Ciampi e Mazzini.

Nel suo discorso augurale agli italiani il Presidente Ciampi, quasi a sorpresa, ha indicato il 2005 come l’anno mazziniano, ricorrendo il bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini.

I primi a ricordare l’evento sono i repubblicani democratici di Napoli, con un convegno al quale parteciperà il maggior interprete del pensiero mazziniano, Salvo Mastellone ed uno dei più giovani, autorevoli studiosi, lo storico Balzani.

Non nascondiamocelo. Quando si tratta di discutere di Cavour, Garibaldi e Mazzini, si avverte sempre il rischio della retorica, perché per troppi anni l’immaginario collettivo ha presentato questi tre grandi personaggi come icone di un mondo da rispettare, forse, ma da guardare da lontano, circonfuso com’è da retorica proveniente da tutti i fronti politici. E se per Cavour si sviluppava, negli italiani propensi all’elogio della furbizia, un certo sentimento di compiacimento per l’astuto tessitore della politica risorgimentale; se per Garibaldi, in qualche modo, si risvegliava un sentimento di ammirazione per il romantico eroe, quasi un Che Guevara dell’Ottocento, per Mazzini, invece, si è chiaramente avvertito un senso di distacco, quasi come se il suo messaggio politico fosse una predica, una predica veramente inutile come quelle a cui alludeva, per se stesso, Luigi Einaudi.

E, invece, ha ragione Ciampi. L’attualità di Mazzini è viva quanto è ancora viva quella degli altri due personaggi e, per qualche tratto, addirittura attualissima, se si riesce a superare la distanza dello stile, del linguaggio che paga il prezzo del tempo.

Benedetto Croce che, com’ è noto, in politica fu un realista, e in ciò machiavelliano e marxista, e vide in Cavour e Giolitti l’incarnazione liberale del machiavellismo e del realismo politico, quando si trattò di affrontare il tema di Mazzini, pur fra le evidenti differenze, segnò proprio nel pensiero utopico del rivoluzionario genovese il punto fondamentale della sua importanza.

Non deve sorprendere tutto ciò perché non è possibile tenere veramente distinti il realismo dall’idealismo.

Croce chiarisce bene che il realismo politico, ossia la concreta azione, può esercitarsi solo se c’è chi abbia preparato il terreno perché quell’azione possa esercitarsi, solo se c’è chi abbia indicato l’orizzonte entro cui l’azione deve compiersi. E questo fu il compito che si assunse Giuseppe Mazzini che in parte è diventato realtà e, per altri spetti, deve ancora realizzarsi. E’ qui la sua forza, qui la sua contemporaneità.

E’ l’ Italia repubblicana, che Mazzini vagheggiava negli anni del trionfo del monarchico Cavour. E l’Europa che si va costruendo è quell’Europa democratica e liberale che, ancora Mazzini, disegnava e proponeva con sorprendente lungimiranza.

Ma, fin qui è storia. Ciò che oggi mi sembra ancora più urgente è la concezione democratica che ebbe Mazzini. La crisi che noi viviamo, infatti, è proprio quella della rappresentanza democratica in un mondo nel quale il dominio dello sviluppo economico è tale da mettere in crisi tutte le istituzioni politiche. La risposta comunista al capitalismo è ormai consegnata alla storia. Quelle del socialismo e del liberalismo classico sembrano non del tutto sufficienti. Sembra chiaro dunque che, nel momento in cui si cerca di ripensare un nuovo ordine per le istituzioni italiane, europee e mondiali, ritorni centrale il tema del rapporto fra democrazia e liberalismo, per evitare che la prima si esaurisca in un mero formalismo giuridico e il secondo si tramuti in una sorta di darwinismo sociale fondata sul puro egoismo.

Non credo che Ciampi abbia scelto a caso di ricordare Mazzini e i valori del Risorgimento di cui Mazzini è in gran parte l’emblema. Sono convinto che la preoccupazione del vecchio Presidente sia quella di indicare una strada di civiltà in un momento in cui è la stessa struttura morale del paese a vacillare pericolosamente.

Ernesto Paolozzi

Dal sito www.repubblicanidemocratici.it