CROCE E L’ESTETICA
Autonomia ed eteronomia dell’arte
Agli inizi del secolo, lo studio dell’estetica e il connesso esercizio della critica, soprattutto letteraria, conobbero, prevalentemente in Italia, ma in tutto il mondo, un momento di particolare intensità e vivacità. L’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, del 1902, in breve tempo portò Croce alla ribalta del pensiero europeo e, per più di mezzo secolo, egli fu il punto di riferimento fondamentale, per adesione o per polemica, di varie generazioni di studiosi.
Negli ultimi anni, soprattutto a partire dall’ultimo trentennio del Novecento, l’interesse per l’estetica è andato scemando e si è assistito ad una più generale crisi del pensiero autentico e ad una rapida e spesso effimera successione di “mode” filosofiche messe sovente in moto da un’industria culturale incapace, ad un certo momento, di controllare se stessa e il suo sviluppo.
Ciò ha provocato un declino della scienza estetica e della filosofia in generale, per cui la maggior parte dei problemi e delle questioni che furono affrontati e in gran parte risolti nella prima metà del Novecento si ripropongono oggi con prepotenza alla nostra attenzione.
E’ psicologicamente difficile credere che si sia tornati indietro. Siamo abituati a concepire la storia come un continuo, rettilineo progresso, e così pure la storia della filosofia. Ma né la storia, né la storia del pensiero, incarnano questo ingenuo ideale di origine illuministica, per cui ciò che viene dopo dovrebbe essere sempre meglio di ciò che l’ha preceduto. Idea che seduce e che, pure, non ha nessuna rispondenza con la realtà, se è vero come è vero che il dopo della vita è la morte, il progresso del nostro esistere conduce al nulla. Sul terreno della storia, il progresso, se c’è, è tortuoso e implica, di necessità, il suo contrario. A chi ha difficoltà psicologiche a ritenere che l’estetica reclamizzata da giornali, riviste, televisioni, possa costituire un regresso, si può arrecare il conforto, anche qui soltanto psicologico, dell’esperienza storica che ci ricorda i lunghi periodi, come quello seguito alla morte di Aristotele, di arretramento degli studi filosofici e scientifici. Chi oggi, e sono in tanti, conserva la memoria storica dei progressi raggiunti dal pensiero umano, somiglia a quei monaci medievali che, nella barbarie incalzante, salvarono la civiltà del mondo antico che si frantumava sotto il peso della pur necessaria, nuova e indisciplinata forza che pervadeva l’Europa.
Così, se si sfoglia il sommario di quel grande libro crociano del 1902 di cui si celebra ormai il centenario, si ha la sensazione che ogni paragrafo è stato scritto per rispondere ai tanti quesiti che negli ultimi anni hanno occupato la vita degli studiosi, travolti dalla nuova (forse anch’essa necessaria) barbarie che alla forza verde e cruda della scomposta violenza ha sostituito l’ottusità della tecnologia e l’astuzia del cinismo privo di valori.
Ai negatori della teoreticità dell’arte e, quindi, della filosoficità dell’estetica, Croce risponde che: “La conoscenza ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l’intelletto; conoscenza dell’individuale o conoscenza dell’universale; delle cose singole ovvero delle loro relazioni; e, insomma, o produttrice di immagini o produttrice di concetti” (1) La funzione teoretica dell’arte, nella distinzione dalla conoscenza storica che è il giudizio, dalla filosofia che è conoscenza dell’universale, ma dell’universale sempre concreto, e quindi giudizio essa stessa, e dalle scienze che incarnano il generale e l’astratto e sono perciò pratiche e non teoretiche, rappresenta la negazione delle varie teorie legate al sensismo e all’empirismo estetico, oggi di nuovo presenti, come delle teorie sensualistiche e decadentistiche, sempre affascinanti per quel tanto di misterioso che contengono.
Ancora, ai nuovi separatori del contenuto dalla forma, come a dire agli eccessivi materialisti da un lato e ai frigidi intellettualismi estetisti dall’altro, Croce risponde che: “Ogni vera intuizione o rappresentazione è, insieme, espressione. Ciò che non si oggettiva in un’espressione non è intuizione o rappresentazione, ma sensazione e naturalità. Lo spirito non intuisce se non facendo, formando, esprimendo. Chi separa intuizione ed espressione, non riesce più a congiungerle. L’attività intuitiva, tanto intuisce quanto esprime.” (2) La sintesi di intuizione ed espressione rappresenta, dunque, il momento fondamentale dell’estetica moderna, il punto d’arrivo del lungo processo speculativo che ha radici lontane ed ha una pietra miliare nel criticismo kantiano. Se l’arte è espressione, essa non può dividersi e sminuzzarsi, per così dire, in tante altre specie e sottospecie, se non da un punto di vista meramente pratico, di comodo, empirico. Eppure nel lungo periodo che ci separa dalla morte di Croce, è ricomparsa la tentazione di scomporre l’arte in varie arti e di moltiplicare a piacimento i generi; è ricomparsa la tendenza a giudicare l’opera d’arte (pur contraddittoriamente) rifiutando il giudizio estetico in favore di un descrittivismo fondato su tecniche ed esperimenti pratici, e su astratte poetiche. Ricerche talvolta utili ma sempre e soltanto, se propedeutiche, al giudizio estetico, che è l’unico e vero giudizio possibile, utile, concreto. In mancanza di ciò, si spiana la strada ai nuovi e sempre ritornanti pedanti, ai quali Croce anche oggi risponderebbe: “L’impossibilità di siffatte classificazioni ha come una riprova negli strani modi ai quali si è ricorso per eseguirle. Prima e più comune classificazione è quella in arti dell’udito, della vista e della fantasia; quasi che, orecchie e fantasia stiano sulla stessa linea e possano dedursi da una medesima variabile logica, fondamento della divisione. Altri hanno proposto l’ordinamento in arti dello spazio e del tempo, arti del riposo e del movimento: come se i concetti di spazio, tempo, riposo e movimento determinino speciali conformazioni estetiche e abbiano alcunché di comune con l’arte in quanto tale. Altri infine, si sono baloccati a dividerle in classiche e romantiche, o in orientali, dando valore di concetti specifici a semplici denominazioni di fatti storici, o cadendo in quelle pretese partizioni delle forme espressive già di sopra criticate; o ancora in arti che si vedono da un solo lato, come la pittura, e che si vedono da tutti i lati, come la scultura; e simili stravaganze, che non stanno né in cielo né in terra.” (3) Sia pure con linguaggio diverso, non c’è chi non scorga analogie con le tante bizzarrie prodotte in questi ultimi anni, sia pure rivestite da un sapiente linguaggio tecnicistico che conferisce loro l’aurea della cultura, della profondità, della sottigliezza. Ma estranee, come sono, al reale mondo dell’arte, sono rimaste chiuse nei libri e non hanno prodotto efficace critica, non sono state accolte dal mondo concreto dei lettori, del pubblico e degli artisti autentici.
Ma l’attualità dell’estetica di Croce non si esaurisce certo in queste poche considerazioni che abbiamo appuntato quasi a costituire un pro memoria a beneficio nostro e di quanti vogliano proseguire gli studi di estetica collegandosi alla grande tradizione della filosofia europea, certo per superarla ed innovarla, se è possibile e se ci si riesce, ma senza negarla o fraintenderla.
L’estetica di Croce rappresentò, dunque, uno dei massimi documenti filosofici della filosofia dopo la crisi del positivismo e del decadentismo, della mentalità scientifistica e dell’opposto atteggiamento irrazionalistico e neoromantico. L’esperienza marxista, anzi specificamente labriolana, e lo spiccato senso di concretezza che caratterizzò sempre l’atteggiamento speculativo di Croce, vaccinarono dunque il filosofo sia contro le ubriacature irrazionalistiche e decadentiste, sia contro le seduzioni dello scientifismo. L’Estetica la quale, se letta con attenzione, mostra di contenere in nuce profondi elementi di logica come di filosofia della pratica, l’intero sistema filosofico crociano in abbozzo insomma, possedeva gli strumenti teorici per superare le due unilaterali posizioni che si fronteggiavano negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento. Senza nulla voler concedere alle tentazioni della filosofia della storia e, meno che mai, utilizzare la quasi sempre fraintesa dottrina vichiana dei corsi e dei ricorsi storici, ma soltanto per mera comodità didattica, potremmo paragonare la posizione di Croce a quella assunta da Hegel fra le aride astrattezze del tardo Illuminismo e le passionali posizioni romantiche. Atteggiamento teorico e morale che tornerebbe utile ancor oggi che si combatte una battaglia, per la verità non aspra come allora, fra neoilluministi e neorazionalisti.
Non si tratta, dunque, di costruire improbabili paralleli o ispostatizzare epoche storiche o posizioni dello spirito, ma solo di riconoscere l’eternità, questa sì assoluta e ricorrente, della lotta fra errore e verità la quale, formando l’intima natura della vita stessa, non è sopprimibile se non nelle ingenue utopie che ognuno sogna nei momenti, anch’essi insopprimibili di scoraggiamento morale e politico, di crisi psicologica.
Se, per un attimo, si abbandona la lettura della fredda, perché teoreticamente rigorosa, prima Estetica, e ripercorrono saggi e scritti minori, si possono leggere pagine che rendono viva e contemporanea la lunga polemica condotta da Croce agli inizi del secolo. “Nessuno dirà, scrive nel saggio su Gabriele D’Annunzio del 1903, che il secolo decimonono sia stato un secolo di decadenza, o che sia stato periodo di decadenza quella fine di secolo, chiamata così per una frase senza significato, invenzione di boulevardiers parigini; ma molte cose sono decadute lungo esso e molte anime sono rimaste perciò come vuote di ogni contenuto. Nel campo del pensiero, le scienze naturali, travestendosi di filosofia, hanno distrutto il mondo chela religione e la filosofia idealistica presentavano come ‘cosmos’, come qualcosa di vivente, un dramma che noi stessi facciamo, e vi hanno sostituito una serie di morti e pesanti schemi classificatori, tanto morti e tanto pesanti da assumere solenne sembiante di determinismo. Nel campo della pratica, la borghesia industriale ha distrutto la fratellanza ideale dei popoli in un Dio o in un Cristo sostituendovi la gara delle cupidigie: e il socialismo, messosi alla scuola politica, si è accorto che non poteva far altro di meglio se non chiedere in prestito alla borghesia la sua filosofia materialistica e la sua lotta di classe, e vi è riuscito così bene che ora, cambiate le parti, esso passa per inventore di ciò che ha semplicemente trovato bello e fatto e alla cui potenza si è inchinato. E, continua Croce, l’aspirazione spirituale dell’uomo non ha saputo riaffermarsi se non falsificandosi nelle superstizioni pseudonaturalistiche o avvilendosi nell’ipocrisia del neomisticismo: patria e umanità sono diventate parole viete, la famiglia è apparsa una parentela fisiologica o un organismo di economia capitalistica. Un vento freddo di cinismo e di brutalità ha soffiato sul nostro mondo. E moltissimi che non erano bene armati a resistere alle forze distruttive, si sono lasciati depredare e spogliare l’anima di ogni bene; e, perduta la vita spontanea, hanno creduto di potersene foggiare una a loro arbitrio, artificiosamente, ricercando nel fondo del proprio essere una sorgente perenne di dilettazioni, vivendo in perpetuo equilibrio e in perpetua curiosità, indifferenti ai tumulti e alle contingenze degli altri uomini, che essi stimavano volgari” (4).
Nel corso della sua lunga vita, Croce non tralasciò mai, neanche nei momenti di maggior impegno politico e nei difficili anni della dittatura fascista, gli studi di estetica e il concreto esercizio della critica letteraria. La sua estetica si sviluppa e si arricchisce di sempre nuovi chiarimenti teorici. Dal Breviario di estetica all’Aesthetica in nuce per non citare che i saggi più noti ed importanti. Così, sul piano della critica letteraria, il Croce maturo misurò il suo gusto ed affinò gli strumenti teorici nell’incontro con i grandi poeti italiani e stranieri, da Dante a Shakespeare, da Ariosto a Corbeille a Goethe.
L’approfondimento del concetto di intuizione, definita via via, con una aggettivazione a nostro avviso poco felice,pura, lirica, cosmica, segna certamente il momento fondamentale del pensiero estetico crociano, ma a leggere con attenzione le tante pagine scritte dal filosofo, si trovano spunti, suggestioni, risoluzioni di singoli problemi di una ricchezza tale che richiederebbero, per discuterli tutti, interi volumi. Ma, dovendo andare al cuore delle questioni sollevate da Croce, urge compiere un salto e una semplificazione interpretativa per soffermarsi sull’ultimo grande volume di estetica scritto dal filosofo napoletano, La poesia, del 1936.
Si può dire che, essenzialmente, La poesia di Croce nasca per soddisfare le esigenze di quanti ricercavano una collocazione per quelle tante opere che, pur non essendo vera poesia, vera arte, non potevano essere catalogate semplicemente come non poesia.
Naturalmente, non si può parlare di un’estetica della letteratura come se la letteratura o l’esperienza letteraria in genere si possano veramente distinguere, logicamente, dalle altre arti. Una simile affermazione sarebbe completamente contraria allo spirito dell’estetica di Croce. Stravolgerebbe il pensiero del filosofo.
Secondo Croce, infatti, l’estetica si occupa sempre e soltanto di tutte le forme di arte. L’essenza dell’arte, l’espressione artistica, è sempre la stessa anche se si concretizza in varie forme, in varie arti, in singole opere. Allo stesso modo del metodo della matematica che è sempre il medesimo, lo si applichi ad operazioni semplici o ad operazioni complesse.
L’estetica di Croce non vuole dettare regole, non pretende di essere normativa, come furono le poetiche del Cinquecento e del Seicento. Non intende dar consigli agli artisti o ai letterati, ma è tesa alla comprensione della natura dell’arte, di ciò che distingue l’attività artistica dalle altre attività umane.
Questi principii fondamentali vengono confermati anche ne La poesia , e sono proprio essi a segnare la continuità del pensiero di Croce. Ribadito, infatti, che il nuovo studio sulle caratteristiche specifiche della poesia e della letteratura non inficia la teoria generale dell’arte, l’estetica filosofica, Croce precisa: ” Ma, se per ciascuna delle singole arti ( e qui si può accettare per comodo di discorso il raggruppamento nelle cinque principali e tradizionali) i problemi e i concetti estetici sono i medesimi, nell’una o nell’altra essi si presentano sovente sotto forme e con parole che non ne lasciano riconoscere alla prima la medesimezza, o con un’estensione, un’importanza e un’urgenza più grandi in alcune, che non in altre” (5).
La dilucidazione dei vari problemi che sorgono dall’esperienza concreta delle singole arti serve, pertanto, non solo a chiarire a lettori, critici e artisti i termini delle tante questioni che sorgono e che, ad una prima esperienza sembrano essere legati indissolubilmente ad una singola arte se non ad un particolare genere, ma anche a dilucidare i problemi generali, i quali si chiariscono meglio proprio in rapporto alla particolarità e alla concretezza dei vari problemi specifici. “Quel che se n’è detto, scrive Croce nell’ultima pagina del libro, basta a illustrare l’opportunità di comporre libri teorici sulle singole arti, non perché in ciascuna siano da ragionare particolari concetti estetici, ma al contrario, per far valere in ciascuna i concetti medesimi dell’Estetica” (6).
Le riflessioni più originali appaiono nel paragrafo specificamente dedicato all’espressione letteraria, alla letteratura. Si opera una specificazione e una distinzione che sembra dare, anzi senz’altro conferisce, una nuova dignità alla cosiddetta letteratura.
Se la letteratura non è arte, essa ha la sua storia antica, la sua funzione nello spirito umano e nella storia dell’uomo. “L’espressione letteraria, dice ancora Croce, nasce da un particolare atto di economia spirituale, che si configura in una particolare disposizione e situazione. Bisogna considerare che i momenti spirituali, le forme dello spirito, indivisibili come sono nella concretezza del fatto, si specificano nei singoli individui, non per un’astratta divisione ma per una sorta di maggiore energia o prevalenza e per abito e virtù conforme; donde il dirimersi dell’unico uomo in uomo d’azione, uomo di contemplazione, poeta e filosofo e naturalista e matematico, politico e apostolo, e così via per le più particolari specificazioni che non giova enumerare né esemplificare. Il che è necessario per l’opera ed è perciò permesso e voluto dall’unico uomo, dall’umanità, ma vigilando che la specificazione non si perverta in separazione e reciproca indifferenza che sarebbe disgregamento dello spirito e della stessa specificazione, e gli specialisti non diventino ‘dimidiati viri’, non più uomini interi” (7).
Se, dunque, nell’uomo intero, nell’uomo non demotivato che agisce nella storia e perla storia non è possibile ipotizzare separazioni nette, anche la letteratura deve svolgere un suo ruolo ed avere un suo significato, anche se non è possibile porla accanto all’arte e alla filosofia, fra le forme categoriali (assieme all’etica e all’economia) fondamentali, attraverso le quali si esplica la vita umana.
Qual è, quindi, la funzione propria della letteratura? In che senso essa non è più, come Croce aveva sostenuto in passato, soltanto un negativo, rispetto alla poesia, che rappresenta il positivo? Croce è molto chiaro ed esplicito in proposito. Così scrive infatti: “Ora l’espressione letteraria è una delle parti della civiltà e dell’educazione, simile alla cortesia e al galateo, e consiste nell’attuata armonia tra l’espressioni non poetiche, cioè passionali, prosastiche e oratorie o eccitanti, e quelle poetiche, in modo che le prime, nel loro corso, pur senza rinnegare sé stesse, non offendano la coscienza poetica ed artistica. E perciò, se la poesia è la lingua materna del genere umano, la letteratura è la sua istitutrice nella civiltà o almeno una delle sue istitutrici a tal fine deputate. In tempi ruvidi ed agresti pur si leva il canto della poesia, ed anzi c’è chi, esagerando, ha voluto che la poesia non abbia altra propizia condizione sociale che la barbarie; ma non vi fiorisce la letteratura perché, se vi fiorisse, quelli avrebbero insieme con essa raggiunto l’opposta condizione di civili.”
“L’equilibrio, continua Croce, dei due ordini di espressione si ottiene non col sacrificare l’uno all’altro, in quell’asservimento di cui anche qui è esclusa l’idea, ma col tener conto di tutti e due e col loro contemperamento nella nuova forma di espressione che è pratica o concettuale o sentimentale in un suo momento, e poetica nell’altro” (8).
Con questa ultima grande fatica Croce, che sul piano storiografico dava alla luce di lì a poco, nel 1938, una nuova e raffinata teoria dell’interpretazione, La storia come pensiero e come azione,riformulando la teoria del giudizio in rapporto alle esigenze della prassi e a quelle del pensiero, riproponeva il suo pensiero estetico e, assieme, una visione nuova e moderna del problema estetico, mostrando una vitalità speculativa veramente sorprendente che si sarebbe mostrata in tutta la sua forma e vigore fin negli ultimi giorni della sua lunga vita, allorché sarebbe tornato sui grandi temi della dialettica e della filosofia della pratica. E, nella filosofia dell’arte ancora, col discutere della funzione del sentimento il quale è assieme conoscenza quando si forma in rappresentazione estetica, ma anche elemento fondamentale della dialettica della vita la quale è inizialmente sempre un atto di accoglimento o di rifiuto della cosiddetta realtà circostante. Quella dialettica delle passioni che indusse Alfredo Parente a parlare di una nuova scoperta dell’estetica crociana.
La filosofia dell’arte di Croce, a distanza di un secolo dalla sua prima, chiara, formulazione teoretica, si mostra dunque attualissima, ed è un punto di riferimento imprescindibile come lo sono tutti i classici (9). Rappresenta, a nostro avviso, come tutta la filosofia crociana, l’eredità più viva del pensiero kantiano, al quale ci sembra di poter riferire il pensiero crociano ancor più di quanto solitamente non si usi fare giacché, troppo spesso, lo si riferisce al solo pensiero hegeliano dimenticando peraltro la diretta discendenza con Vico e De Sanctis. L’estetica è il momento attraverso il quale si congiungono l’idealismo e il realismo crociani, giacché è ormai chiaro che il filosofo abruzzese non si può e non si deve considerare, come pigramente è stato sin’ora fatto a livello manualistico, un mero idealista. L’estetica svolge anche in Croce, come in Kant, il ruolo di congiungimento del pensiero con l’individua realtà di cui è costituito il mondo; una realtà, naturalmente, che non può essere pensata né intuita nel senso della naturalità empiristica e neanche ipostatizzata come una realtà che sta al di là della realtà. Potremmo dire, volendo azzardare una formulazione sintetica, che Croce adegui il kantismo superando ogni residuo realistico ma, al tempo stesso, evitando ogni forma di “idealismo delirante”, per usare una fin troppo nota espressione di Kant. Si congiungono in Croce la esigenza kantiana della prima e della terza Critica, e proprio in quest’ultima, la Critica del giudizio, nel giudizio di gusto come giudizio disinteressato si rinviene l’altra fondamentale determinazione crociana: quella dell’autonomia dell’arte. Autonomia in quanto forma della conoscenza, e della conoscenza individuale che inizialmente getta le basi per l’attività teoretica nel suo complesso. Nel che, è fin troppo facile notare, gli echi vichiani, come quelli kantiani, sono forti ed evidenti.
Letta in questa chiave, la classica modernità dell’estetica di Croce risulta in tutta la sua grandezza. Ovviamente,e giacché desanctisianamente, ci si deve augurare che la filosofia dell’arte di Croce sia lasciata in eredità ad uomini vivi, disposti ad interpretarla, continuarla e, in ciò stesso, superarla, non si può non rilevare l’esistenza di luoghi teorici che vanno discussi o ridiscussi con rinnovata passione filosofica. Pensiamo, ad esempio, alla grande tematica dell’interpretazione la quale, partendo da questioni che riguardano essenzialmente l’ermeneutica artistica e la critica (la rievocazione dell’opera d’arte, la possibilità delle traduzioni, etc.) investono l’intero orizzonte della filosofia e consentono di dialogare con tradizioni culturali diverse, come tutte quelle filosofie del giudizio o filosofie dell’ermeneutica che negli ultimi anni del nostro secolo hanno segnato, forse uniche, una certa originalità di pensiero nel generale grigiore degli studi filosofici. Pensiamo, ancora, ad una riconsiderazione della sterminata opera di critico letterario svolta da Croce condotta, semmai, utilizzando proprio gli strumenti fornitici dal filosofo. Così andrebbero riconsiderati i giudizi su Leopardi e su Pirandello, i quali, in verità, sono meno drastici di quanto sia sembrato in una prima fase, ma che certo devono, per tanti aspetti, essere levigati. Per converso, pensiamo all’attualità sorprendente delle pagine dedicate a Dante, a Goethe, ad Ariosto e a poeti molto vicini alla nostra sensibilità come Boudelaire.
Ma ancor più importante sarebbe rivisitare l’estetica crociana a proposito della critica d’arte e della critica musicale, sulla scia di grandi interpreti come Carlo Ludovico Raggianti, Bruno Zevi, Alfredo Parente, Guido Pannain e Massimo Mila. Fondamentale, perché è proprio dal contatto vivo con l’esperienza di queste arti, che sono poi sempre la fenomenologica espressione dell’unica arte, che i concetti della filosofia trovano nuovo alimento. E così, come già Raggianti provò a fare molti anni or sono, sperimentare l’estetica crociana nella ermeneutica dell’arte del nostro secolo, il cinema. Siamo certi che nella confusione e nello smarrimento attuale l’estetica di Croce potrebbe rappresentare per molti un punto di riferimento importante, giacché i concetti fondamentali, quelli dell’autonomia dell’arte, dell’unità inscindibile di contenuto e forma, e la critica a tutte le retoriche, ai formalismi e ai pedagogismi di vario tipo, ci orienterebbero e guiderebbero in un momento in cui la critica, in tutti i settori dell’espressione artistica, è in crisi profonda e sembra quasi essere scomparsa. Agli artisti può essere utile ma talvolta anche dannoso ancorarsi a riferimenti filosofici. Ma un fondamento filosofico è indispensabile al critico e, soprattutto, al pubblico dei fruitori dell’arte. L’avanzamento degli studi filosofici comporta un generale avanzamento della civiltà artistica e letteraria, staremmo per dire, della civiltà del gusto di un’epoca. La consapevolezza teoretica dei problemi che l’arte pone rappresenta un indispensabile punto di partenza per garantire la stessa nostra libertà.
Ernesto Paolozzi
NOTE
1) B.Croce, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Bari, Laterza, 1941, p.3. L’Estetica è stata recentemente ristampata dall’Adelphi
2) Ibidem, p.11
3) Ibidem, p.
4) B. Croce, La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1973, vol. IV, pp.11-12
5) B. Croce, La poesia, Bari, Laterza, 1963, p.168
6) Ibidem, p. 170
7) Ibidem, p.
8) Ibidem, pp.33-34
9) Mi permetto di rimandare ai miei Vicende dell’estetica fra vecchio e nuovo positivismo, Napoli, Loffredo, 1989; L’estetica di Benedetto Croce, Napoli, Guida, 2002, anche per i riferimenti bibliografici contenuti. Per un’interpretazione complessiva dell’opera di Croce, si confronti Introduzione a Croce di Paolo Bonetti (Bari, Laterza, 2000) e Ernesto Paolozzi, Benedetto Croce, Napoli, Cassitto, 1998.