Verso un popolo di disoccupati ed anche analfabeti

da “la Repubblica – Napoli” del 4 aprile 2009

Qualche giorno fa, da “la Repubblica”, avevamo segnalato come sulla scuola si stesse per abbattere un vero e proprio ciclone.
Abbiamo avuto modo di constatare che il tema ha suscitato molta preoccupazione, nonostante i tentativi di ridurlo a questione di scarsa rilevanza: meglio discutere, insomma, di stupri, rom, pedofili e tutto ciò che terrorizza irrazionalmente gli italiani ed evitare di parlare di ciò che pure li terrorizza, ma razionalmente.


Ma veniamo ai fatti. Il governo annuncia tagli di circa trentasettemila docenti. Si conta che quattro su dieci si localizzano nel Mezzogiorno d’Italia. In Campania sono più di cinquemilaseicento. Vogliamo ripetere: cinquemilaseicento. Dovrebbero essere eliminati, anche, duecentoquarantacinque presidi. Ma, poiché nel tragico c’è sempre il comico, al Nord, per effetto dei pensionamenti, dovranno essere assunti un centinaio di dirigenti scolastici (presidi), i quali provengono tutti dal Sud: sono, insomma, terroni sgraditi alla Lega che, vibratamente, sta protestando. D’altro canto, chi è, al Nord, che sceglie la povertà dell’insegnamento rispetto all’arricchimento di tante altre, lecite o illecite, imprese?


Fra i motivi che hanno condotto ai tagli ce ne è uno sul quale vale proprio la pena riflettere. Ed è questo: nella scuola media, vengono eliminate alcune ore di Lettere (italiano e geografia) e di Educazione tecnica, e, dunque, di informatica.
Sinceramente, a me sembra un vero e proprio delirio di stupidità.
Anche l’Università non naviga in acque migliori. Pare addirittura che molti Atenei rischino la chiusura.
Mi ha fatto molto piacere leggere che, accanto alle dure e reiterate proteste del Partito democratico e dei sindacati, una quota rilevante di parlamentari del centrodestra campano, fra i quali Tagliatatela, Laboccetta e Papa, ha deciso di protestare anch’essa presso il Ministro per cercare di arginare la frana del sistema universitario campano.
Io spero ci sia ancora tempo (anche se i tagli sono previsti dalla Finanziaria) per poter intervenire prima che sia troppo tardi e spero ancora, come ho già auspicato che, accanto agli addetti ai lavori, si schierino le famiglie degli studenti. Che tutti comprendano a cosa va incontro il paese, che ha già il grave problema della disoccupazione giovanile e della disoccupazione intellettuale giovanile, al quale si affiancherebbe quello di una sorta di analfabetizzazione di ritorno.


A meno che non si voglia ridurre la disoccupazione intellettuale (che, per certi aspetti, è ancora più pericolosa sul piano politico) eliminando la questione alla radice. A meno che non si voglia spingere i giovani verso una condizione di minorità, per impedire loro di partecipare attivamente a qualunque processo politico. In poche parole, preparare una società che, sempre più, si intimorisca dei rom, dei pedofili, degli stupri e che riesca sempre meno a pensare a questioni gravi, strutturali e, soprattutto, reali.


Si dirà: “Tutto questo per qualche ora in meno di italiano e di informatica?”. Certo, fosse solo questo, sarebbe un danno ma non costituirebbe una tragedia. Diventa tale perché queste ferite vengono inferte su un corpo già indebolito, già malato gravemente da anni. In una condizione storica nella quale, al contrario, l’istruzione e la cultura sembrano rappresentare una delle poche vie d’uscita da una crisi che rischia di essere strutturale perché, anche quando si calmerà la tempesta in cui ci stiamo dibattendo, il sistema capitalistico sarà stato intaccato alle fondamenta. Perché, ancora, nel nostro mondo occidentale è la stessa democrazia, la democrazia liberale, ad aver bisogno di nuova linfa, di nuovi cittadini coscienti di fronte all’insorgere di sentimenti irrazionali, di fronte all’acuirsi delle lotte di religione o di civiltà, di fronte al palesarsi sempre più evidente di una crisi di sistema.


L’Università e la scuola, probabilmente, non sono i luoghi dove si forma la grande cultura; non sono i luoghi dove meglio si esercita la creatività individuale. Anzi, spesso, rappresentano giganteschi apparati burocratici e conformisti nei quali gli animi ribelli ed originali soffrono. E’ storia antica e sempre sarà così. Ma l’istruzione pubblica, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti, è la fonte principale di quella civiltà comune che garantisce la convivenza, di quella formazione professionale indispensabile in una società avanzata e progredita.

 

*da “la Repubblica – Napoli” del 4 aprile 2009

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