentuata vocazione imprenditoriale, e come tale produttiva di ricchezza, delle organizzazioni mafiose.”

Cosa dire di più se non che le ultime notizie di cronaca, proprio di questi giorni, ci informano che in Scozia, ad Aberden, è stata rinvenuta una sorta di cassaforte del racket casertano. Nella cronaca dell’avvenimento si legge che per le autorità anglosassoni si tratta soltanto di intraprendenti imprenditori italiani che hanno preso la cittadinanza scozzese.

La camorra, dunque, come già in Nord America la mafia di origine italiana, sta compiendo, forse ha già compiuto, un salto di qualità, riuscendo abilmente a nascondere i reati commessi sotto un velo di legalità che la pone al riparo da ogni intervento giudiziario, della magistratura come delle forze di polizia.

Il reato si intravede, si intuisce, ma l’attuale legislazione non consente d’intervenire.

La classe politica nel suo insieme, e quella di governo in particolare, dovrebbe con urgenza prendere atto della situazione e stabilire i provvedimenti opportuni per contrastare il gravissimo fenomeno se non avesse il cervello (Dio lo riposi!) in tutt’altre faccende affaccendato.

Ma, forse, ancor più pericolosa è la mentalità che va diffondendosi (e anche di questo discuteranno Francesco Barbagallo, Giuseppe Borrelli, Ugo Marani e Riccardo Giustino, uno storico, un magistrato, un economista, un imprenditore) secondo la quale la mafia e la camorra sono soggetti economici i quali non solo non ostacolano lo sviluppo del Mezzogiorno ma, addirittura, lo promuovono in assenza di congrui interventi da parte dello Stato e degli imprenditori privati. E riappare anche l’antica tentazione di considerare l’opera della malavita organizzata quasi come un fattore d’ordine nella società meridionale e non solo meridionale.

Le grandi organizzazioni malavitose che terrebbero a bada la piccola delinquenza diffusa perché nuocerebbe al libero svolgimento dei loro affari. Cosa importa se l’imprenditoria è fagocitata dalla camorra e la classe politica intimidita e resa ossequiosa. L’importante è che, come si favoleggia accada in alcuni quartieri di Palermo, lo spacciatore  sotto casa venga eliminato e reso innocuo.

E’ una percezione triste, malinconica, alla fine drammatica, della nostra vita associata. E oltretutto miope e superficiale. Non solo eticamente indignitosa ma politicamente insulsa. Vorrei ricordare, se non altro, a tanti liberali dell’ultim’ora, che l’evidente “turbativa del mercato” costituita dall’impresa camorristica, per un liberale autentico, dovrebbe suonare come la campana a morto della stessa società, di ogni sia pure sgangherata democrazia liberale.

Ernesto Paolozzi

Da “La Repubblica” del 24 gennaio 2003                                                                                                                                               Repubblica archivio