La lezione di Luigi Giusso: senza reciproca fiducia non si concludono buoni affari
Ho appreso con ritardo, costernazione e grande dolore, della prematura scomparsa dell’economista napoletano Luigi Giusso del Galdo. Uno dei suoi ultimi scritti, dall’emblematico titolo “Morale, politica ed economia”, infatti, viene pubblicato postumo dall’importante rivista “Libro aperto”. Saggio che non posiamo ignorare in questa rubrica e che sottolinea l’urgenza di riconsiderare il tema del rapporto fra etica ed economia al di là di quella che potrebbe sembrare, tutto sommato, una questione ovvia.
Ma innanzitutto mi preme ricordare l’importanza di Luigi Giusso, professore alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, da sempre coraggiosamente e disinteressatamente impegnato politicamente, con il partito liberale e con il partito radicale; che fu Sindaco di Catania e, per anni, rappresentante di una lista civica nel Consiglio Comunale di quella città. Uomo dal tratto sempre gentile e tollerante ma altresì deciso nel difendere i propri principii e i propri ideali, Giusso fu fra i pochi tecnici capaci di allargare sempre il proprio orizzonte, di non chiudersi mai nello specialismo, di esplorare, con competenza e originalità, gli studi di storia, di letteratura e di filosofia. Tutto ciò risalta dalla lettura del breve saggio che abbiamo ricordato. Lo studioso pone la questione, da poco venuta alla ribalta, del contrasto fra, come li definisce, liberali-liberisti e relazionisti circa la necessità, per l’economia, di difendere l’individuo oppure di privilegiare il rapporto fra individui. Cita Machiavelli, Mandeville e perfino Karl Marx ricordando come già il pensatore tedesco, prefigurando l’espansione mondiale del capitalismo, affermava che nemmeno la Muraglia cinese può resiste ai “tenui prezzi della borghesia”. Giusso si sofferma dunque sulla “morale mercantile” di smithiana memoria e sul concetto di carità, centrale nel Cristianesimo per poi chiudere con Croce teorizzatore dell’iniscindibile, dialettico, rapporto fra il bene individuale e il bene universale.
Luigi Giusso, ed è questo il punto da focalizzare, tende ad accogliere la tesi che anche in economia può essere utile, come si dice oggi, il concetto della reciproca fiducia, senza la quale, come appunto già Adam Smith proponeva, non è realmente possibile nemmeno concludere buoni affari. Ma, da buon studioso di Croce, tiene a distinguere questo ragionamento dall’altro che rende la moralità totalmente autonoma dall’economia, per cui il bene universale è sempre distinto dall’utile individuale. E se rapporto c’è fra l’uno e l’altro, questo non significa che l’economista possa invocare la socievolezza e l’eticità unicamente per garantire l’utile economico né che l’uomo etico debba condannare a-priori qualunque atto volto a ricercare l’utilità, il vantaggio personale, soltanto perché tale. La ricerca dell’utile è condannabile unicamente e solamente se minaccia la sfera della moralità. DI per sé è un atto positivo e, in quanto tale, morale.
In questi ultimi anni, fra tanti progressi, bisogna però ammettere che, nell’ambito degli studi filosofici, qualche passo indietro si è fatto, per cui è sempre più raro incontrare chi sappia tenere ferme queste distinzioni e tenersi equidistante fra un ottuso moralismo e un rozzo economicismo. Per questo dobbiamo essere grati a Luigi Giusso che, fino agli ultimi giorni della sua vita ha cercato di tener viva la civiltà, vorrei dire, dei nostri studi, sicuro come era che, prima o poi, ci si potesse nuovamente incamminare sulla strada del progresso.
Ernesto Paolozzi
Da “Corriere economia” del 13 novembre 2000