La scommessa europea secondo Jean Monnet.

Cittadino d’Europa, di Jean Monnet, con Prefazione di Giorgio Napolitano, Alfredo Guida editore, Napoli, 2007, pp.475, eu.32,00

“Ritengo molto meritoria la pubblicazione e la distribuzione delle memorie di Jean Monnet, pubblicate in italiano con il titolo Cittadino d’Europa, che rileggo sempre con interesse e ammirazione come una testimonianza straordinaria su cosa il nostro Continente è stato e su cosa potrà essere se non verrà smarrito il ricordo dell’insegnamento e dell’opera paziente di Monnet”.

Così Giorgio Napolitano nella Prefazione alla bella e appassionante autobiografia politica di Monnet.

Il grande europeista non fu mai uomo di governo né assunse ruoli politici in senso stretto di particolare rilevanza. Eppure con la sua passione mista a sagacia e prudenza, con la sua lungimiranza e con la sua intelligenza, riuscì a porre la pietra più importante sulla quale è stata edificata quell’Europa unita che oggi è pienamente presente, nelle coscienze di tanti.

Si dice oggi che l’Europa è un ideale freddo. Monnet ne era in parte consapevole e, a leggere le sue memorie, si comprende quante e di qual natura fossero le difficoltà ma, proprio per questo, egli fu attento a mettere in relazione uomini e cose, preoccupandosi perfino del linguaggio da utilizzare perché il suo progetto non fallisse.

Un’unione di popoli, diceva, e non di Stati. “Conferenza” e non “negoziato”, perché questo secondo termine avrebbe potuto dare il senso di un rapporto particolaristico di interessi fra Stati nazionali mentre era necessario creare un’anima comune europea.

Per certi aspetti è inspiegabile pensare che l’Europa non appassioni e accenda gli animi come dovrebbe. Ai tempi di Jaen Monnet il Continente guida usciva dalla seconda guerra mondiale dilaniato e distrutto come non mai, non solo militarmente ma umanamente, se si pensa all’urto che aveva dovuto sostenere con il nazismo e la cultura irrazionalistica dell’epoca.

Costruire, allora come oggi, un grande Stato moderno, fondato su basi democratiche, nel quale la libertà, la giustizia e la tolleranza siano i cardini fondamentali; uno Stato capace di regolare in senso positivo l’equità e lo sviluppo in un serrato confronto con gli opposti radicalismi del capitalismo aggressivo e dei totalitarismi statolatri, è un’impresa gigantesca che dovrebbe mobilitare l’opinione pubblica e appassionare ogni individuo che si senta libero e protagonista di se stesso.

In fondo questo processo si è avviato e, come già premoniva Monnet, fra alti e bassi procede nella sua realizzazione. Non si possono sottovalutare fenomeni localistici di ritorno; l’orgoglio delle identità culturali e regionali; lo scontento creato dall’euro che, pure, è la moneta che sta salvando la nostra economia; gli egoismi delle classi dirigenti nazionali che si sentono minacciate e indebolite; il provincialismo culturale di chi non se la sente di confrontarsi in un orizzonte più ampio e incerto. E non vanno sottovalutate le minacce esterne di chi vede nell’Europa un concorrente temibile.

Eppure il processo va avanti e presto la Comunità Europea, come la prefigurò Monnet, si doterà di una Carta costituzionale che sarà garanzia per i più di quattrocento milioni di cittadini che la sottoscriveranno.

E’ dunque strano che un progetto così grande non susciti entusiasmo. Forse perché in questo nostro tempo povero solo stupidità e cattiveria riescono a muovere ancora passioni.

Eppure si avverte che, silenziosamente, la maggioranza dei cittadini, già si sente europea. E’ doveroso dunque abbandonare ogni scetticismo. Ricorda Monnet nelle sue memorie:

“Molti mi obiettavano che non avremmo vinto la scommessa. Ma io non ho mai fatto i calcoli in termine di scommessa. Quando si è decisi sullo scopo che si vuole raggiungere, bisogna agire senza fare ipotesi sui rischi di non riuscire. Se non la si è almeno tentata, non si può dire che una cosa è impossibile.”

Ernesto Paolozzi

“la Repubblica” del 12 maggio 2007                                                                                                                                                       Repubblica archivio