Una rivoluzione riformatrice si compie solo sul terreno della generosità e della tolleranza
Nicolino è il personaggio di una commedia di Gaetano Di Maio interpretato magistralmente da Carlo Taranto con la Compagnia di Luisa Conte. Nicolino è ambiguo, certe volte un po’ tonto, qualche volta originalmente arguto. Spesso è affacciato ad un davanzale di una finestra sul quale sbriciola un pezzo di pane. Cosa mai fa? È inevitabile che qualcuno lo chieda. Nicolino, in effetti, sbriciola il pane in favore di formiche che marciano sulla finestra ma, all’ improvviso, si ferma e comincia a soffiare sulle sfortunate facendole precipitare. “Gioco a fare Dio – confessa per spiegare il suo atteggiamento – dispenso il bene e il male”. Quella delle formiche di Di Maio è, ad ascoltarne la voce, sostanzialmente la condizione dei napoletani alle prese con il nuovo corso, di sapore narcisistico, dell’ amministrazione comunale di Napoli, che sembra giocare a fare Dio aprendo e chiudendo strade all’ impazzata. E null’ altro, sembra di capire dai lamenti diffusi della cittadinanza.
O, meglio, qualcosa fa: proclami, proteste, prediche.
Come l’ ultima trovata, che è stata quella di portare a Roma la giunta, con assessori tirati a lucido, il vestito della domenica e la fascia tricolore del sindaco: per protestare contro il governo che affama Napoli. Seduti attorno ad un bancariello in mezzo alla piazza per combattere i poteri forti e chiedere soldi al governo espressione della finanza internazionale. Un altro riferimento letterario è inevitabile. Il grande Ennio Flaiano, sottile conoscitore del carattere degli italiani, definitivamente constatò: «Gli italiani vogliono fare la rivoluzione scortati dai carabinieri». È così. C’ è poco da fare. Un’ amara delusione per chi aveva sperato in una rivoluzione riformista e riformatrice per la nostra città.
Intanto Nicolino qualche mollica di pane la elargiva, sembrano pensare delusi i cittadini, mentre le formiche napoletane dal loro Dio ascoso non attendono altro che qualche disgrazia: a noi non tocca un Dio che atterra e suscita ma che atterra solo. Cresce l’ indifferenza, cresce lo scontento, si assottiglia il gruppo dei fanatici sostenitori dell’ amministrazione e, al tempo stesso, si inasprisce. Proprio perché si assottiglia. Specularmente si incattiviscono gli oppositori e serpeggia un odio che sconfina nella nevrosi, come accadde nei confronti del Berlusconi imperiale degli ultimi giorni della disgraziata L’ Aquila, estremo set del narcisismo made in Arcore.
È possibile tornare ad una civiltà del confronto?
Lo auspicano in molti, ma ci credono poco. Ci crediamo poco perché in Italia, come a Napoli, trionfa la categoria del narcisismo politico, pericolosissima, auspice la rivoluzione telematica. La casalinga e l’ avvocaticchio, dai curricula sostanziati esclusivamente dal disprezzo per i politici, che decidono una bella mattina di poter governare la città, l’ Italia, l’ Europa e perché no, il mondo. È questo uno dei sentimenti forti che agitano la cosiddetta antipolitica. Sentimento mascherato da protesta, da nuova ed alternativa visione del mondo, da sete di giustizia, sociale ma soprattutto legale. Meglio quella legale, infatti, perché quella sociale importa un tasso di generosità che il legalismo non prevede.
Il narcisista non è mai generoso.
Venti anni fa si volle mascherare l’ ingenerosità della Lega Nord con politologiche escogitazioni federaliste. Si è visto come è andata a finire. Molti segnali indicano che qualcosa del genere avverrà con la cosiddetta antipolitica, ingenerosa, cattiva pronta a impossessarsi di qualche spicchio di potere da esercitare con assoluto arbitrio. Ma politologi e politici opportunisti provvederanno a escogitare formule assolutorie. Lo dicemmo venti anni fa, proviamo a ribadirlo oggi: una rivoluzione riformatrice si compie solo sul terreno della generosità e della tolleranza. Altrimenti è la guerra di tutti contro tutti, fanatici liberisti e fanatici benecomunisti e, alla fine, non possono che vincere i poteri forti.
Ernesto Paolozzi
da “la Repubblica-Napoli” del 02 novembre 2012 Repubblica archivio