Il percorso di riabilitazione della politica e delle istituzioni, di recupero della fiducia collettiva, di rilancio di base solida della nostra economia per rientrare nelle virtù pubbliche e private, per allinearci all’Europa civilizzata, è un percorso obbligato che non ammette scorciatoie né deviazioni pena la nostra irrevocabile retrocessione nel rango dei Paesi ritenuti inaffidabili.” Con queste parole si conclude il libro di Mariano D’Antonio, “La crisi dell’economia italiana, cause, responsabilità, vie di uscita”, edito da Rubbettino.In una congiuntura nella quale l’attuale governo mette in campo timide politiche di crescita sul versante dell’occupazione giovanile soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, l’invito di D’Antonioa tener presente il quadro complessivo della situazione economica in stretto rapporto con la dimensione etico politica diventa, più che un ammonimento, una precisa indicazione di una linea politica da seguire. Anche per non ricadere negli errori del passato. D’Antonio ci ricorda come l’attuale, specifica crisi italiana nella più generale crisi mondiale, non sia attribuibile esclusivamente alla gestione dell’euro, al rigorismo un po’ egoista della Germania e nemmeno ai soli governi che si sono alternati nella cosiddetta Seconda Repubblica. La crisi, malauguratamente, affonda le radici già negli anni precedenti alla svolta dei Novanta. L’accumulo del debito pubblico ma anche la lenta, inesorabile decadenza delle istituzioni e dei partiti che hanno smarrito ogni capacità riformatrice, sul fronte del mercato del lavoro e delle politiche industriali. Il tutto, sottolinea D’Antonio, in un quadro generale di perdita di reputazione dell’intero Paese.In questa prospettiva ermeneutica D’Antonio, con la garbata ma tagliente ironia che lo contraddistingue, può intitolare un capitolo del volume “Italiani, europeisti per caso”, per significare che, all’entusiasmo iniziale per l’unificazione europea, non è mai corrisposta una reale consapevolezza di cosa significasse entrare in Europa. D’Antonio passa in rassegna le possibili alternative teoriche, dalla cosiddetta decrescita alla proposta neokeynesiana, ritenendo la prima un sogno impossibile che ci condurrebbe alla povertà e la seconda non più attuabile se non in un quadro generale di ripensamento non solo economico ma anche politico dell’intero assetto sociale.Quale, allora, la via d’uscita? Far convivere in una sintesi difficile ma non impossibile le politiche di rigore necessarie per la nostra reputazione all’estero con autentiche e coraggiose riforme dei mercati in grado di garantire quella flessibilità necessaria ad una politica sociale che non voglia rivolgersi esclusivamente ai garantiti preservando rendite di posizione sempre meno accettabili. La proposta non è, per così dire, economicistica. La via d’uscita è percorribile solo se la reputazione si riconquista anche sul fronte delle riforme istituzionali, politiche e, staremmo per dire, dei costumi della società italiana. Ciò che si è detto per l’Italia vale a maggior ragione per il nostro Mezzogiorno.Il libro di D’Antonio è severo nell’analisi, cordiale nell’esposizione, non privo di speranza. Immagino che ci si possa chiedere a quale scuola di economisti appartenga, fra neoliberismo e neo interventismo. Mi viene in mente la risposta che Luigi Einaudi diedea chi gli aveva chiestoa quale scuola di economisti appartenesse. Il grande liberale rispose: ” Esistono solo due scuole di economia: quella di quelli che la sanno e quella di quelli che non la sanno”. Risposta eminentemente crociana. ERNESTO PAOLOZZI03 luglio 2013 11 sez. NAPOLI http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/07/03/leconomia-possibile-secondo-dantonio.html?ref=search